Una mano verso l'altro

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    Non aveva mai corso così tanto in vita sua, probabilmente nemmeno quando aveva cercato di sfuggire alla pioggia acida.
    Stavolta la meta da raggiungere era persino più importante della sua salvezza, o almeno così sentiva da quando aveva avuto la percezione di essere tornata in possesso dei suoi pensieri.
    Aveva però qualcosa di più importante da guadagnare che qualche bruciatura in meno sulla sua pelle.

    Come cazzo è potuto accadere?

    Si chiedeva senza rifletterci troppo mentre correva da una parte all'altra del castello.
    Dove poteva trovarsi Bellamy a quell'ora di sabato? Ad allenarsi? A studiare? No, quello era impossibile.
    Sorrise.
    Forse in Sala Comune. Beh, forse era meglio di no: seppur avesse di recente scoperto che non era scritta da nessuna parte nel regolamento scolastico l'impossibilità di entrare nelle sale comuni delle altre casate, Coral credeva fosse meglio non provare a cimentarsi in quel genere di tentativi proprio in quel momento.
    Così, la Caposcuola aveva iniziato a correre verso il campo da Quidditch nonostante il cattivo tempo, cercando di vedere se attorno agli anelli si trovasse qualcuno. Che quel qualcuno ci fosse o meno, tuttavia, mancava l'unica persona che stesse cercando.
    Sperando di non mettersi a volare all'aria aperta, visto che non aveva idea di cosa sarebbe successo se non avesse avuto un soffitto sopra la testa ad impedirle di andare più in alto, ritornò in fretta e furia al castello, con l'intento di controllare ogni singola stanza dal piano terra fino all'ultimo, se fosse stato necessario.
    Arrivò persino ad entrare dentro la Stanza dei Trofei, un luogo significativo per lei e Bellamy, facendo un ovvio buco nell'acqua. Cominciò dunque a cercare di classe in classe chiamando il ragazzo a gran voce fra i corridoi, incurante delle occhiatacce di chiunque l'osservasse al suo frenetico passaggio.
    Correva, dall'esterno, mentre dall'interno non faceva che urlare tutti i sentimenti che aveva soppresso e distorto inconsciamente nelle ultime settimane senza poterne fare a meno, rivivendo come brevi lampi ogni singolo istante in cui non era stata se stessa.
    Ma più di tutto, rimpiangeva il modo in cui si era rivolta a Bellamy, lo stesso che stava cercando disperatamente dentro ogni stanza dell'Accademia, trovandolo infine in Aula di Disegno.
    ... In Aula di disegno?
    Era talmente tanta la foga con cui andava cercando da far fare alla testa una capatina veloce dentro la stanza, prima di tornare sui suoi passi come una macchina automatica.
    La sua mente capì dunque di averlo trovato prima del suo corpo, sentendo ancora l'adrenalina e la fatica della corsa impedirle di tornare immediatamente dentro l'Aula, costringendosi a farlo subito dopo.
    CHtdY1r
    Sorrise, a quel punto, nonostante tutto.
    Non le importava quanto avesse corso, della fatica fatta per arrivare fin lì, di aver lasciato tutta la sua roba in Sala Comune. Tutto ciò che contava era che finalmente avesse ritrovato il Caposcuola, e non soltanto fisicamente.
    Che adesso riuscisse a vederlo per com'era davvero.
    Sospirò, trattenendo a stento le lacrime. Poi avanzò, portando una mano verso l'alto,
    verso l'altro,

    Bellamy.

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    Inutile. Era tutto quanto inutile. La destra non era la sua mano, non avrebbe mai saputo disegnare con quella, nè scriverci, nè tenere la bacchetta comodamente, nè altro. Era diventato imbarazzante persino cercare di mangiare normalmente in Sala Grande, quando spesso la forchetta gli scivolava dalle dita perchè non riusciva ad impugnarla in maniera naturale. Così la matita gli rotolava via dalle dita e cadeva sul foglio che aveva sotto il naso, rendendolo ancora più nervoso e frustrato di quanto non fosse ormai da settimane. Quel foglio non era bianco, ma pieno di scarabocchi senza senso, di linee tremolanti ed indefinite, di segni fatti per sbaglio dove la punta di grafite aveva impattato la superficie della carta cadendogli dalla mano.
    Dopo l'ennesimo tentativo che non aveva portato a nulla, il ragazzino decise di lasciare perdere. Non era assolutamente da lui, arrendersi e mollare così, senza un motivo apparente. Non si comportava così, un Fuoco degno del suo nome. Eppure da quella notte maledetta non era più sicuro di essere degno di poter essere chiamato in quel modo.

    Fanculo.

    Sbattè la mano chiusa a pugno sul banco in un gesto di stizza, per poi incrociare le braccia al petto e poggiare la schiena contro lo schienale della sedia, come se fosse in qualche modo offeso.
    Quella che da sempre era stata una delle sue poche vie di fuga dal mondo reale si era trasformata nell'ennesima prigione, da cui non sapeva come scappare.
    Perlomeno poteva godersi il silenzio, la pace della solitudine. Erano state settimane pesanti, in cui non era stato in grado di sopportare nessuno. Sembrava essere tornato al suo primo anno ad Amestris, il bambino che scappava da tutti e si nascondeva sotto le coperte del suo letto per non incontrare nessuno.
    Quella tranquillità, tuttavia, durò ben poco. Sentì dei passi veloci percorrere il corridoio che portava a quelle aule. Si chiedeva chi diamine avesse tutta quella fretta di raggiungere la Sala della Musica.
    Si rese conto della figura appena entrata nella stanza ancora prima di sentirsi chiamare per nome.
    C'era Coral sulla porta, che gli sorrideva e lo salutava. A quel punto sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Non aveva nessuna voglia di mettersi a litigare.

    Che vuoi?

    Le chiese con tono piatto e neutrale, ormai abbandonato l'odio che aveva provato per lei durante quella notte nelle segrete. C'era indifferenza nelle sue parole, fastidio, ma non aveva intenzione di attaccarla. Voleva solo che lo lasciasse in pace.

    Sei venuta a sparare altre cazzate su quello che ho nelle mutande?

    La domanda gli sorse spontanea, visti i discorsi che avevano fatto l'ultima volta che si erano parlati.
    Da un po' aveva l'impressione che ci fosse qualcosa che non andava in quel suo modo di comportarsi nei confronti degli altri e soprattutto dell'altra Caposcuola, tuttavia era qualcosa di veramente relativo rispetto al disprezzo e all'avversione che provava verso tutti.

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    Fu un colpo al cuore arrivare da Bellamy con l'euforia che le usciva da tutti i pori e vedersi costretta ad ingoiarla, perché incapace di specchiarsi nelle emozioni dell'altro.
    Avrebbe dovuto immaginarlo, ma la felicità nell'avere recuperato le sue percezioni era stata talmente tanta e tanto improvvisa da non aver saputo razionalizzare, fermarsi, considerare che Bellamy poteva non vederla allo stesso modo, non ancora. Perché di un non ancora si trattava: l'illuminazione su quanto fittizie fossero stati i suoi sentimenti delle ultime settimane, la rendeva consapevole dell'esistenza di un'effettiva maledizione che aveva colpito non solo lei, ma anche tutti i presenti nelle Segrete. Non avrebbe saputo spiegarsela diversamente.
    Bellamy, infatti, non avrebbe mai potuto odiarla.
    Lo sapeva, l'aveva scritto addosso ai mille baci di cui la sua pelle conservava ancora il ricordo, impossibile da sciacquare via.
    No, Bellamy non la odiava. Non poteva, sarebbe stato come andare contro la sua stessa natura.

    Svegliati, Bellamy.
    Non è vero che mi odi, che vuoi ignorarmi, che non esisto.


    Così dicendo, senza smettere di sorridere, si fece qualche passo più avanti, le lacrime che inumidivano i suoi occhi a tal punto da appannarle la vista.
    Avrebbe voluto prendergli la mano, stringerla, permettergli di ricordare la realtà dimostrandogliela. Sarebbe stata disposta anche ad usare la magia, se fosse stato necessario, ma sapeva che sarebbe servita soltanto ad indispettirlo maggiormente finché non fosse uscito da quel tunnel.
    Lei d'altra parte ne era venuta fuori da sola, a meno che qualcuno in Sala Comune non le avesse lanciato una magia di sfuggita. Ma se nessuno era stato capace di farla tornare la stessa di sempre in quelle settimane, come avrebbe potuto farlo un suo qualsiasi compagno di casata? E Come avrebbe potuto riuscirci lei con Bellamy adesso?
    No, no: doveva soltanto aspettare, aspettare e sperare.
    E se nulla avesse funzionato, avrebbe presto fatto i conti con una piaga più ardua da sopportare rispetto a qualche volo pindarico: l'odio di Bellamy nei suoi confronti.
    Deglutì, poi ancorò ancora una volta i suoi occhi a quelli color ghiaccio del compagno.

    E' tutto finto, Bellamy.
    Noi siamo l'unica cosa vera.
    Ricordatelo.


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    Non capiva nulla di quello che gli stava succedendo. Non sapeva perchè, da quella famosa notte, tutti quanti erano diventati ai suoi occhi dei nemici da cui guardarsi le spalle, con Coral sopra tutti loro, che aveva evitato il più possibile di incontrare in quelle settimane viste le minacce che gli aveva rivolto di starle lontano. L'aveva fatto, le era stato lontano, ed ora non capiva perchè invece lei aveva deciso di avvicinarsi a lui. Andare a cercarlo, presentarsi di fronte a lui per dirgli che non era vero che la odiava e che voleva ignorarla.
    Come poteva dirgli quello? Cosa ne sapeva lei di cosa c'era nella sua testa?

    Ah no? Non è vero?

    Chiese con fare quasi stizzito, vedendola fare qualche passo nella sua direzione. Le sue iridi color ghiaccio seguivano i movimenti della studentessa, lui invece non si muoveva. Sembrava essersi pietrificato su quella sedia, in preda ad uno stato d'animo che nemmeno lui riusciva ad identificare.
    Eppure, più la guardava, più gli sembrava di rendersi conto che qualcosa era cambiato. Per l'ennesima volta, senza che potesse controllare o gestire la cosa. A quanto pareva, dalla notte del trentuno ottobre oltre ad aver perso l'uso della mano sinistra, aveva anche detto addio alla sua già scarsa capacità di gestire le proprie emozioni e sensazioni. Il che lo rendeva soltanto più confuso e nervoso.
    E la Caposcuola gli stava dicendo che era tutto finto.
    Tutto finto.
    Loro erano l'unica cosa vera.
    A quel punto le rivolse uno sguardo più confuso.

    Noi...

    Loro. C'era un loro, c'era sempre stato. Cos'era successo, nelle ultime settimane? Non ne aveva idea. Sicuramente qualcosa, ma non avrebbe saputo dire cosa. Tutto quell'odio...non esisteva. Non era stato reale. Non la odiava, non avrebbe mai potuto odiarla.
    Abbassò lo sguardo sul foglio di pergamena, poi sciolse l'intreccio delle braccia per guardarsi le mani. Sperò che qualcosa potesse essere cambiato, quindi provò a muovere le dita di entrambe. Ma nulla: le dita della mano destra si chiusero a pugno contro il palmo, mentre quelle della mano sinistra rimasero ancora immobili.
    Spostò di nuovo lo sguardo sulla ragazza, guardandola - per la prima volta dopo settimane - con un sguardo diverso. Uno sguardo che non aveva niente a che fare con la rabbia e con l'odio. Era uno sguardo quasi triste, sconsolato, colpevole. Come se si sentisse in colpa per tutto quello che era successo ma allo stesso tempo fosse consapevole che non era stata colpa sua, che tutto quello che avevano passato era colpa di qualcosa di più grande ed indefinito, che tuttavia non li aveva ancora abbandonati.

    Coral...

    Si alzò finalmente dal suo posto, cercando così di ridurre le distanze e di avvicinarsi a lei. Con lentezza, ma non quella lentezza che sapeva di divertimento e che serviva a scaldare l'aria come a entrambi capitava spesso di fare. Era una lentezza diversa, più malinconica, che però lo spingeva ad avvicinarsi a lei come se fosse il suo unico appiglio possibile in quel caos che tutti stavano vivendo.
    E quando fu abbastanza vicino, cercò di allargare il braccio destro e di portarlo intorno al suo corpo, nel tentativo di abbracciarla, per la prima volta dopo tanto tempo. Ma con cautela, la cautela di chi aveva l'impressione di camminare perennemente su un pavimento cosparso di vetri rotti. Perchè era così che si sentiva da quella sera: insicuro, come se tutte le sue certezze fossero crollate, la sua autostima completamente sparita. Non pensava che esistesse ancora qualcosa al mondo in grado di sconvolgerlo nel profondo in quel modo, pensava - ingenuamente - di aver già passato di tutto e di più, e che niente avrebbe mai più potuto fargli perdere tutta la sicurezza di sé che aveva acquisito a fatica durante gli anni.
    Invece era perso, smarrito in quella tempesta di mistero e di incertezza legata a tutto quello che era successo. Aveva bisogno del suo punto fermo, aveva bisogno dell'unico salvagente che non l'aveva mai fatto affondare, aveva bisogno di aggrapparsi all'unica certezza che invece non aveva perso. Aveva bisogno di Coral.

    Carisma 7/6

    Piaga: Thanos il Serpente, frequenza costante
     
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    Coral riuscì a leggere chiaramente negli occhi di Bellamy la rabbia, non appena osò avvicinarsi a lui di qualche passo: immaginava già gli scenari più terribili, con lei padrona dei suoi pensieri e lui disperso fra i propri. Come avrebbero potuto gestire una situazione del genere? Vivere in mondo in cui Coral aveva occhi soltanto per Bellamy, con Bellamy che non aveva occhi nemmeno per se stesso?
    Ma i suoi dubbi non durarono a lungo: la sfumatura di odio nello sguardo del compagno cambiò presto colore, dissolvendosi in un velo di confusione. Che stesse iniziando a comprendere? O si trattava soltanto dell'ennesimo buco nell'acqua?
    No, nessun buco nell'acqua. Bellamy si stava davvero risvegliando dalla stasi che li aveva tenuti prigionieri per settimane. Eppure, forse la tensione, il panico e lo stress accumulato, non le permisero di cantare vittoria, non subito.

    Noi, sì.

    Aggiunse, sperando di cogliere da lui un altro segno a suo favore.
    Strabuzzò gli occhi più volte, tentando di asciugare via le lacrime. E Bellamy non era ancora andato via; era ancora lì, davanti a lei, ad osservarla con sguardo nuovo, colmo di malinconia.
    Anche quello di Coral si tinse di tristezza, ma senza perdere il sorriso: in fondo, erano ancora lì. Insieme, nonostante tutto: i tempi in cui desiderava stare davvero lontana da lui erano ormai un ricordo lontano, adesso più che mai.
    Eppure continuava ad osservarlo come una gatta faceva con la sua preda, in silenzio, con occhi attenti e in trepidante attesa di cogliere la prima mossa dell'avversario prima di farlo a sua volta.
    Nell'istante stesso in cui Bellamy si avvicinò a lei facendo accenno di volerla stringere fra le sue braccia, tutte le difese della Caposcuola crollarono: non le importava altro se non riappropriarsi di quello spazio vitale che era il corpo del ragazzo, stringersi fra il petto e il collo e chiudere gli occhi mentre la consapevolezza di trovarsi nel posto più bello del mondo si fondeva ad una sensazione calda e avvolgente che sapeva di casa.
    Si lasciò allora trascinare in quella morsa senza temere alcunché, insieme felice e incredula di avere ritrovato l'unica cosa che non sapeva di avere perso, Bellamy, ma di cui adesso sapeva di aver sentito la mancanza.
    Sorrise fra le lacrime addosso a lui, cercando di farsi il più piccola possibile perché l'abbraccio potesse essere più intenso, quasi sentirne il peso addosso corrispondesse a un maggiore richiamo alla realtà, la loro.
    L'eco del suo nome ancora rimbombava dentro di sé, dandole ulteriori certezze di cosa significasse quel contatto.

    Lo so.

    Disse senza alzare lo sguardo verso il ragazzo, ancora troppo impegnata a riprendersi ciò che era suo fra quelle braccia.
    Ma Coral sapeva. Sapeva cosa era racchiuso in quel nome gettato al vento: dispiacere, vergogna, timore, confusione.
    E chissà, forse anche amore. Lo stesso che lei sentiva di provare per Bellamy proprio in quell'istante, mentre la mano invisibile tornava a strapparla dalla realtà, riportandola ad un'altra fatta di ombre e paura da cui, a quanto sembrava, non poteva proprio fuggire.

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    Era difficile riuscire ad opporsi a quei sentimenti e a quelle sensazioni, che sapeva essere sbagliate, false, non reali, ma che tuttavia non l'avevano mai abbandonato nemmeno per un secondo da quando aveva messo piede fuori dalle segrete in quella notte maledetta. Non perchè non volesse liberarsene, non perchè lo stesse facendo di proposito, non ne era proprio in grado.
    Soltanto quando Coral l'aveva raggiunto in quell'aula e aveva iniziato ad avvicinarsi a lui, a parlargli, qualsiasi cosa avesse invaso la sua testa fino a quel momento cominciò a svanire. Come un castello di sabbia colpito dalle onde del mare, piano piano si sgretolava per lasciare il posto ad una distesa piatta, senza imperfezioni. Com'erano i sentimenti del ragazzo irlandese per la ragazza scozzese: puri.
    Noi, gli aveva ripetuto lei. Ed un ''loro'' esisteva ed era sempre esistito. Non ne aveva più dubbi. Questo non significava però che quelle settimane passate ad odiarla per dei motivi che non capiva non avessero lasciato i loro strascichi. Non su di loro, non su quello che provava per lei, ma su di lui.
    Era tornato a sentirsi in colpa per quello che aveva fatto, esattamente come era già successo. A sentirsi in colpa per aver dubitato dei sentimenti che provava per lei, per averle detto delle cose che non pensava davvero e non avrebbe mai voluto dirle.
    Ma stavolta Coral lo sapeva. Così gli aveva detto, nello stringerlo e nell'appoggiarsi a lui.
    E quel contatto significava tutto. Significava che non avrebbero lasciato che niente e nessuno li separasse, nemmeno una maledizione sconosciuta che aveva colpito tutta la scuola.
    Finì per abbandonarsi a sua volta contro di lei, poggiando la testa contro la sua, mentre il braccio sinistro raggiungeva il destro nell'avvolgere il corpo della studentessa. Anche se era incapace di usare la mano sinistra, non avrebbe perso quell'occasione per dimostrarle che non aveva intenzione di passare nemmeno un altro secondo lontano da lei. Così la mano destra, diversamente dal solito, iniziò ad accarezzarle la schiena, come per cullarla, per fermare il tempo, prima che accadesse qualcosa che la portasse via dalle sue braccia.

    Non volevo.

    Sapeva che non c'era bisogno di dirle nulla, sapeva che le parole erano superflue. Eppure, sentiva il bisogno di dirglielo.

    Ho bisogno di te.

    Un altro sussurro, un'ammissione di debolezza che mai ci si sarebbe aspettati di sentir uscire dalla bocca di uno come lui. E forse agli occhi di Coral non si era mai mostrato così vulnerabile, nonostante la Caposcuola fosse la persona che lo conosceva meglio al mondo.
     
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    Tornare fra le braccia di Bellamy non era sorprendente o esaltante, nonostante le apparenze.
    Aveva quel retrogusto familiare che rendeva ogni cosa piacevole, calda, giusta: era quello il posto in cui doveva stare e in cui avrebbe dovuto trovarsi fin dall'inizio, le braccia del Caposcuola.
    Si sentiva così piccola lì in mezzo, eppure invincibile: nulla avrebbe potuto scalfirla finché fosse stata con Bellamy, e adesso persino l'amarezza e l'apatia delle ultime settimane parevano ridicole al pensiero di affrontarle insieme a lui.
    Sorrise sul suo petto fra le lacrime, cullata dalle parole del ragazzo.
    Anche Coral aveva bisogno di lui; lo aveva sempre saputo, e nel periodo in cui non erano più stati assieme, aveva fatto di tutto per nascondere quella verità a se stessa. Ma a cosa sarebbe servito, adesso, fingere? A cosa sarebbe servita l'invincibilità, se bastava l'assenza di una sola persona a distruggerla?
    Si strinse persino di più sul corpo del ragazzo, se possibile, pronta a ricambiare le sue parole.
    Ma poi la mano invisibile iniziò a trascinarla verso l'alto, e quando ripiombò per terra, dopo istanti interminabili di volo senza freni, Coral non riuscì a trattenere la nausea e la tensione accumulata fino a quel momento: si lasciò andare lì, vicino ai banchi, sul punto in cui era planata senza alcuna delicatezza.
    Le sue lacrime non erano più di semplice commozione ma di vergogna, odio e rancore verso quella maledetta situazione: Coral avrebbe voluto dire a Bellamy che anche lei aveva bisogno di lui, ma in realtà sarebbe stato più corretto dire che avrebbe avuto bisogno di un fazzoletto. O forse dieci.

    Non guardarmi.

    Disse soltanto, soffiando su col naso per l'imbarazzo e la rabbia che quel momento tanto agognato fosse stato rovinato dalla sua stessa piaga.
    Cercava con frenesia la bacchetta sotto la giacca viola, e quando la trovò, non ci pensò su più di un istante prima di pulire tutto ciò che aveva rilasciato sul pavimento e sui vestititi, grata per l'esistenza della magia.

    Gratta e netta.

    A quel punto, Coral, non aveva nemmeno le forze di alzarsi. La testa aveva iniziato nuovamente a farle male e la nausea a picchiare nuovamente contro i suoi sensi, nonostante tutto.
    Chiuse gli occhi, cercando di fare lunghi respiri nel tentativo di calmarsi.
    Quella scena al contrario l'avevano già vissuta, con Bellamy steso sul cesso a piangere mentre la lasciava per Brianna Scott. Adesso, sebbene qualche elemento in comune rimanesse, sapeva per certo che non sarebbero più arrivati ad un punto del genere.
    Riaprì gli occhi quando si sentì più tranquilla, cercando lo sguardo di Bellamy ovunque si trovasse. Sospirò.

    Mi dispiace.
    Non era così che avrei voluto tornare da te.
     
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    Bellamy avrebbe voluto fermare il tempo in quel preciso istante. Prolungare fino all'infinito quel contatto, che diventava più intenso ogni secondo che passava. Anche se non erano propriamente al meglio della loro forma, anche se erano entrambi distrutti - in un modo o nell'altro - a causa di tutto quello che era successo, erano di nuovo insieme. E nonostante il ragazzino non avesse dubbi su quello che provava per lei, nè aveva alcun motivo per dubitare dei sentimenti di Coral nei suoi confronti, nessuno gli assicurava che un giorno non sarebbe tornata qualche maledizione o simili a cercare di portargliela via di nuovo. Per questo non voleva andare avanti, voleva fermarsi lì, in quel momento di quel sabato pomeriggio di metà novembre.
    Eppure ormai aveva la certezza che sarebbero stati in grado di affrontare tutto. Chiunque altro avesse cercato di separarli, avrebbe fallito miseramente. Si appartenevano, Coral apparteneva alle sue braccia da sempre, il tempo che aveva impiegato per capirlo e tutti gli errori che aveva fatto nel frattempo erano serviti ad aprirgli gli occhi e a renderlo quello che era oggi.
    Ad un certo punto però, la sentì scivolare via dal suo abbraccio. Se in un primo momento gli fu difficile capirne il motivo, quando le immagini di quella notte maledetta tornarono alla sua mente tutto fu più chiaro. Allora capì che non aveva modo di aiutarla, poteva soltanto aspettare che l'effetto di quella mano invisibile finisse e che la ragazza non si facesse troppo male nell'atterraggio. Non sapeva come aiutarla, anzi, sapeva di non poterlo fare. Poteva soltanto iniziare a pensare ad un soluzione per rendere meno orrenda possibile tutta quella storia.
    Persino quando gli disse di non guardarla, lui non riuscì a smettere di farlo. Non perchè avesse qualche tipo di problema o qualche strano fetish...semplicemente, non voleva lasciarla sola. Nel senso che voleva che sapesse che non l'amava soltanto a momenti alterni, quando lei era nelle sue condizioni migliori...ma anche in quel momento. Sempre, diciamo.
    Quando la sentì dispiacersi, il ragazzo del Fuoco scosse il capo.

    Non è colpa tua.

    Non era colpa di nessuno.
    Senza pensarci troppo, si avvicinò a lei e prese posto al suo fianco, sul pavimento ormai pulito dall'incantesimo. Si mise talmente vicino che i loro corpi entrarono facilmente in contatto, una gamba con quella dell'altra, così come le braccia. La osservò per qualche istante, poi abbassò di nuovo lo sguardo sulle proprie mani, che aveva portato di fronte a sè con i palmi rivolti verso l'alto, gesto che faceva ormai almeno dieci volte al giorno da settimane. Iniziò a muovere le dita di entrambe le mani, come prova di mobilità, e se quelle della destra risposero agli impulsi inviati dal cervello, quelle della sinistra rimasero immobili. Come ogni volta che vedeva quella scena, dovette sforzarsi di ignorare quel lieve pizzicore agli occhi e pensare ad altro. Tornò allora con le iridi color ghiaccio sul volto della Caposcuola, e cercò di piegare le labbra nel sorriso più rassicurante che riuscì a fare. E con la mano destra cercò il suo volto, nell'intento di lasciarle una carezza, ma con la mano con cui avrebbe potuto sentirla anche lui contro la sua pelle.

    Dobbiamo escogitare una tattica.

    Sembrava essere serio. Sentire da lui parole del genere era veramente raro, visto che era sempre il primo a mandare a quel paese qualsiasi tipo di tattica o strategia per agire solamente ad istinto.

    Devo imparare a prenderti al volo quando cadi.

    Accennò di nuovo un sorriso sincero. Il suo modo di dimostrarle che, in quella sventura, non era sola. Anche la sua piaga non era affatto semplice da gestire, nessuna lo era probabilmente. Ecco perchè non potevano far altro che trovare delle soluzioni alternative finchè qualcuno più esperto non li avesse salvati.
    Potevano salvarsi a vicenda.

    Edited by Bellamy Octavian Murray - 29/12/2020, 23:51
     
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    Rimase stesa sul pavimento di legno per almeno un minuto, nel tentativo di far smettere la testa di girare. Chiuse anche gli occhi, cercando di escludere ogni pensiero dalla mente. Non riuscì a fare a meno, tuttavia, di ascoltare ciò che la circondava: aveva capito che Bellamy si stesse avvicinando a lei prima ancora di vederlo, anticipato dal rumore dei suoi passi che rimbombarono al suo udito come eco.
    Poi fu il turno del tatto, il tocco gentile di Bellamy a solleticarle le braccia, le spalle, il volto, avvolgendola in una morsa di cui aveva sentito terribilmente la mancanza, seppur potesse rendersene conto soltanto adesso. Riaprì finalmente gli occhi e non poté evitare di sorridere nel trovarsi direttamente di fronte a quelli belli di Bellamy.
    Si sorprendeva sempre di quanto sapesse essere profondo il suo sguardo, stupendosi ogni giorno che scrutassero in quel modo proprio lei, lei che non era nulla di speciale al pari suo, lei che non era un'atleta, una modella, non aveva gli occhi chiari o un fisico prorompente.
    Lei che era semplicemente Coral.
    Sospirò, spostandosi quel tanto che bastava per farsi avvolgere completamente da lui: nonostante il pavimento duro e freddo sotto di sé, quella era la posizione migliore a cui potesse ambire da settimane. Così, si lasciò semplicemente cullare dal calore del ragazzo, chiudendo gli occhi mentre cercava nuovamente rifugio sul suo petto, incastrandosi a lui come fosse un piccolo pezzetto di puzzle.
    E poi sorrise, sorrise davvero, per la prima volta dopo settimane.
    Non perché Bellamy avesse detto qualcosa di divertente, ma perché l'idea di lui che correva sotto di lei per tentare di afferrarla al volo, aveva di per sé un che di ironico. Come se Coral fosse stata un sacco di patate, anziché una persona in carne ed ossa.
    Si fece persino più vicina al ragazzo, se possibile, senza smettere di sorridere un solo istante.

    Grazie.
    Adesso sto davvero bene.


    E così dicendo, Coral portò verso di sé la mano invalida del compagno, su cui lasciò una serie di baci delicati. In cuor suo sperava che almeno quelli riuscisse a sentirli, pur dubitandone, e tuttavia non riusciva a fare a meno di continuare: come lui aveva accettato le sue difficoltà, standole vicino nonostante tutto, così anche lei avrebbe accettato chi era Bellamy da quando avevano lasciato le segrete, i suoi difetti, le sue difficoltà, le sue mancanze, mai così importanti come adesso.
    Così, forse Bellamy non era capace di percepire fisicamente il calore dei suoi baci sulla pelle, ma era certa che il suo cuore li avrebbe sentiti eccome.
     
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    Il ragazzo irlandese accolse di nuovo la compagna contro il suo corpo come se fosse la cosa più naturale del mondo. In effetti, lo era. Non c'era altro posto che le appartenesse più di quello. Cercare il contatto fisico, per uno come lui che aveva il fuoco a scorrere nelle vene, era spontaneo e quasi necessario. I suoi tocchi infatti erano sempre caldi ma allo stesso tempo delicati, le sue fiamme avevano smesso di bruciare e basta, avevano iniziato a scaldare. Questo era solo uno dei tanti motivi per cui non poter usare una mano, la sua preferita, lo faceva stare così male. Poteva sembrare una sciocchezza, ma per un tipo come Bellamy non lo era affatto.
    Continuava ad accarezzare la guancia della Tempesta con dolcezza, poi la sentì dire che stava davvero bene. Non poteva fare a meno di sorridere a sua volta, nonostante lo stato d'animo per niente incline all'allegria o alla felicità. Eppure da quando si erano abbracciati, pochi minuti prima, si sentiva già diverso. La vide così prendergli la mano sinistra, e fin da subito si rese conto del fatto che non riusciva a sentire la pelle della mano della ragazza contro la sua. Come se quella non fosse proprio attaccata al suo polso. Sentì il proprio petto scaldarsi dall'interno nell'osservare quella scena, a cui poteva partecipare solo da spettatore, ma allo stesso tempo fu costretto a tirare su con il naso per non crollare.

    Sai...sai che non sento nulla, vero?

    Non sapeva se la Caposcuola fosse effettivamente a conoscenza delle particolarità della sua piaga, alla fine non si erano parlati per settimane e quella era la prima occasione che avevano avuto di farlo da quella maledetta notte.
    Abbassò per qualche istante lo sguardo sul pavimento, apparentemente perso in qualche suo pensiero.

    Vorrei tanto avere il cellulare per mettere la musica, adesso.

    Le confessò quindi, a cuore aperto. Avrebbe tanto voluto dimenticarsi di tutto il resto del mondo ed avere Coral e basta, con note e parole a fare da sottofondo ai loro discorsi, proprio come quella notte. La migliore di tutta la sua vita. E non poteva nemmeno suonare lui, perchè sarebbe bastato andare nell'aula accanto dove c'erano tutti gli strumenti possibili ed immaginabili, ma quale strumento si poteva suonare utilizzando una mano sola? Nessuno che lui conosceva.
    Fece per scostarsi dalla figura della ragazza, semplicemente per cambiare posizione: finì per sdraiarsi a terra - poco gli importava se si trovavano in un'aula qualsiasi in cui sarebbe potuto arrivare chiunque da un momento all'altro - così da provare a poggiare la testa sulle gambe di lei. Si sentiva così inetto e vulnerabile che l'unica cosa che aveva voglia di fare era starsene tutto il giorno sdraiato a guardare il soffitto. Ma perchè guardare il nulla quando poteva invece godersi la vista della persona per cui ormai da tempo aveva completamente perso la testa?
     
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    Le labbra di Coral imprimevano baci delicati sulla mano del Caposcuola, ad occhi chiusi e cuore pieno.
    Era come se il vuoto che aveva sentito nelle ultime settimane fosse improvvisamente sparito, colmato dall'amore che in quel momento provava verso Bellamy e sentiva di ricevere da lui allo stesso tempo. Il suo tocco era caldo e la mano, benché immobile, conservava la stessa pelle di sempre, ruvida e tremendamente familiare.
    Coral annuì in sua direzione. Era impossibile non essere a conoscenza delle piaghe dei ventidue di Amestris, di quei tempi. Ma era proprio perché sapeva che Bellamy non poteva sentirla, che continuava a baciarla e carezzarla leggermente.

    Ma io sì.

    Coral la sentiva. Se ne beava, ad occhi chiusi, sperando che il compagno percepisse quanto di non detto c'era fra di loro con soltanto quel contatto, se non il contatto.
    Lo avrebbe aiutato in ogni modo possibile, se glielo avesse permesso. Poteva a stento immaginare quanto fosse complicato vivere in quelle condizioni e, conoscendo il Caposcuola, quanto male l'avesse presa.
    Smise di baciargli la mano soltanto quando si mosse, accogliendolo sulle sue cosce smunte con un leggero sorriso impresso sulle labbra. Bellamy e i suoi occhi le erano mancati da morire.
    Si lasciò andare ad un lungo sospiro alle sue parole, ricordando la serata in cui la musica l'aveva fatta da padrona. Quella notte, proprio quella, era segnata a fuoco sul suo cuore, e lo sarebbe stata per sempre, a prescindere dal modo in cui il futuro avrebbe accolto Coral e Bellamy.
    Asciugò le lacrime residue dal suo volto.

    Cosa faresti se ci fosse?

    Chiese con voce bassa, ricordando a sprazzi quella famosa serata. Bellamy al pianoforte e poi il silenzio, le parole, i baci.
    Il ballo, quel ballo. Quella canzone.
    Coral chiuse gli occhi, iniziando a cullarsi e a portare in quella lenta danza anche Bellamy. Le sue dita continuavano ad accarezzargli il volto, le braccia, le mani. Come non potesse fare a meno di stare a contatto con lui, dopo tutto il tempo passato lontani.
    Cominciò allora a canticchiare le note della canzone che più di tutte, per lei, ricordava e riassumeva meglio quella notte, svanendo in una realtà in cui non esistevano piaghe, voli, mani senza tatto. Soltanto lei, Bellamy e l'amore che provava per lui.

    Capodanno 4/21


    Edited by Coral Allen - 6/1/2021, 01:38
     
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    Faceva quasi fisicamente male, vedere Coral baciare e accarezzare la sua mano ma non poter sentire quel contatto. Sentiva come un vuoto all'altezza dello stomaco, che contrastava totalmente con il calore che invece scaldava l'interno del suo petto. Era come se mancasse qualcosa, come se stesse mangiando una pietanza scondita, come se fosse ad un passo dall'acchiappare il Boccino d'oro che valeva la Coppa del Quidditch e poi finisse per cadere dalla scopa. Magari la situazione non era davvero così tragica, si poteva vivere senza una mano, l'aveva visto con i suoi occhi quando il professor Baker insegnava Volo in Accademia. Ma lui era soltanto un ragazzino, non sapeva come prendere con filosofia e positività quelle cose, era solo un adolescente che si era visto stravolgere la propria vita da forze magiche ed oscure ancora ignote al mondo magico. Nelle sue stesse condizioni era anche Coral, lo sapeva benissimo. Per questo non poteva far altro che immaginare il tocco delle sue labbra e delle sue dita sulla sua mano, non era così difficile visto che ormai lo conosceva bene.
    Riuscì soltanto a sorridere alle sue parole, incapace di dirle qualsiasi altra cosa, lui che di solito aveva sempre la risposta pronta per tutti e per qualsiasi situazione.
    Poi decise di abbandonarsi alle sue debolezze, mostrandosi vulnerabile come non mai agli occhi dell'altra Caposcuola, senza però sentirsi in difetto. Con lei non si sentiva mai in difetto, persino mostrarle i suoi lati peggiori diventava la cosa più semplice del mondo. In fondo, lei lo conosceva meglio di chiunque altro al mondo, non aveva alcun motivo di nascondersi.
    La sentì allora iniziare ad accarezzarlo e allo stesso tempo a canticchiare una canzone, che non ebbe difficoltà a riconoscere. Si trattava di ricordi più che speciali anche per lui. Cercò allora di allungare la mano destra verso il suo volto, per accarezzarle di nuovo una guancia, stavolta dal basso.

    Così mi fai piangere.

    Negli ultimi tempi era diventato ancora più sensibile di quanto non lo fosse mai stato, era talmente stressato ed instabile che qualsiasi occasione era buona per sfogarsi in pianti improvvisi, che servivano a buttare fuori tutto quello che aveva dentro e non riusciva ad esprimere. In quel momento però, in compagnia della ragazza, poteva soltanto finire per commuoversi a causa del momento e dei ricordi. Niente di negativo, soltanto cose positive.

    Farei...
    Vorrei disegnare.


    Spesso univa quelle due passioni, la musica e l'arte, lasciandosi ispirare contemporaneamente da tutte e due. Erano momenti in cui riusciva ad isolarsi totalmente, finendo così a creare, creare e creare. Erano poche le cose capaci di farlo stare così bene, Coral era tra queste, ma quando lei non c'era e si trovava solo con le sue matite, i pennelli ed i colori, con le note delle sue canzoni preferite in sottofondo, il mondo diventava all'improvviso meno grigio.
    Ora non poteva fare più niente di tutto ciò.

    In realtà potrei anche non fare nulla e stare semplicemente qui a guardarti.
    Andrebbe benissimo lo stesso.



    Evento di Capodanno 1/21
     
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    Alle parole di Bellamy, Coral immaginò di aiutarlo a mettersi seduti sul tavolo, mentre lei gli afferrava la mano sinistra e, con la sua guida, provava a disegnare qualcosa. Sarebbe stato dolce, ma non ci volle molto per comprendere che al contempo, per il compagno, sarebbe stato enormemente frustrante: orgoglioso com'era, non soltanto doveva farsi aiutare da qualcuno, sebbene fosse Coral, ma avrebbe dovuto persino sorbirsi la sua incapacità, rendendo la sua buona azione l'idea peggiore del mondo.
    Sospirando, si lasciò alle spalle quell'idea. Non erano molte le cose che potevano fare conciati com'erano: quelle piaghe non erano soltanto una prova fisica, per loro, ma anche e soprattutto mentale. Dovevano imparare a conviverci, a riadattare la loro vita, le loro passioni, ogni necessità in funzione di ciò che sapevano e potevano fare adesso.
    Era terribile, senza alcun dubbio. Ma sarebbe stato peggio, secondo lei, rifiutarlo al punto da dover continuare a rimanere chiusi in infermeria in eterno.

    Io ballerei, ancora.

    Come avevano fatto l'ultima volta, quando Coral aveva chiamato Bellamy per nome, e Bellamy le aveva chiesto di danzare. Quando Coral aveva compreso che forse ciò che provava per quel ragazzo era più che una semplice cotta adolescenziale. Non si era più posta il problema, da allora, lasciando che fossero semplicemente i suoi gesti e i suoi sentimenti a parlare per lei.
    E adesso che lo guardava con gli occhi della verità, era certa che i suoi sentimenti stessero ballando la conga.
    Sorrise.

    Poi ti bacerei, e... potendo...

    Sorrise di più e con un cipiglio leggermente diverso, malizioso, rievocando il proseguo di quella serata.
    Era stata la notte più bella della sua vita. E ne erano seguite altre del genere nel corso dell'estate. Rientrare ad Amestris li aveva messi particolarmente alla prova, non condividendo alcuno spazio in comune che garantisse riservatezza a parte il bagno dei Prefetti e la casupola delle scope, non esattamente il massimo della comodità. Avevano comunque avuto meno occasioni che nel mondo babbano.
    Quel pensiero, tuttavia, oscurò il suo sguardo per qualche istante: se trovarsi in Accademia rendeva di per sé complicati quegli incontri, adesso che erano debilitati lo sarebbero stati perfino di più: forse non era il più grosso dei loro attuali problemi, ma quello a cui stava pensando in quel momento.

    Chissà se saremo mai più in grado di farlo, in queste condizioni.

    7/21 capodanno


    Edited by Coral Allen - 6/1/2021, 01:41
     
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    Anche io.

    Avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di recuperare il tempo perso in quelle settimane. Se ci fosse stata la musica di cui tanto sentiva il bisogno in quel momento, avrebbe fatto almeno un milione di cose, l'importante era stare insieme a Coral. Era vero che il suo primo pensiero era andato verso qualcosa che ormai non era più in grado di fare, ma proprio per questo forse avrebbe dovuto mettere da parte quei pensieri per un po' e dedicarsi invece a ciò che aveva, a ciò che non era cambiato. Almeno per qualche tempo, magari per quel pomeriggi e basta. Poteva pensare a lei, che era sicuramente l'unica cosa buona di tutta quella faccenda.

    Quello puoi farlo sempre, anche senza musica.

    Non avevano bisogno di chissà quali scuse per baciarsi, anzi si sorprendeva del fatto che nessun professore li aveva ancora cacciati da qualche lezione.
    Ricambiò quel sorriso, avendo ovviamente inteso a cosa la compagna si stava riferendo. Tuttavia, questo svanì poco dopo quando si ritrovò costretto a riflettere sulle sue parole. Si lasciò sfuggire un sospiro, preoccupato dalla faccenda, o più in generale preoccupato dalle tempistiche impossibili da prevedere. Lo era, in realtà, era molto preoccupato. Rimanendo ancora sdraiato a terra e con la testa poggiata sulle sue gambe, alzò l'indice della mano destra fino a cercare di raggiungere il volto della ragazza, con l'intento di ripassare con la punta del dito la linea del suo mento, delle guance e degli zigomi, un po' come se la stesse disegnando. Quello almeno poteva farlo.

    Pensi che resteremo così per tanto tempo?

    Non voleva pensarci, a quell'eventualità.

    Insomma, ci stanno tormentando e continueranno a farlo...ma più passa il tempo, più mi sembra che nessuno riesca a fare nulla.

    Medimaghi, funzionari del Ministero, studiosi di ogni campo li riempivano di domande e test da settimane, e chissà per quanto ancora avrebbero continuato ad analizzarli per cercare di capire come curarli. Sapeva che non era facile trovare una soluzione, eppure nella sua ingenuità e nel suo egoismo voleva che facessero il più presto possibile. Il pessimismo in cui era avvolto da quella maledetta notte ormai lo portava a vedere tutto quanto nero, nonostante non fosse quella la sua piaga.
     
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    Coral sospirò rassegnata a quella prospettiva: lei e Bellamy avrebbero subito più degli altri studenti gli effetti negativi delle loro piaghe, costretti a rimandare ciò che già non avevano gran modo di compiere stretti fra quelle mura.
    L'idea di dover lasciare Amestris non la rendeva felice nemmeno un po', ma quella sensazione svaniva all'idea di poter avere un posto tutto suo in cui stare col compagno senza distrazioni, responsabilità o intrusioni di alcun genere.
    Si trattava però di prospettive ancora lontane: si sarebbero trovati ad Amestris ancora per qualche mese e di quel passo neanche dopo avrebbero potuto sperare di trovarsi in alcun genere di situazione diversa dalle solite.
    Cominciò a rigirarsi i riccioli dorati di Bellamy fra le mentre lui solleticava i tratti del suo viso. Quel gesto le ricordò un episodio di diversi anni prima, la biblioteca, lei e Bellamy che scherzavano come loro solito. In quell'occasione era riuscita a rubargli il quaderno, scoprendo per la prima volta della sua passione per il disegno.
    Cercava di ricordare dove avesse messo il suo ritratto. Probabilmente si trovava sul fondo del suo baule, in compagnia della fenice disegnata ancora prima insieme a Thomas.
    Si abbandonò ad un lungo sospiro alle successive affermazioni del ragazzo, spingendo lo sguardo verso l'alto, lontano da lui e da ciò che pensava realmente a riguardo.
    Riflettendoci, quello era esattamente il posto in cui sei anni prima aveva disegnato la fenice insieme a Thomas.

    Non lo so.
    Ma non voglio farmi illusioni.


    Per questo motivo, nonostante gli annunci ministeriali, non aveva voluto sperare più di tanto nell'intervento di qualche esperto che bussasse alla sua porta per salvarla. Non voleva sperare proprio in nulla, in realtà: più si fosse convinta che da quella situazione ne sarebbero usciti illesi, più pensava che la caduta sarebbe stata dolorosa.
    E le sue lo erano già abbastanza.

    Dovremmo pensare ad un piano d'emergenza.
    Immagina me e te fra dieci, venti, trent'anni... ancora così.


    Non era esattamente un bel gioco, ma era ciò che faceva stare bene Coral: trovare soluzioni per tutto, anche per le ipotesi più assurde, di modo da risultare pronta nell'improbabile caso in cui si fossero verificate per davvero.

    Cosa saresti? Come vivresti?

    Coral avrebbe cercato ancora di diventare un Difensore? O si sarebbe rinchiusa per tutta l'eternità in una grotta?
    Tornò a poggiare gli occhi scuri sulle iridi chiare di Bellamy, parlandogli con improvvisa serietà.

    Staremmo ancora insieme?
     
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17 replies since 13/12/2020, 21:24   371 views
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