Concorso VIII Anniversario

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    CONCORSO VIII ANNIVERSARIO



    Per l'ottavo anniversario di AfterHogwarts GdR, ci siamo lasciati ispirare dal numero 8. Cosa lega questa cifra al nostro amato mondo Potteriamo? Ovviamente la prima cosa che viene in mente sono gli 8 film! Film che conosciamo a memoria, battuta per battuta, scena dopo scena. Quindi se vi dicessimo ottavo film, qual è il primo pensiero che vi sovviene? La battaglia di Hogwarts, ovviamente!
    Uno dei momenti più emozionanti di tutta la saga, ambientata del 1998 (un altro 8, coincidenze?) con momenti di disperazione, grandi sacrifici, la morte dei nostri eroi preferiti.
    Ebbene, per festeggiare il nostro ottavo anniversario, vogliamo rendere omaggio a uno dei momenti più preziosi per il fandom: la Battaglia di Hogwarts. Scrivete una fanfiction ambientata prima, durante o dopo la battaglia, intersecando questo tema con i personaggi di AfterHogwarts.
    E se il vostro Pg fosse stato intrappolato fra quelle mura sotto assedio? O forse avrebbe preso il ruolo di Mangiamorte? Immaginate lo scontro epico, e descrivetelo con i personaggi del nostro gioco. Lennox avrebbe lanciato le sfere di cristallo come la Cooman? Rosenbaum avrebbe usato Mandragole e Tentacule Velenose come la Sprout? Chi avrebbe lanciato l'Ardemonio nella Stanza delle Necessità al posto di Tiger? Chi dei nostri Pg avrebbe lottato Acromantule, Giganti e Dissennatori, e chi invece avrebbe evacuato il castello con i Serpeverde? Chi in quella situazione sarebbe tragicamente morto portando gli onori di Lupin, Tonks, Fred?

    Immaginate,
    Scrivete,
    Condividete con noi la magia!

    REGOLE:
    → Tema: la Battaglia del 1998 in stile After-Hogwarts. Potete inventare nuove situazioni o riscrivere quelle già esistenti.
    → Personaggi: i protagonisti devono essere PG del gioco, anche i propri. Potete sostituire i ruoli della Saga con quelli del nostro forum, ad eccezion fatta del Magico Trio, di Malfoy, Piton e Voldemort, i cui ruoli sono essenziali e insostituibile per il corretto sviluppo della storia. Possono essere utilizzati PNG, inventati per l'occasione, oppure appartenenti alla saga.
    → Tempo: nel passato, anno 1998
    → Capitoli: secondo gusto
    → Lunghezza: minimo 900, massimo 3000 parole
    → Immagine: potrete abbellire il vostro lavoro con un'immagine (larghezza massima: 550 px), dovrete mettere in SPOILER le immagini originali, usate per crearla, al contrario se dovesse trattarsi di un disegno o di un lavoro manuale saranno richieste più che evidenti prove che si tratta di un vostro lavoro (EX: fotografie fatte da angolazioni diverse);
    → Dovrete compilare il seguente specchietto e copiarlo all'inizio della vostra Storia:
    CODICE
    <b>Titolo:</b> Il titolo della vostra storia
    <b>Autore:</b> il vostro nick
    <b>Personaggi:</b> quelli che appaiono nella vostra storia


    In più vi ricordiamo le solite regole, quali:
    -Controllate ortografia e grammatica, rileggete il vostro lavoro anche più volte prima di postarlo, perché lavori grammaticalmente scorretti verranno esclusi a priori.
    -È possibile partecipare con più PG per ogni singolo player.
    -Lo staff si riserva di eliminare qualunque contenuto non sia ritenuto in linea con il regolamento e l’ambientazione. Se avete delle domande, non abbiate timore di postarle nell'apposito topic prima di inviare il post per il concorso, in modo che le risposte siano disponibili a tutti.

    Per qualsiasi dubbio, vi invitiamo a postare le vostre domande QUI.

    PREMI:
    I vincitori verranno scelti dallo Staff sulla base di specifici criteri di valutazione.
    A tutti i partecipanti saranno assegnati 35 punti esperienza, ma i migliori saranno premiati con l'assegnazione di 15 punti in più per il primo classificato, 10 per il secondo e 5 per il terzo.

    Avete tempo fino al 31 Gennaio incluso29 Febbraio incluso.
    In bocca al drago!


    Edited by Andrew E. Laeddis - 29/1/2020, 11:39
     
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    Vicepreside e docente di Hogwarts

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    Titolo: La fortezza della conoscenza, fra il bene e il male
    Autore: Wyatt Wolf
    Personaggi: Wyatt Wolf, Bloom Fire



    Capitolo I: L’inizio dello scontro



    All’interno del castello di Hogwarts tutto era in fermento, dalle persone alle statue dei cavalieri in pietra che ormai avevano preso posto sul ponte che divideva il castello dalla Foresta Proibita. Era la prima volta che il giovane studente di Grifondoro Wyatt Wolf vide muoversi quell’enormi statue che fino a pochi attimi prima erano ferme sulle pareti del castello, una visione che era un insieme di stupore per quanto succedeva e di paura per quello che vedeva arrivare da dietro alla cupola difensiva che era stata eretta dai loro professori intorno alla struttura dove aveva iniziato a studiare la magia in ogni suo dettaglio. Era chiaro a tutti che la battaglia che stava iniziando era una vera e propria resa dei conti tra il bene e il male. Lord Voldemort era sempre stato per loro “colui che non doveva essere nominato” ma trovarselo contro con il suo esercito non sarebbe stato facile, la sua potenza, il timore che metteva nelle persone erano cose chiare e limpide nella mente di loro studenti. Non avrebbe mai scelto personalmente di trovarsi in quella situazione ma ormai era all’interno di uno scontro così vicino e non poteva più tirarsi indietro. Doveva tirar fuori la bacchetta e difendere se stesso, i suoi amici e tutti gli ideali che avevano sempre contraddistinto la casata in cui era finito, Grifondoro, dopo la scelta al suo primo anno del cappello parlante. Il coraggio e l’audacia erano nelle loro corde e nel loro cuore. La sua fortuna era quella di avere al suo fianco una ragazza, Bloom Fire, erano della stessa casata e ormai stava insieme a lei da un paio di anni, questa cosa gli dava veramente tanta forza e voglia di proteggere anche lei. Wyatt si portò alla sala comune di Grifondoro dove trovò Bloom.

    Ehi Bloom, dobbiamo andare ad aiutare, sai bene che lo scontro è vicino e non possiamo permetterci di stare qui a sedere evitando tutto, siamo dei Grifondoro e dobbiamo essere coraggiosi come dei leoni. La paura non deve esistere in noi.

    Le fece un sorriso dopo aver dato un’altra occhiata alla cupola difensiva che stava iniziando a cedere ai colpi che arrivavano dall’esterno, non era una bella situazione ma la voleva tranquillizzare.

    Hai ragione, non possiamo tirarci indietro. Se cadremo sarà in battaglia, ma ci hanno formato e ci siamo allenati per combattere durante le lezioni. Sappiamo come e cosa fare.

    Wyatt prese quindi Bloom per la mano e la fece alzare. Uscirono dalla sala comune e si avviarono verso la Sala Grande. Quella sarebbe stata la loro posizione difensiva, un luogo con un solo accesso e dove avrebbero potuto difendersi e difendere chi ne aveva bisogno.

    Capitolo II: La Sala Grande



    Ormai i tavoli che erano usati solitamente per mangiare erano stati posizionati di lato per usarli come barriere e ripari improvvisati, era sempre meglio aver un posto dove difendersi in caso di duelli multipli. Wyatt e Bloom si misero uno accanto all’altra così che potevano avere più lati coperti da possibili attacchi dei seguaci di Voldemort. Lo stare in quella stanza gli ricordava i bei momenti passati fino a quel momento nel castello, ogni attimo piacevole, ma non solo dato che era stata l’ultima volta in cui avevano visto l’ex preside della scuola di Hogwarts, Severus Piton che era poi scappato dalla grossa finestra ancora rotta alle loro spalle. Lui si era rivelato essere un seguace del signore oscuro, una cosa che nessuno si sarebbe mai aspettato. Aveva avuto il coraggio di prendere il posto del più grande mago di sempre, Albus Silente, che era stato ucciso a tradimento da persone fidate, non avrebbe mai potuto perdonare una cosa del genere. Gli sarebbe piaciuto essere con Silente e poterlo aiutare, ma non era andata in quel modo. All’interno della Sala Grande iniziarono ad apparire le prime figure ombrose che poi diventarono persone, combattenti della fazione opposta. Lui e Bloom iniziarono a parare i colpi lanciati da quest’ultimi.

    Bloom, te pensa a quello a destra. Io penso a questo che ho dal mio lato. Mi raccomando, massima attenzione.

    La ragazza accennò una risposta positiva con la testa e la battaglia continuò. Wyatt dopo aver parato un colpo dell’avversario trovò un attimo libero in cui contrattaccò al massimo della potenza, con uno dei migliori incantesimi che conosceva per quella situazione. Mosse la bacchetta da destra a sinistra poi disse la formula magica dell’incantesimo scelto.

    Confringo!

    Dalla sua bacchetta uscirono dei raggi di luce arancione che erano simili a delle fiamme che andare a colpire in pieno petto il nemico ferendo a morte lo stesso, non dava più nessun segno di vita. Si girò verso Bloom e vide che era un po’ in difficoltà e decise di darle mano. Usò un incantesimo che avrebbe almeno in teoria bloccato l’avversario con il quale era in lotta la sua ragazza.

    Incarceramus!

    Dal catalizzatore della sua bacchetta magica uscì un bel lampo di luce marrone e al contatto con il nemico delle funi apparirono dal nulla e bloccarono del tutto quel seguace del signore oscuro.

    Muoviti ora se ci riesci!

    Quindi dette a Bloom la possibilità di dare il colpo di grazia. Ella non perse tempo e puntò la bacchetta contro colui con cui stava duellando. Sapeva che non poteva avere seconde occasioni. Dopo aver mosso la bacchetta da destra a sinistra disse anche lei la formula magica.

    Confringo!

    Anche dalla sua bacchetta un lampo di luce partì e colpì l’avversario lasciandolo senza vita a terra. I primi due erano sistemati. Ma alle loro spalle videro apparire una nuova figura delle forze del male, sembravano non avere scampo essendo impreparati alla cosa, ma la loro fortuna fu che la professoressa McGranitt fosse presente nella Sala Grande e notò la cosa prima di agire prontamente.

    Eh no, non farete del male ai miei studenti! Tornate da dove siete venuti!

    La professoressa di Trasfigurazione puntò la bacchetta verso il nemico comune poi senza battere ciglio usò l’incantesimo da ella scelto.

    Incendio Maxima!

    L’incantesimo della professoressa fece prendere fuoco al vestito indossato dell’oppositore. Cosa che lo costrinse a smaterializzarsi lasciando la stanza. Poi la docente si avvicinò a Wyatt e la ragazza.

    State bene ragazzi? Mi fa piacere vedervi sani e in grande spolvero. Andate a dare mano ai vostri compagni, ora ci sono io qui. Su, forza, più bacchette fanno comodo nei corridoi.

    Wyatt e Bloom fecero loro l'invito della loro docente, quindi uscirono dalla sala per poi spostarsi nei corridoi del primo piano del castello, anche lì la battaglia era nel pieno dell’azione. La conclusione era del tutto lontana e la loro attenzione dovrebbe essere stata sempre massima dato che da ogni angolo poteva apparire un nemico.
     
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    Titolo: Per far spazio al Nuovo, il Vecchio deve morire
    Autore: Catherine Nott
    Personaggi: Catherine E. Nott, Amalia Harp, Frederick Nott (padre di Elijah)

    Pedone

    Catherine era una strega diplomata da meno di un anno e, da uno dei sentieri di una verde foresta scozzese, poteva vedere le alti torri della sua vecchia scuola, Hogwarts. Mai si sarebbe aspettata di osservarla dopo così poco tempo il conseguimento dei M.A.G.O. e mai si sarebbe immaginata che lo stesse facendo da dietro una fredda maschera d’argento, mentre il suo avambraccio sinistro stava continuando a bruciare di dolore a causa del Marchio Nero, che le era stato tatuato a fuoco solo di recente.
    Accanto a sé col suo portamento fiero c’era suo fratello maggiore Frederick, l’uomo, che, a causa della sua sfrenata ambizione, l’aveva condotta dall’Oscuro Signore per farla reclutare. Lei aveva dovuto chinare la testa e accettare il nero mantello e le volontà oscure del suo nuovo Lord. Se avesse rifiutato, avrebbe condannato sé e suo fratello a una morte certa; i Malfoy avevano già messo fin troppo alla prova la pazienza di colui-che-non-doveva-essere-nominato. Lei, che mai aveva reso favori a quel potente mago, non poteva permettersi di irritarlo, poiché non l’avrebbe passarla liscia.
    Suo fratello, che in quel momento già aveva sguainato la propria bacchetta ostentando il desiderio di uccidere quanti più Sangue Marcio possibile, qualche ora prima l’aveva implorata di perdonarlo per averla condotta a Hogwarts, che fra poco, se non si fosse arresa e se non fosse stato consegnato all’Oscuro Signore Harry Potter, si sarebbe trasformata in un campo di battaglia. Lei non sapeva più se credere o meno alle lacrime che aveva visto.

    “Sono solo una pedina sacrificabile e tu, fratello mio, non illuderti; non sei diverso da me.” Pensò Catherine, mentre osservava da lontano Hogwarts ribellarsi alla volontà oscura di cedere Potter.
    A quel punto l’attacco non era più evitabile. Ci sarebbe stata una prova di forza che avrebbe coinvolto loro, i Mangiamorte, contro l’Ordine della Fenice e l’Esercito di Silente. Loro avevano la forza dei numeri e delle Arti Oscure, gli altri – questo Catherine non poteva saperlo – la conoscenza e il valore per uccidere il suo Signore.

    Gli Incantesimi difensivi vennero prima evocati per proteggere le mura del castello e poi dissolti dalle forze di voi-sapete-chi.
    Anche Catherine imbracciò la sua bacchetta di Pioppo Bianco, guidata da suo fratello, assieme a un manipolo di Mangiamorte a lui fedeli, che contava anche la presenza della potente Incantatrice Amalia Harp.
    Assieme si precipitarono verso il ponte di Pietra, pronti a annientare ogni futile resistenza e a spianare la strada per l’arrivo del loro Lord, che al momento sembrava voler evitare lo scontro.
    “Ha protetto il suo serpente con una barriera... che stranezza.” Che Voldemort tenesse più al suo famiglio che ai suoi fedeli servitori era evidente, ma la difesa che aveva eretto attorno al rettile a Catherine pareva eccessiva.
    La strega, in ogni caso, si rendeva conto di dover sgomberare la mente da quei futili pensieri. I maghi che stava per affrontare forse non erano molti, ma erano avversari pericolosi. Non poteva soffermarsi su quelle piccolezze o sulle ragioni che muovevano suo fratello lungo la via dei fanatici del Sangue Puro.
    “Pensavo che Flamel ti avesse fatto superare la morte dei nostri genitori... ma evidentemente non ti conosco affatto. Non sei uno stupido, sapevi che l’Oscuro Signore stava reclutando nuovi seguaci quando ti sei unito a lui! Potevi immaginare che avrebbe voluto anche la mia bacchetta!”
    Mentre la rabbia prendeva corpo dentro di lei, la Nott evocò una Maledizione Esplosiva contro una delle statue animate dalla Trasfigurazione di Minerva McGranitt.
    Lo scontro, che l’avrebbe vista fronteggiarsi anche con chi l’aveva forgiata come strega, stava per avere inizio.

    La Promozione

    I Mangiamorte si erano ritirati nella Foresta Proibita. Mancavano poche ore all’alba, a Hogwarts era stata concessa una tregua e l’ennesima occasione per consegnare a loro Harry Potter. Proprio il bambino che era sopravvissuto si era offerto spontaneamente, all’ultimo secondo, all’Anatema del loro Oscuro Signore.

    Catherine era sconvolta.
    Il suo mantello nero era lacero e bruciacchiato ed era ferita. La resistenza che avevano trovato a Hogwarts li aveva quasi colti impreparati. Più volte era riuscita a sfuggire per un pelo alla cattura e all’identificazione. Aveva combattuto anche con persone che erano stati per lei mentori e compagni. Dinanzi a sé, vedeva il corpo del Prescelto ormai privo di vita. Eppure tutti questi fatti presi assieme avevano procurato a lei lo stesso sgomento di veder cadere a terra colui-che-non-doveva-essere-nominato.
    Bellatrix Lestrange, proprio in quel momento, stava tendendo una mano al loro Signore per aiutarlo a rialzarsi e Catherine Nott stentava a capire cosa fosse successo.
    “Non ha senso... Potter non ha neppure provato a difendersi… non l’ha colpito con nessun Incantesimo! ”
    Agli occhi di Catherine quel Lord immortale sembrava di colpo più umano e vulnerabile di quanto avesse mai osato pensare.
    Lo vide rifiutare l’aiuto della sua folle luogotenente, tornare in piedi, liberare Nagini dalla sua protezione magica e ordinare al Mezzo-Gigante Hagrid di sollevare il corpo senza vita di Potter per condurlo verso Hogwarts con un’oscura processione.

    La mano di Catherine serpeggiò d’istinto per afferrare quella del fratello e frenarlo.
    « Chi ti comanda è solo un Mezzosangue e sembra vulnerabile… vuoi il potere per vendicare i nostri genitori? Per proteggermi? Uccidilo. Diventa il nostro nuovo leader. Per lui saremmo solo pedine sacrificabili. » Disse a Frederick, quando fu certa che nessuno degli altri Mangiamorte li avrebbe uditi.
    Il fratello in tutta risposta si tolse la maschera d’argento e cercò il suo sguardo. La stava guardando come un’ingenua. La considerava ancora una bambina che non riusciva a capire un mondo che era più grande di lei.
    « L’Oscuro Signore ha appena ucciso Harry Potter. Abbiamo vinto. Lui saprà fare i nostri interessi. Ci premierà per averlo seguito fedelmente. » I pensieri di suo fratello non le vennero taciuti a lungo e lei capì quanto fossero state fasulle le lacrime che aveva versato poco prima.
    Cercando di esercitare un pieno controllo sul suo linguaggio non-verbale, Cath gli rispose, accennando un sorriso: « Forse hai ragione. »
    Le false lacrime provocavano agli altri dolore; i falsi sorrisi facevano male, invece, a chi li faceva - così si diceva.
    Catherine però non aveva cambiato idea. Ormai aveva capito che per ingenuità o per sete di potere, suo fratello l’aveva consegnata a quel macello volontariamente e quello la faceva sentire tradita.

    Distaccandosi da lui si mise in cammino, unendosi agli altri Mangiamorte. Ogni suo passo la portava avanti. Si muoveva come un pedone sulla scacchiera, cosciente tanto della sua debolezza quanto del suo potenziale. Se era vero, infatti, che quella fosse la pedina con meno valore degli scacchi, al tempo stesso essa era quella con più potenziale; raggiunta l’ultima traversa quel pezzo insignificante poteva essere promosso e diventare una regina.

    Con passo svelto raggiunse Amalia Harp. Le si avvicinò all’orecchio e, mentre un inatteso Neville Paciock dichiarava guerra a colui-che-non-deve-essere-nominato, le sussurrò parole luciferine: « Mio fratello mi ha appena confidato che ha avvelenato l’Oscuro Signore. Ci ha traditi. »
    In quel momento avvenne l’imprevedibile: Harry Potter, creduto morto, scivolò via dalle braccia del Mezzo-Gigante Hagrid e l’ultima battaglia di Lord Voldemort ebbe inizio. Essa avrebbe segnato la sua definitiva sconfitta.

    Regina

    I Malfoy e molte altre famiglie Purosangue avevano voltato loro la schiena e li avevano abbandonati.
    Quando il corpo di Lord Voldemort toccò il pavimento della Sala Grande ormai privo di vita, anche gli ultimi Mangiamorte fedeli furono costretti alla ritirata. I fratelli Nott e Amalia non fecero eccezione.
    Erano gli ultimi sopravvissuti del loro manipolo di maghi oscuri e presto si sarebbero uniti agli altri pochi superstiti ancora fedeli agli ideali del Signore Oscuro più potente della sua epoca.

    « Expelliarmus. » Un lampo di luce rossa venne evocato dalla bacchetta di Catherine e raggiunse il fratello, disarmandolo.

    Lui la guardò incredulo e impaurito. In quel momento, Catherine sentì quasi di poter avere il lusso di esitare. I suoi occhi si riempirono di lacrime sincere… ricordava quanto fossero stati soli da piccoli e come lui si fosse occupato di lei senza mai farglielo pesare. Sapeva però che lui, a quel punto, grazie al suo carisma avrebbe conquistato i rimasugli dei Mangiamorte e li avrebbe piegati ai suoi ideali di vendetta. Era conscia che lui la considerava inadeguata, indifesa e che non avrebbe mai abbracciato ciò che lei desiderava creare. Lui aveva solo il desiderio di distruggere, di sopraffare i Mezzosangue e questo poteva essere un problema per i suoi progetti futuri, che riguardavano tutto il Mondo Magico e non solo una minoranza di esso.
    Gli ideali che lei da quel momento avrebbe voluto incarnare sarebbero andati contro il nuovo Ministero della Magia. Non poteva permettersi di avere come nemici anche i Mangiamorte di suo fratello.

    « Harp, fallo. » All’ordine di Catherine, seguì l’esplosione di un lampo di luce verde.
    La luce abbandonò gli occhi di suo fratello, caduto poiché tradito da due streghe che avevano giurato di seguirlo e di combatterlo al suo fianco.
    Il quel momento Cath seppe di essere rimasta da sola. Aveva fatto uccidere l’ultimo membro della sua famiglia che le fosse rimasto.

    La Nott si era trasformata in un macellaio peggiore di quel che suo fratello era stato. A quel punto, non le rimaneva compiere il suo ultimo passo nella scacchiera per diventare una Regina... bianca.

    Riuniti da lei, gli ultimi Mangiamorte la guardavano con aria incredula. Lei non indossava il loro cupo mantello, bensì un’uniforme dai colori più chiari.
    Amalia, che vestiva come lei, le stava accanto e, come le aveva ordinato, aveva evocato un serpente simile per dimensioni a Nagini.
    Le due si erano parlate, si erano comprese e avevano deciso di abbracciare l’una la lotta dell’altra.

    “Che si compia il miracolo! ” Pensando quelle superbe parole, sorrise, e poi di colpo, concentrandosi sul rettile lì presente, parlò in Serpentese, ordinandogli di avvolgerla fra le sue spire.
    Mai aveva mostrato loro o al suo Signore quella straordinaria abilità. Solo suo fratello ne era a conoscenza.
    Fra i fedeli di Voldemort lì riuniti l’incredulità crebbe.

    « Quel che pensate è giusto: io sono la figlia dell’Oscuro Signore. » Il suo gioco d’inganni non aveva ancora avuto fine. Mentiva ai suoi futuri sottoposti senza mostrare alcun tentennamento: infatti, era vero che, come lo era stato Tom Riddle, anche lei era una Rettilofona, ma non era certo sua figlia.
    « Mio padre non è stato ucciso da Potter. L’Oscuro Signore è stato tradito dai suoi uomini più fedeli… i Malfoy e il mio fratellastro si sono accordati per attentare alla sua vita. » Dopo quelle parole, Catherine spiegò a quei malviventi che aveva già ucciso suo fratello e che gli altri Purosangue traditori sarebbero stati i prossimi a soffrire lo stesso destino.

    « Se mio padre è stato manchevole in qualcosa, ebbene posso affermare con certezza che lo è stato nel rimanere cieco dinanzi alla corruzione di quest’Ordine di maghi. » La strega continuò a parlare ai criminali lì riuniti, cercando d’ispirarli.
    « Prima di pensare al sangue dei Nati Babbani, dovremmo pensare a purificare noi stessi dai codardi che hanno cercato in noi rifugio. » Mentre sollevava le sue mani, Amalia, come l’aveva istruita, mutò il colore dei loro mantelli da nero a bianco.
    « L’Oscuro Signore, rinnegando quello con cui era nato, ha scelto di chiamarsi con un altro nome.
    Io farò di più… da questo istante, io scelgo di non avere un nome. Per voi sarò la Spirale e voi farete parte di me, diventando le mie braccia. »

    Mentre un simbolo scuro, simile per forma a un Triskeles, compariva sui loro mantelli, i suoi sottoposti la osannavano, pronti a riorganizzare le forze e ad ambire di nuovo alla grandezza, lei pensò: “Quando il tempo sarà giunto, mi sbarazzerò di ognuno di voi e vi sostituirò con chi può realmente comprendere i miei veri ideali.”

    Quando il Mondo Magico stava seppellendo i suoi morti e si preparava a vivere un periodo di pace, Catherine Nott si apprestava a dare inizio a una nuova partita a scacchi che avrebbe turbato di nuovo la quiete di loro tutti.
    Quella giovane strega era pronta a distruggere il mondo e persino se stessa.

    Nota:
    Scegliendo di anticipare le date di nascita di tutti i PG/PNG originali di questa FanFiction ho scelto anche di stravolgere le origini della Spirale, come anche il personaggio di Elijah, che non esisterebbe affatto.
    Il cambiamento di carattere di Frederick da fratello amorevole a scalatore sociale senza cuore può essere dovuto a una manipolazione esterna? Può darsi. Esplorarlo in questo racconto, che – ribadisco – non vuole essere canonico, non mi interessava.
     
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    Titolo: Pioggia di cenere nel vento
    Autore: Pan
    Personaggi: Pan, Samara, una studentessa di Hogwarts


    Pioggia di cenere nel vento



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    La sua era la storia che nessuno avrebbe mai raccontato.
    Aveva quel sorriso beffardo, giovane quanto lei, spavaldo come i vent’anni che lei non sapeva calzare: troppo larghi secondo alcuni, troppo stretti per altri. Era una stella nella notte più buia, Pan, ché non sapeva indossare neppure l’età, figurarsi il mantello nero come l’ombra che sarebbe dovuta essere quel giorno, a vestir di morte come i soldati che la circondavano nel più spaventoso degli eserciti di terracotta.
    Non sapeva perché era lì; raramente se n’era interessata. Qualcuno chiamava e lei rispondeva, come una bambina in attesa del gioco della settimana, senza un vero obiettivo, senza una vera ragione. L’orgoglio muoveva altre menti, gli ideali infervoravano spiriti diversi dal suo, e ve n’erano molti, quel giorno, alla porte di quella scuola famosa che lei mai aveva chiamato casa.
    Nessuno sapeva da dove venisse Pan e a nessuno era mai importato, neppure a quella donna austera e terribilmente seria con cui sempre s’accompagnava, nascosta all’oscuro della stessa maschera da brividi che indossava anche lei, che sembrava forgiata dal diavolo in persona, incavata degli stessi disegni maledetti che tessevano l’intreccio degli incubi.
    Samara non parlava e non avrebbe dovuto farlo; la maschera stessa li voleva asserviti ad un signore più grande, l’unico che non avesse la bocca cucita, l’unico che non fosse schiavo di nessuno o forse l’unico che tenesse tanto alla sua effimera libertà da farsi padrone di quella degli altri.
    Ma a Pan, in fondo, non importava. Delle tante vite che aveva vissuto, delle tante storie che aveva raccontato, quella era l’unica in cui aveva un nome che non fosse soltanto suo. Samara la conosceva meglio di chiunque altro, meglio della madre che non aveva mai avuto o della sorella che s’era dovuta inventare, nonostante Pan vivesse per essere dimenticata, come un ricordo d’infanzia o un pensiero inappropriato.

    Finalmente il giorno è giunto.

    Pan si voltò a guardarla, ma non avrebbe dovuto farlo. Samara emanava un’aura di solennità, come stesse per essere incoronata. L’aria spettrale della sera le scosse i capelli corvini sul profilo appena distinguibile fra le nubi scure che impestavano l’atmosfera, strisciando come serpi tra gli alberi della foresta.
    Quel silenzio era pesante, sibilante d’attesa; non aspettavano altro che il burattanaio muovesse i fili del suo personale teatrino, mettendo in scena uno spettacolo di cui lui era protagonista unico, il re nero circondato da inutili ed insignificanti pedoni.
    Premere con forza le mani sulle orecchie non avrebbe potuto fermare la voce che vi si stava insinuando, l’ennesima, nella mente della ragazza. Avesse avuto quel teschio demoniaco inciso sul braccio l’avrebbe sicuramente sentito bruciare della stessa follia che alimentava il Signore Oscuro, della stessa paura che il riflesso smeraldo nel cielo incuteva a chiunque lo guardasse, come un’aurora boreale maledetta dall’odio; ma Pan non era tra i fedelissimi e mai lo sarebbe stata, troppo ibrida, troppo inferiore, troppo anonima per esistere. Udì quel sibilo, però, ordini ben scanditi, scomodi quanto la presenza di una ragazza di vent’anni alla porte della battaglia che avrebbe deciso le sorti del millennio.
    Pan non sapeva perché era lì; forse solo perché Samara gliel’aveva chiesto. Quando le ombre si mossero all’unisono, come fossero un parto della notte, lei le seguì, vittima inconsapevole d’una scelta che aveva lasciato che qualcun altro facesse al suo posto e della quale non ebbe il tempo di pentirsi.
    Le difese del castello non erano durate a lungo, piegate dai colpi brutali di troppe bacchette al contempo; l’ordine era di non fare prigionieri, ma di certo non si sarebbe potuta aspettare volti così giovani, al di là del portone d’ingresso.

    Le persone andavano incontro alla morte nei modi più disparati. Le espressioni che incrociava parevano quadri, istantanee di un’intera esistenza congelate nel tempo, in quell’attimo eterno che ci mise a realizzare in che guaio si fosse cacciata. Vi lesse la paura mescolata all’orgoglio, la fanciullezza fusa ad un’inaspettata maturità, degli ideali così forti da dar lustro alla vita che nessuno di quei giovani aveva mai vissuto.
    Ma Pan non era come loro.
    Pan non era neppure come Samara, che decisa abbatteva i nemici come fossero manichini, inesorabile e sconsiderata come una piaga d’Egitto, fiera di principi che aveva fatto suoi sebbene non le fossero mai appartenuti. Ma quella notte, vendetta, sangue, onore, libertà, giustizia e virtù non erano che tasselli di un puzzle che si frantumava a colpi di bacchetta, polverizzandosi tra le macerie del castello, spirando dai corpi senza vita di tutti quei birilli senza volto che cadevano in nome di chi avrebbe riscritto quella storia, omettendo sagacemente i loro nomi.

    Sul volto di Pan v’era solo sgomento, lo stesso che la pietrificava in un angolo a fare da spettatrice a quella guerra tra poveri che muoveva tutti ma non apparteneva a nessuno. Osservava l’anima delle persone schizzare dai catalizzatori, sbrindellandosi in luci di giada che solcavano l’aria portando in sella la notte eterna; ma Pan se ne stava lì, come se di quella guerra fosse ospite non gradita, troppo pavida per agire, in quell’ignavia che della sua vita era stata colonna sonora, e che lei aveva imparato a spacciare a se stessa per virtù.

    No, no, no. Oh no.

    Vide Samara cadere e non rialzarsi più. I capelli le si tinsero dello stesso blu che colora l’oceano più profondo, quello ricolmo di segreti che pochi hanno il coraggio di esplorare. Il cuore le pulsava al punto di farle male, come si fosse fatto grande abbastanza da schiacciare i polmoni e lo stomaco e ridurli in poltiglia; e forse era lui a stroncarle il respiro; forse era per quello che un conato di vomito le premeva in cima alla gola.
    Non ricordava d’aver ordinato all gambe di muoversi quando si trovò china sul corpo della strega, a cavalcioni sulla sua vita come stessero giocando alla lotta. Si tolse la maschera come se scottasse, strappandosela da viso come fosse mossa da una rabbia feroce; ma quando cercò gli occhi di Samara, le scalzò quel volto macabro con la stessa delicatezza con cui avrebbe avvicinato una farfalla.

    Lo stupore di quel colpo improvviso era ancora dipinto nelle iridi ormai spente di Samara, la sua pelle candida era ancora tiepida, imperlata di sudore come fosse brina all’alba. Sul polso ormai muto si poteva ancora vedere la coda della serpe che v’era tatuata, nei cui vitrei occhi di teschio la linfa vitale della donna era stata prosciugata, trovandovi inesorabile epilogo; ma Pan era sempre stata interessata a tutti gli altri disegni incisi ad inchiostro sulla pelle di Samara, quelli della ragazza interrotta che era stata, quelli che spesso s’era soffermata ad osservare senza mai chiederle che significato potessero avere. Pensò che avrebbe voluto guardarli tutti in quel momento, in quel sipario di silenzio nella bufera che s’era creata, dove il tempo aveva smesso di esistere, ripiegandosi nell’infinito labirinto dei suoi pensieri. Non aveva neppure la forza di piangere, intrappolata nel guscio vuoto che era sempre stata, ché aveva estirpato ogni ombra di emozione dal suo cuore ben prima di poter immaginare che, un giorno, sentire qualcosa le sarebbe potute tornare utile; e se ne stava lì, a carezzare quella pelle ancora morbida, segnata da troppi pochi anni per meritarsi d’esser così fredda, a pensare che gliel'aveva detto, quella mattina, che avrebbe dovuto mettersi i guanti. O forse non aveva fatto neppure quello.

    La realtà aveva il suono di un grido, uno di quelli che giungono dal profondo di un’anima fatta a pezzi. Pan non sapeva da dove provenisse, ma bastò a ricondurla all’inferno, fra le mura diroccate d’una battaglia senza senso. Si voltò di scatto alla sua sinistra, come se un istinto innato l’avesse guidata alla ricerca di un colpevole.
    Se la ragazza di cui incontrò lo sguardo avesse avuto in mano un revolver, sarebbe stato ancora fumante; la bacchetta che, invece, stringeva nervosamente avrebbe di certo portato a lungo il ricordo dell’incantesimo che aveva scagliato con disarmante leggerezza, probabilmente mai a lungo quanto quegli occhi colmi di terrore, incastonati su un volto troppo immaturo.
    La giovane doveva avere, a occhio, la sua stessa età. Le iridi luminose parevano monete di nuovo conio, lucide e piatte nella presa di coscienza di quel che era successo in quell’effimero frammento di tempo. Pan la guardava come si stesse specchiando, ché a separarle v’era solo il velo insignificante d’una scelta che la storia aveva fatto per loro, ponendole sui due lati opposti della sorte. Chissà dove aveva trovato la forza di scagliare l’Anatema che Uccide, chissà come aveva coltivato una tale rabbia, chissà dove si nascondeva, al di là di quelle monete, la scintilla che l’aveva spinta ad ammazzare una persona. Forse non s’era neppure resa conto che, oltre quelle maschere, potesse esserci un volto simile a quello che tutte le mattine vedeva riflesso nello specchio.
    Pan la guardava e non sentiva niente. Non era stata addestrata ad affrontare la vita, figurarsi una morte così improvvisa, inaspettatamente sconvolgente; non era pronta e non lo sarebbe mai stata, sotto quegli spessi strati di indifferenza ove aveva sepolto l’anima per impedirle di spaccarsi, finendo per soffocarla.

    La persona che le aveva detto che l’Anatema uccideva in modo istantaneo ed indolore, non era mai morto.
    L’incanto la colpì al centro della schiena, lacerandola come una pugnalata, lasciandola a bocca spalancata, ancora appesa a quelle iridi metalliche così simili alle sue. Sentì un dolore così devastante da giurare che ogni singolo osso si fosse spezzato, frantumandosi in milioni di frammenti, perforando tutti gli organi al contempo; un’onda di gelo cominciò a strisciare come una vipera nelle sue viscere, ed ogni cosa che ne veniva sfiorata implodeva su se stessa, prosciugata nella voragine di sofferenza che si trascinava con sé, ingoiando la coscienza per ultima, come il destino più bastardo voleva.
    Mai aveva provato un dolore così acuto, così fitto, così devastante, ché la falce della Nera Mietitrice non era mai stata affilata come quella sera, e feroce le penetrava la carne senza lasciare tracce di sangue sui suoi passi.

    Non le fu concesso neppure di sapere se ad ammazzarla fosse stato un fuoco amico o nemico, se avesse inconsapevolmente protetto la ragazza che aveva di fronte o se un altro ragazzo si fosse sporcato l’anima per poter polverizzare la sua.
    Morì in quello stesso limbo dove aveva vissuto e dove sarebbe finita, nel mezzo di qualcosa più grande di lei; morì due volte, quella notte, ché il suo corpo esanime crollò su quello dell’unica persona che avrebbe potuto portare un ricordo di lei.
    E una volta crepata la magia nelle sue vene, lentamente svanirono anche i segni di quel potere che l’aveva accompagnata dalla nascita, mostrando la ragazza che aveva sempre nascosto sotto centinaia di maschere. I capelli si tinsero d’un castano così morbido da rubare i riflessi alle foglie d’autunno e le iridi si fecero così chiare da rendere impossibile distinguere le sfumature del cielo da quelle della terra. Sulla pelle affiorarono le cicatrici che aveva accumulato negli anni e che lei aveva sempre oscurato sotto la bambola d’avorio che il suo potere le aveva concesso di essere. Dalla più insignificante alla più profonda, rivelavano in silenzio l’unica storia che lei non avesse mai raccontato a nessuno: la sua.

    Forse avrebbe avuto occasione di rivedere Samara, di raccontarle dell’unica vita che aveva vissuto che non fosse una favola; forse avrebbe potuto chiederle di quei suoi tatuaggi, forse avrebbero potuto ridere ancora davanti ad un bicchiere del whisky più economico che offrisse il mercato; forse avrebbe avuto la possibilità di dirle che nessuno era mai riuscito a svuoverle l’anima quanto lei. O forse le loro coscienze sarebbero state trascinate nel turbinio dell’oblio eterno, in quel luogo senza luci e senza ombre in cui il Nulla regnava sovrano.

    Pan morì quella notte, insieme a decine di soldati senza nome. La sua era la storia che nessuno avrebbe mai raccontato, e sarebbe rimasta lì, a galleggiare nell’aria per un istante ancora come una pioggia di cenere nel vento, prima di posarsi e sparire per sempre.
     
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    Titolo: Lupercii Dies
    Autore: Gwen A. Fawley
    Personaggi: Guinevere (qui nota come Althea); Darius (creatore di Gwen); Scabior(da saga originale); un Ghermidore; Connor Rigby; Madison Silverweb



    Parte 1: Nox


    C’era fermento nella Foresta Proibita. Disappunto ed impazienza serpeggiavano tra le fila dei Ghermidori; presto sarebbe giunta l’ora.
    L’aria era così densa di terrore che potevano sentirne l’odore, e questo non faceva che aumentare la loro bramosia.

    Quanto dovremo aspettare, Scabior?! grugnì uno di loro, rigirando la propria bacchetta magica tra le dita adunche e sottili.
    Sta zitto, idiota! Dobbiamo attendere qui l’arrivo dei Freddi
    Il Ghermidore ribelle ruggì di rabbia: Sono stufo di aspettare i loro comodi! Propongo di attaccare ora!
    La sua proposta incontro il consenso di quei mercenari che, come lui, erano impazienti di combattere.
    Non capisco perché mai l’Oscuro Signore abbia assoldato due Esseri come loro. Non ci servono!
    Chi sei tu per discutere i Suoi ordini, eh! ribatté Scabior Se l’Oscuro Signore vuole che collaboriamo con questi… Vampiri, allora lo faremo!
    Vampiri che, a quanto pare, non si stanno nemmeno disturbando a farsi vivi
    Rise di fronte alla sua stessa ironia.

    Che battuta di cattivo gusto…!
    L’uomo sbucò dalle Tenebre, tenebra anch'egli. Sembrava quasi che l’oscurità della notte senza luna si fosse solidificata nella nera figura emersa dalla foresta. Il cappuccio del mantello nascondeva il suo volto alla vista.
    Alla buon’ora, Succhiasangue. Ti eri perso?
    Il Vampiro non disse nulla, ma allargò le labbra in un sorriso empio, abbassando il cappuccio con gesto solenne; aveva un viso tanto bello quanto crudele. Capelli corvini lisci e lunghi, legati da un nastro di velluto nero. Gli occhi con cui scrutava la folla erano azzurri e taglienti come lame di ghiaccio. Scabior non temeva né Auror né la maggior parte dei Mangiamorte, eppure si sentì vulnerabile al suo cospetto, come se fosse completamente nudo nel mezzo di una tempesta.

    Mai in vita sua aveva incontrato persona che emanasse così tanta malvagità e, contemporaneamente, un fascino tale da farti desiderare di stargli accanto; in questo, egli era di gran lunga superiore al Signore Oscuro.
    Deludente… davvero molto deludente… constatò Darius, muovendosi tra la folla con il mantello che ondeggiava ad ogni suo passo. Molti di loro indietreggiarono, salvo poi seguirlo con lo sguardo, vittime tanto del terrore quanto della sua malia. E Darius godette di questo, nutrendosi della paura ed insinuandosi nelle loro semplici menti di mercenari.
    Come siamo caduti in basso!
    Ehi, tu, chi ti credi di essere. Schifoso morto che cammina! Abbiamo messo radici a furia di attendere i tuoi sporchi comodi!
    Darius girò appena il viso verso quella voce che aveva avuto l'ardire di rivolgersi a lui, un Antico, con quei toni bruschi ed ineducati. Reclinò di poco il collo soppesando il ribelle con lo sguardo.
    Mi piacciono i piantagrane. Non c’è divertimento nel cacciare un individuo che non si ribella

    Il Ghermidore comprese il suo errore, ma troppo tardi. Un lieve bruciore gli attraversò il collo da un lato all'altro: non fu doloroso, più come quando ci si taglia con la pergamena nuova. E poi lo sentì, il sangue.
    Caldo e vischioso, sgorgava dalla sua gola tagliata. Nell'attimo di incredulità che precedette il terrore, l'uomo fissò il liquido rosso colare su mani ed abiti. I suoi occhi si spalancarono di terrore, mentre tentava di tamponare il fatale taglio. Come era potuto succedere?
    L'Essere non si era mosso di un millimetro…
    No, mio bel soldatino, così non va bene
    Mani fredde e femminili afferrarono con gentilezza le sue; il suo corpo tentò di opporsi a quell'atto, con gli ultimi baluginii di coscienza. Eppure c'era qualcosa di irresistibile in quella voce, e le dita scivolarono via.
    Ecco, così…
    Fece in tempo a vederla prima che Signora Morte allungasse la sua falce su di lui. Una donna, la creatura più bella che avesse mai incontrato. Non l’aveva nemmeno sentita arrivare, ma tutto sembrò non avere più importanza di fronte al suo volto eburneo ed ai suoi occhi color delle nocciole mature.

    La Vampira portò via il sangue dalle dita del morente con squisita lentezza, assaporando il nutrimento goccia dopo goccia. Il Ghermidore gemette, e le sue gambe si agitarono nell’ultimo spasmo vitale; quando ella sorrise, temibile e bellissima, egli si lasciò andare.
    Bravo il mio bambino
    I canini brillarono un istante, prima che la Vampira si avventasse con bramosia sulla gola del malcapitato. Fu uno spettacolo macabro, eppure non ci fu un singolo Ghermidore in grado di distogliere lo sguardo.

    Darius osservò in compiaciuto silenzio, crogiolandosi nella beltà della sua compagna. Era una sua creazione, l'ultima e la più bella. Aveva atteso secoli prima che il suo cammino incrociasse quello di Althea. Così viva, appena affacciatasi all’età adulta, delicata come il fiore di cui portava il nome eppure risoluta come la roccia delle montagne dei Carpazi. Corrompere la sua anima e la sua mente un pezzetto alla volta, un sorso di sangue dopo l'altro, era stato un atto appagante e spietato. Aveva giocato con lei a lungo, eppure Althea aveva opposto una strenua resistenza; tuttora permaneva in lei una fiammella di vita e di umanità che Darius non sarebbe mai riuscito ad eradicare. Per questo, quando uccideva, era capace di provare pietà per le sue vittime, un comportamento anomalo ma tremendamente affascinante; la dolcezza e la comprensione con cui Althea accompagnava le sue prede verso il sonno eterno era qualcosa di incomprensibile per Darius, ma era anche ciò che la rendeva unica e speciale. Era ciò che aveva risvegliato nel Vampiro sentimenti e desideri quasi dimenticati.

    Si avvicinò a lei, e le sussurrò all'orecchio: E' ora, mia preziosa
    Althea si staccò dalla sua preda, gettando la massa di capelli mossi all'indietro mentre puliva le labbra immonde e lorde dal sangue del Ghermidore. Darius le prese una mano e ne baciò il dorso, mentre la Vampira si alzava in piedi e si mostrava per in tutta la sua eleganza e pericolosità. Il suo compagno portò via dalle labbra di lei un residuo di sangue, baciando la sua bocca con il trasporto e l'erotismo di un amante appassionato.
    Ancora uno
    La folla di Ghermidori indietreggiò, mentre rivoli di sudore colavano dalle loro fronti.
    No, tesoro, dobbiamo andare
    Uno solo, fammi contenta
    Darius dilató le narici come un animale in caccia, e la sentì: la paura, che rendeva il sudore acre ed il sangue dolcissimo.
    Puoi sceglierne uno per me?

    Le iridi di Althea brillarono di un guizzo malvagio: Chi sarà chi sarà il prossimo chi lo sa…
    Cominciò a passeggiare tra i Ghermidori, con gli stivali a stiletto che affondavano appena nel terreno morbido.
    Nessun volontario?
    Gli uomini provarono a fuggire ma si accorsero di non poterlo fare… non volevano farlo. Quel… Darius… era strisciato nelle loro menti come un serpente, incatenandoli a se stesso senza che se ne accorgessero. Quando se n’erano resi conto, era troppo tardi.
    Ambarabá ci ci… co… CO
    Nell’istante in cui il dito di Althea indicò il “fortunato", l'opera di Darius si sciolse.
    Corri, soldatino!
    L'uomo, in preda al panico, prese a fuggire: quei due erano pazzi, PAZZI!
    Adoro quando scappano, sospirò enfaticamente Darius.

    Gli avrebbe dato quel minimo di vantaggio utile ad illuderlo, e poi avrebbe infranto la sua speranza. Non lo videro neanche scattare; udirono soltanto le urla della vittima, dopo qualche minuto.
    Darius non è tenero come me. Ama giocare con le sue prede rivelò Althea, con un sorriso smagliante Non mi piace, ma non posso mica impedirgli di divertirsi vi pare?
    Psicopatici!
    Così mi offendi, carino. E se mi offendo divento triste, e a Darius non piace vedermi triste
    Scabior deglutì rumorosamente: persino l’idea di trovarsi di fronte a Tu-Sai-Chi era migliore di un Vampiro sadico ed incazzato verso chi aveva offeso la sua donna.
    Che dite, cari, se ora ci incamminiamo? Marsh!
    Si avviò verso il castello trotterellando come una bambina: il pensiero di rivedere Hogwarts la metteva di buonumore. Quando però il profilo del castello si staglió davanti ai suoi occhi, Althea ebbe un attimo di esitazione: stava per profanare l’unico posto dove si era sentita veramente felice, e a casa. Il luogo dove aveva incontrato loro.

    Inter ludum

    Guinivere Fawley, Connor Rigby e Madison Silverweb non avrebbero potuto essere più diversi. Tre caratteri, tre Case: Corvonero la prima, Serpeverde il secondo, Grifondoro la terza. Guinivere, era seria, studiosa, creativa ma un po’ troppo emotiva; Madison era audace, volitiva ma terribilmente testarda; Connor era intraprendente, smaliziato ma spesso orgoglioso. Sembravano non avere alcun punto in comune, ma forse era stato proprio questo il segreto della loro profonda amicizia.

    Arrivati ad Hogwarts lo stesso anno, nel Settembre del 1977, avevano legato nel giro di poche settimane. Al quinto anno, incredibilmente, erano stati scelti come Prefetti per la rispettiva casa; quando Gwen, al settimo, fu eletta Caposcuola, gli altri due non poterono che essere felici colei che ritenevano la più adatta per quel ruolo. Sembrava un’amicizia destinata a durare per sempre.
    Poi, qualcosa era cambiato. E non fu, come qualche lingua maligna disse, perché Connor si era innamorato di una piuttosto che dell’altra; chi li conosceva bene sapeva quanto la loro amicizia fosse pura e disinteressata.

    L'ultima volta che la videro fu nell'estate del 1984, prima che partisse per l'Ungheria. Poi mesi e mesi di silenzio. La reazione nel ricevere, verso la fine dell’inverno del 1986, una lettera da parte di Gwen, aveva causato un colpo apoplettico in entrambi. La loro amica, così cara ad entrambi più di una sorella, li invitava a non cercarla mai più. Nulla scrisse la ormai Vampira in merito alla sua trasformazione, soltanto che era così cambiata nel corso dell’ultimo anno e mezzo che avrebbero fatto fatica a riconoscerla

    Gli anni passarono. Connor divenne dragoniere, Madison firmò un contratto con la catena di moda magica Stratchy&Sons. Non seppero più nulla di Guinivere. Fino al 2 Maggio 1998.



    Parte 2: Lux


    Quando le difese di Hogwarts erano crollate, Madison si trovava in cima alla Torre di Grifondoro con la professoressa McGonagall ed una squadra di studenti dell’ultimo anno. Contemporaneamente, Connor era nella Torre di Corvonero, con il professor Flitwick ed un’altra squadra di combattenti. Non ebbero modo di accorgersi dell’arrivo di Guinevere, Darius e di quei pochi Ghermidori sopravvissuti al crollo del ponte.

    Fu la Vampira a riconoscerli. Una sensazione di disagio, bruciante come una scottatura da verbena, si dipanò lungo la sua spina dorsale.
    Avrei dovuto immaginarlo
    Darius sollevò la testa dal collo di qualcuno; erano scampati per un caso fortuito al fuoco dell’esplosione, e l’estremo bisogno di sangue gli aveva fatto affondare i denti nel primo umano vivo incontrato.
    Devi nutrirti, mia preziosa
    Dopo. Non ho sete, adesso

    La vista dei suoi cari amici di un tempo l’aveva resa insensibile al richiamo del sangue. Non riusciva a togliersi dalla testa le immagini dei loro volti. Darius le si avvicinò, offrendole quella che credeva potesse essere la preda preferita della sua compagna: adolescente maschio, nel fiore degli anni. Althea (o Gwen?) l’aveva appena degnato di uno sguardo; c’era così tanta paura negli occhi di quel povero fanciullo...!
    Bevi
    E’ solo un ragazzino, Darius
    Non eri tanto più grande di lui

    La Vampira si avvicinò al ragazzo, e ne sollevò il volto fino a che gli occhi di lui si persero in quelli di lei; quando fu certa che non avrebbe avvertito né paura né dolore, gli spezzò il collo. Il fanciullo mai avrebbe saputo che la sua morte rapida era stata un atto di clemenza della Vampira, per evitargli una fine peggiore ad opera di Darius.
    Dividiamoci. Le Torri lasciale a me

    Egli amava Althea, così tanto da accettare le sue peculiarità. Ma non tollerava quegli slanci emotivi, né insubordinazione da parte di una sua creatura: Da quando una Vampira novella osa dare ordini ad un Antico?!
    Althea gli sorrise in maniera disarmante e divertita: Tesoro! Una di quelle torri è stata casa mia per sette anni. Non vuoi impedirmi di vederla ancora una volta prima di raderla al suolo, vero?

    Darius sogghignò: l'avrebbe accontentata, di nuovo. Se lo meritava. E più egli l'avrebbe resa contenta, più il legame di Althea con il proprio passato si sarebbe affievolito.
    Vai, allora. Divertiti
    Le sembianze della donna cambiarono, fino ad assumere quelle di un pipistrello. Ben altri propositi albergavano nell’animo martoriato della ragazza, divisa in due tra luce ed ombra. I suoi amici… i suoi più cari amici erano lì… Era come se il suo povero cuore straziato ed ucciso dalla tenebra si fosse risvegliato a nuova vita. Doveva vedere i loro visi ancora una volta, prima che fosse troppo tardi. Erano lì in difesa del bene e di ciò in cui credevano. Gwen Althea non sapeva più in cosa credere…

    Nessuno si accorse del piccolo pipistrello nero che approfittò di un varco per entrare. Trovò un luogo sicuro e buio dove riprendere le sue sembianze umane, ed attese, acquattata nell'ombra che aveva imparato ad amare. Non seppe quantificare quanto: minuti, forse un paio d'ore, ma non aveva importanza. L’atmosfera che si presentò ai suoi sensi acuti fu strana. Era come trovarsi al centro di un tornado, dove i venti calano e si può tirare un momentaneo sospiro di sollievo. Non era finita.

    La voce del Signore Oscuro pervase tutta l'aria.
    Avete un'ora. Disponete i vostri morti con dignità
    Non diede credito né ascolto alle sue parole: tutti i Vampiri erano rimasti neutrali in quel conflitto, seguendo come unico richiamo quello della sete di sangue. E loro non erano lì né per agevolare Voldemort né per ostacolarlo. Erano lì perché, per loro, non era altro che un invitante banchetto.Ora, Harry Potter, mi rivolgo direttamente a te. Tu hai consentito che i tuoi amici morissero per te
    Quelle parole la colpirono profondamente. I suoi amici… amici di Potter… amici di Gwen… Amici. Connor e Madison erano stati i suoi amici, e non avrebbe permesso che gettassero via le loro giovani vite. Se erano sopravvissuti al primo attacco, li avrebbe trovati e portati via da lì. E poi sarebbe sparita, questa volta per sempre.

    Trovò Madison per prima, ferita in modo non grave, mentre piangeva al fondo delle scale della Torre di Grifondoro; accanto a lei c’era il cadavere di qualcuno che forse era stato suo amico. Sangue... avvertì un senso di sete spasmodica, al quale si impose di resistere.
    Silver!
    Bastò quello ad attirare l'attenzione della rossa. Due sole persone l’avevano chiamata così: uno era lì al castello, e l'altra – non poteva essere.
    La sua cara amica non poteva essere lì!
    ...Gwen?
    Gwen… nessuno l’aveva chiamata così negli ultimi quattordici anni.
    Sei davvero tu??
    Odore di sangue… la Vampira indietreggiò con un balzo quasi felino.
    Gwen…?
    Corse via; non c’era ostacolo che potesse fermarla. Non lo sopportava… tutto quel sangue sparso sulla pietra…

    Fu allora che trovò Connor. Immobile, riverso sul freddo pavimento del corridoio; poco distante, l'intero fianco del castello era esploso.
    No. No, ti prego!
    Si inginocchiò davanti al corpo del suo amico che sembrava ormai privo di vita, e cercò anche solo un piccolo segno che potesse dargli una speranza. Lo trovò in un flebile battito, lievi pulsazioni che urlavano che Connor non si era ancora arreso all'inevitabile.

    Usò un'unghia affilata per aprire un taglio sul suo polso, e gocce di sangue immondo stillarono dalla ferita fin sulla bocca dell'uomo.
    Sangue… era l’unico modo…
    Accadde rapidamente. I battiti di Connor accelerarono di colpo, ed egli spalancò gli occhi come destato da un rumore improvviso.
    Diavolo di uno Spinato--- Fawley??????
    Ciao, Rigby
    Avrebbe voluto dirgli tante cose, ma lasciò che lui la scrutasse in viso, e che capisse.
    Che cazzo! Fawley, tu…?
    Le gocce del mio sangue ti garantiscono dodici ore di benessere. Fuggi, va via da qui. Se riuscirai a raggiungere il San Mungo o qualsiasi altro ospedale, te la caverai!
    Wooo, Fawley, rallenta. Che – che hai detto?
    Connor!!! Connor, ho visto – per tutti i folletti, Gwen!!
    Avada Kedavra

    Madison cadde. Passò dalla gioia alla morte senza rendersene conto; il suo corpo crollò a terra con un tonfo. Connor e Gwen non ebbero nemmeno il tempo di urlare.
    Che peccato, così giovane
    Darius!
    Mia preziosa. Vedi cosa succede se ti allontani da me?

    Diede un calcio al cadavere di Madison; Gwen sentì la rabbia montarle dentro. Rabbia distruttiva.
    Scappa sussurrò a Connor Scappa!! Corri, corri!
    Non aveva salvato Madison, ma non avrebbe perso anche lui.
    Mi piace quando scappano
    Non ti permetterò di fargli del male!! Incendio

    Sapeva a cosa sarebbe andata incontro con quell'incantesimo, ma l’unica cosa importante era dare al suo migliore amico una possibilità. Solo il tempo di smaterializzarsi. Anche un Antico arretrava di fronte al fuoco.
    Va --- via!
    Lo supplicò di farlo, sperando che il suo maledetto orgoglio non lo tradisse. Era debilitata, assetata... non ci sarebbe stata altra occasione.
    Corri
    Fu l'ultima cosa che gli disse, prima di perdere quasi i sensi

    Oh, che peccato. Pazienza
    Ce l'aveva fatta! Connor era fuggito!! Fu con quel peso in meno sul cuore che ella si abbandonò alle braccia di Darius, quando egli la sollevò da terra.
    Ora staremo sempre insieme
    Si mosse lentamente, con la sua creatura tra le braccia.
    La mia Althea...
    Gwen strinse la mano sulla sua bacchetta. Un colpo secco, e l'arma di biancospino trapassò il cuore di Darius. Anche Gwen lo sentì, riflesso, il dolore.
    Althea...
    Mi chiamo Gwen!
    Darius sprofondò in uno stato di ibernazione. Gwen afferrò la bacchetta che aveva ucciso Madison, ed incise la parola "Vampiro" sulla fronte del caduto. Un avvertimento, affinchè nessuno avesse mai l'ardire di rimuovere la bacchetta dal suo cuore.

    Parte 3: Pax


    Gli ci vollero settimane per riprendersi. Una volta concluso l'effetto taumaturgico del sangue i Gwen, i Guaritori avevano avuto il loro bel daffare. Eppure era ancora vivo. Sperò di ricevere una visita dalla sua amica, ma non accadde; un giorno, però, un gufo bruno gli portò una lettera.
    E Connor seppe che Gwen era fuggita, come lui. Gli chiese un anno, poi l'avrebbe cercato.

    Non ho mai davvero pensato a cosa fece Gwen durante la Battaglia di Hogwarts. Probabilmente restò nascosta da qualche parte. Per questo ho deciso di approfittare dell'occasione per raccontare, in una sorta di what if... cosa sicuramente non è stato. Naturalmente le tempistiche della trasformazione di Gwen sono state riviste, così come l'amicizia tra lei e Connor, e tra lei e Madison è stata inserita in un contesto diverso per ovvi motivi
     
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    Titolo: Clandestina
    Autore: Brianna Foxglove
    Personaggi: Brianna, professor Flitwick, Cyrene Huxley, Membro sconosciuto ODF



    Notte tra il 1 ed il 2 Agosto 1997
    Arrivarono in piena notte, una notte di Agosto particolarmente calda. Troppo calda, anche per le migliori estati della Scozia. Non si sa se furono le temperature anomale, una sensazione strana o semplicemente il poco sonno ad impedire a Brianna di riposare; fatto sta che, quando entrarono nella sua calma, la trovarono sveglia, spaventata e con la lampada da comodino in mano, pronta per essere usata come oggetto contundente.

    Un ometto di bassa statura che Brianna conosceva molto bene si fece largo in mezzo alla piccola folla, prima che le bacchette puntate potessero spaventare ancora di più la ragazzina.
    Arma interessante, miss Foxglove
    Professor Flitwick?
    Abbiamo poco tempo, professore! Si sbrighi, io vado a prendere gli altri, intimò uno dei maghi sconosciuti
    Oh certo certo. Svelta Brianna, dobbiamo andare, svelta!

    Lungo il corridoio arrivarono delle urla, e la giovane Corvonero riconobbe le voci spaventate dei suoi fratelli.
    Cailean! Alistair!!... No, mi lasci, mi lasci!!!
    Non c'è tempo, Brianna. Ascolta, ascoltami!!
    Parlò rapidamente, mentre mi invitava a seguire una strega sconosciuta fuori dalla mia stanza. Nominò Tu-Sai-Chi... e il Ministero della Magia... e i Mangiamorte... tutte notizie che a Brianna parvero buttate a caso, talmente il professore le snocciolò di corsa. E la sua vocetta acuta non migliorava la credibilità di tali affermazioni.

    Scesero al piano inferiore, dove lo sconosciuto che aveva messo fretta al professore se ne stava in piedi nell'atrio, insieme con i due fratelli Foxglove in tenuta da notte.
    Alistair! Cailean!! State bene?
    Corse verso di loro e li abbracciò forte; il mago frettoloso continuava a guardare nervosamente verso la finestra.
    Diggle e la Jones dovrebbero essere qui a momenti. Spero che il trasferimento degli zii di Potter non abbia dato loro problemi

    Brianna sgranò gli occhi: Potter? Harry Potter?
    Non aveva saputo chi fosse Harry Potter, prima di iniziare a frequentare Hogwarts. A dirla tutta non aveva saputo dell'esistenza di Hogwarts per tutti i primi anni della sua vita, fino a che non aveva liberato con la levitazione una palla incastrata fra i rami di un albero.
    Miss Foxglove... Brianna... è molto importante che tu ascolti quello che ti dico ora. E anche voi ragazzi. E' di vitale importanza per tutti
    La ragazzina si strinse vicino ai suoi fratelli, spaventata; Cailean diede un colpo nel fianco ad Alistair che non la smetteva di fissare il piccolo mago con la barba.

    Siete in pericolo. Brianna è una nata babbana, e verranno a cercarla. Verranno a cercare tutti se non vi mettiamo in salvo ora. Potete fidarvi di queste persone, loro vi aiuteranno... ma non potreste stare insieme.
    Cosa? No! No, io voglio restare con loro!!
    Brianna, per favore. Sai anche tu che non puoi. Cosa pensi che faranno i Mangiamorte se li troveranno?
    E mio padre?
    Abbiamo mandato qualcuno a prendere anche lui, puoi stare tranquilla
    Sono arrivati! Dobbiamo andare!

    Furono brutalmente separati, senza avere il tempo di salutarsi degnamente, senza avere idea di dove fossero diretti, e senza sapere se mai si sarebbero rivisti. Brianna non aveva mai pianto tanto in vita sua come quella notte.
    La mia gatta, la mia gatta! Per favore!! Bluebell, Bluebell!!
    Fu spinta verso un'automobile dal normalissimo aspetto babbano; poco prima che l'uomo la facesse salire, una palla di pelo bianca e rossa saltò dentro il veicolo.
    Oh Bluebell, ce l'hai fatta, ce l'hai fatta!
    Bri-liv
    Cy? Oddio Cy! Cyerene!!

    Si gettò al collo della compagna di scuola e amica, ignorando volutamente il fatto che la ragazza non amasse troppo certi slanci emotivi ed affettuosi; tuttavia, anche Cyrene era stata strappata pochi minuti prima dalla sua famiglia adottiva, e stava soffrendo più di quanto non desse a vedere.
    Strillona si è spaventata quando sono arrivati. E' volata via... non so dove sia...
    Cominciò a singhiozzare piano, quasi vergognandosi di quella reazione che non si addiceva tanto al suo carattere chiuso, riservato e persino un po' algido. Poichè quando hai quindici anni, e degli sconosciuti piombano in casa tua nel cuore della notte esponendoti circostanze per cui corri un mortale pericolo, non puoi fare altro che piangere.

    Mesi successivi
    Vivevano in clandestinità, cambiando rifugio a scadenze regolari per evitare di essere trovate. C'era sempre qualcuno che le sorvegliava, ma mai lo stesso membro dell'Ordine più di una volta; nessuno rispondeva mai esaustivamente alle loro domande, nessuno nominava mai i fratelli di Brianna o i padri di Cyrene. L'unico momento di felicità era stato il ritorno inaspettato di Strillona, la poiana di Cyrene, che aveva reso felicissima la sua padrona ed infastidito la gatta di Brianna.

    Altri studenti nati babbani come loro erano stati portati in salvo dall'Ordine della Fenice; un paio di questi si erano uniti alle due amiche, e viaggiavano con loro. Nessuno di loro aveva potuto fare ritorno ad Hogwarts. Cyrene ogni tanto scherzava sul sollievo nel non dover affrontare i GUFO, ma Brianna sapeva che lo faceva soltanto per attenuare lo sconforto. Una volta al giorno potevano sedersi tutti insieme in compagnia del loro sorvegliante, ed ascoltare una stazione radio clandestina che dava notizie piuttosto attendibili sul mondo esterno. Uno dei loro compagni di viaggio, che era di Grifondoro, riconobbe la voce dei gemelli Weasley, i due famigerati studenti che due anni prima avevano fatto vedere i sorci verdi all'odiosa insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure.

    Fu dalla radio che seppero della Commissione per il Censimento dei Nati Babbani, un nuovo e crudele modo per mettere in cattiva luce i maghi e le streghe come loro, atto a mirare al raggiungimento di una purezza di sangue che si era persa nei secoli, ma che alcune famiglie di antico lignaggio chiedevano a gran voce.
    E' come durante la Seconda Guerra Mondiale. Loro sono i Nazisti, e noi siamo i perseguitati, aveva commentato Brianna, in uno slancio colto tipico dei Corvonero. Nessuno si era sentito in dovere di ribattere.

    A Marzo del 1998 incontrarono un gruppo di Ghermidori durante uno dei loro spostamenti. Fu solo per caso, o per fortuna, che non furono trovati: gli sgherri sembravano occupati con un altro gruppo di malcapitati, e questo aveva dato loro il tempo di allontanarsi e mettersi in salvo. Non avrebbero mai saputo chi fossero i prigionieri che senza volerlo avevano permesso loro di scappare.

    2 Maggio 1998 - Battaglia di Hogwarts
    Erano nell'ennesimo posto sconosciuto - una casa appartenente a qualcuno dell'Ordine - seduti su un vetusto tappeto, per mano gli uni con le altre, in attesa. Non c'era nessuno con loro, poichè tutti erano impegnati nell'ultima decisiva battaglia. In un modo o nell'altro, quella notte, sarebbe finito tutto.

    Avevano imparato tanto in quei mesi di clandestinità, dove niente era mai certo e niente era mai sicuro. Avevano imparato a sopravvivere, a contare su loro stessi e sulle loro risorse; erano cresciuti. Avevano ricevuto preziose e precise istruzioni in caso di sconfitta: ad ognuno di loro era stata data una busta con un luogo da raggiungere e le istruzioni del caso. Eppure nessuno di loro sperava di doverla usare, poichè un'altra cosa che avevano imparato nei mesi di clandestinità era che c'era sempre speranza.

    Quando il Patronus argenteo irruppe nella stanza, trasalirono. Per un attimo, l'unico rumore fu quello dei loro respiri strozzati.
    Il fulmine ha vinto. Ripeto: il fulmine ha vinto. Tu-Sai-Chi è caduto questa notte. Ripeto...

    Passi concitati su per le scale: la donna che li aveva ospitati in quella notte fatidica arrivò di corsa, stringendo al petto il suo nipotino di pochi giorni, un singolare bambinetto dai capelli celesti. Di lì a pochi minuti, il suo mondo sarebbe crollato alla notizia della morte della sua adorata figlia e del genero, caduti entrambi nella battaglia. In quel momento, però, tanta era la gioia per la vittoria che spalancò la porta con forza.

    Abbiamo vinto!
    Due semplici parole, ma le più belle che Brianna, Cyrene e gli altri avessero udito negli ultimi mesi. La prima a scoppiare a piangere fu Brianna, ma gli altri la seguirono a ruota. Era tutto finito. Presto sarebbero tornati a casa.

    Pochi giorni dopo, Bri e Cy salirono di nuovo in macchina, la stessa che ad Agosto le aveva portate via. Solo allora, Brianna seppe che la sua casa di Glasgow era stata distrutta da alcuni Mangiamorte andati a cercare lei e la sua famiglia; non vi avrebbe più fatto ritorno. Quando però vide i visi di suo padre e dei suoi fratelli ad attenderla al luogo convenuto, capì che non le importava. Loro stavano bene.

    Stavano bene tutti, e finchè fossero stati insieme sarebbero stati a casa.
     
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    Titolo: Collane e Colori
    Autore: Hesper E. Fawley
    Personaggi: Hesper Ecate Fawley, Stephen Piper (inventato)
    Lord Voldemort(Solo citato)

    Tra mille cose che avrebbe potuto desiderare Hesper Ecate Fawley durante quella guerra, l'incapacità di vedere i colori era al primo posto.
    Stesa a terra, colpita da uno schiantesimo tanto potente da ribaltarla e indurla in uno stato di shock che le impedì non solo di muoversi ma anche di sentire ciò che le accadeva intorno pareva una benedizione solo a metà; i suoi occhi riuscivano ancora a muoversi frenetici, carichi di quell'adrenalina altrimenti utilizzata probabilmente per scappare lontano, alla ricerca di un riparo dal chaos infinito.
    Forse era già morta, forse non ancora. Sperava in un ultimo sguardo a tutta la vita vissuta fino a quel momento, tutti i momenti felici passati tra quelle mura magiche custodi di segreti ed esperienze uniche nel loro genere, del resto il detto era quello, no?
    Lampi blu, rossi e i più brutti, quelli verdi, passavano sopra di lei come lucciole in preda al panico totale, si sarebbe tanto voluta alzare per aiutare ma fino a quel momento niente di ciò che aveva fatto si era rivelato utile, anzi.
    Aveva perso tutte le ancore che la tenevano aggrappata alla vita: sua nonna in primis, la sua esistenza era stata cancellata proprio dalla bacchetta impugnata dalla madre, la quale per quella sera aveva deciso di abbandonare il candido camice da guaritrice per delle vesti più scure e maligne, assieme a suo padre e Carrie.
    Hesper non riusciva più neanche a pensare. Provò dolore nel girare la testa quando un qualcosa catturò l'attenzione della coda dell'occhio, non era la sola stesa lì, in quel corridoio diventato cimitero, altri continuavano a cadere e lei se ne incolpava anche se non avrebbe potuto fare molto di più in una situazione diversa.
    Il rosso del sangue non era mai stato più spaventoso, in esso sembravano riflessi i volti di tutti i suoi amici, i colori delle case di Hogwarts invece non erano mai stati così spenti e funebri ai suoi occhi. Era tutto un vero inferno.
    Non trovò strano che nessuno dei mangiamorte aveva deciso di infierire sui morti di quella zona, in realtà non riusciva proprio a ragionare; i pensieri andavano dove volevano, si bloccavano per diversi secondi solo su quello che il suo sguardo riusciva a captare in quella posizione a lungo andare nemmeno troppo scomoda.
    Riuscì a portare la mano al collo, dove una collana con due anelli intrecciati tra loro formavano il ciondolo, aveva vissuto la sua prima storia ad Hogwarts, e adesso lui sarebbe rimasto solo, come faceva a saperlo? I due avevano fatto incantare gli anelli, come una specie di rito d'amore o simile: nel caso fosse successo qualcosa di grave ad Hesper, il ragazzo in questione avrebbe visto l'anello con il proprio nome iniziare una veloce degradazione fino ad arrivare alla rottura. Nel caso contrario, la cosa sarebbe avvenuta all'anello con il nome della giovane strega.
    Erano stati divisi quando tutto era cominciato, si erano cercati tutto il tempo ma per sfortuna della Fawley, il mondo in cui viveva non era una favola, era la realtà vera e propria. Chissà se il suo fantasma sarebbe rimasto lì, alla continua ricerca dell'amato mai ritrovato.
    Chissà se lui fosse riuscito a salvarsi alla fine di tutto.

    ***

    Essere stato rinchiuso nelle segrete solo perché indossava una divisa dai colori identici a quelli dei suoi compagni di classe era stata un'ingiustizia vera e propria, ma non era la prima volta che una cosa del genere gli capitava, con il tempo aveva imparato a non reagire e a seguire la massa in silenzio, solo che quella volta la situazione era diversa, e se non avesse smesso di rigirarsi la collana con i due anelli tra le mani probabilmente l'incanto di cui erano stati impregnati si sarebbe sgretolato ancora prima che il peggio si fosse avverato.
    Stephen Piper, un ragazzino mai cresciuto, timido e inventore di fantasie non era mai stato sicuro della scelta del cappello parlante, si sentiva sbagliato in mezzo a tutti quelli che per la maggior parte appartenevano a ricche famiglie purosangue, e che magari si permettevano di poter fare gli arroganti con i più piccoli; lui era diverso, proveniva da una famiglia come tante altre e forse per fortuna ma nessuno era mai venuto a sapere delle sue origini babbane.
    Aveva incontrato Hesper al terzo anno e seppur diffidente all'inizio ben presto aveva capito che la sua vicinanza, il solo sentire la sua voce gli rendeva difficile fare qualunque cosa, quella strega in quegli anni gli aveva permesso di vedere il mondo con occhi diversi, più colorato, emozionante e ricco di piccole sorprese nascoste a chi non apprezza quello che ha e invece si fa invadere dai capricci, desideroso di ottenere sempre di più.
    Era stata la sua salvezza e perderla significava tornare indietro, in quel mondo privo di qualsiasi colore.
    L'idea dei due anelli era stata sua, aveva detto che per quanto tragico poteva sembrare in realtà aveva un fondo di romanticismo, perché ogni qualvolta si fosse trovata in difficoltà lui l'avrebbe trovata e aiutata, a qualsiasi costo
    In mezzo a quel campo di battaglia trovarla non sarebbe stato facile, sopratutto quando dietro ogni angolo ci si poteva trovare un mangiamorte pronto a scagliare un Avada Kedavra. No, doveva trovarla ad ogni costo, non era il momento di lasciarsi sopraffare dalla codardia.
    Arrivato al corridoio poco distante dal chiostro la scena che gli si presentò non fu bellissima, coperti per la maggior parte da mantelli neri era difficile capire se quelli a terra fossero stati amici o mangiamorte e l'unico modo per scoprirlo era quello di scoprirli uno ad uno fino a che gli occhi scuri non incontrarono la figura dormiente di Hesper. Dormiva, non era morta. Aveva solo perso i sensi.
    Si trattenne dal piangere, dall'urlare e dal dare di matto. Se l'avesse lasciata lì allora davvero non avrebbe potuto più vedere quegli occhi che si divertivano a cambiare colore quando le emozioni prendevano il sopravvento, non avrebbe più visto lei, la sua ragione di vita.

    Ti amo.

    Era riuscito a raggiungere quella che una volta era la Sala Grande, dove aveva cercato un posto "sicuro" tra le panche e le macerie, un posto dove i mangiamorte non avrebbero potuto guardare se in preda all'adrenalina ma le infermiere della scuola si, una volta che tutto sarebbe finito.

    Vivi.

    Si strappò la collana dal collo, cercando di mettere da parte la paura, e gliela mise nella mano, al suo risveglio avrebbe capito.

    ***

    I sogni ti ingannano, gli incubi ti preparano.
    Se aprendo gli occhi Hesper sperava di rivedere i volti della nonna o di tutte le altre persone che l'esercito di Lord Voldemort aveva ucciso davanti ai suoi occhi, be' si sbagliava.
    La luce entrava dalle vetrate distrutte, le urla disperate erano cessate, sostituite dal tipico vociare degli studenti, si sentivano boccali che sbattevano tra loro e i passi del viavai ai piedi della strega rimbombavano leggeri tutt'intorno.
    Dove si trovava? Era morta e quello era il paradiso?
    No, sentiva troppo dolore per essere morta.
    Allungò la mano al collo, alla ricerca della collana e degli anelli ma al tatto, ciò che sentì, fu un solo anello.
    Se qualcuno fosse arrivato in quel momento, per dirle che Stephen era morto, probabilmente non lo avrebbe nemmeno ascoltato.
    Fu però nel mettersi seduta che notò un bagliore con la coda dell'occhio, una luce forse, o un riflesso; voltandosi in quella direzione ciò che vide forse le fece ancora più male.
    Era l'altra collana, anche quella con un solo anello.
    Era riuscito a trovarla, come aveva promesso.

    Ti amo...

    Oltre alle forze erano svanite anche le lacrime.
    Aveva perso tutto eppure era ancora viva, solo grazie a lui.
     
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    Northern Ireland

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    Titolo: Paura nei Sotterranei
    Autore: Chris Brian AJ O'Neill
    Personaggi: Chris, Lumacorno, McGranitt, altri personaggi canon.

    Le grida risuonavano negli alti corridoi, mischiandosi allo scalpiccio affrettato dei piedi e al mormorio preoccupato dei quadri alle pareti. La voce di Lumacorno risuonava tra le pareti della Sala Comune di Serpeverde esortando tutti a svegliarsi e procedere velocemente in Sala Grande. Il tono era agitato e le parole sconnesse, vaghe e poco chiare.

    Assedio... tutti in Sala Grande.
    Bisogna evacuare, sbrigatevi.


    Era tutto ciò che ripeteva, ma quelle frasi non avevano molto senso se non inserite in un contesto più ampio. Ed era inutile chiedere ulteriori spiegazioni, il professore negava i dettagli scuotendo la testa e borbottando sommessamente. Pareva quasi che il solo pensiero lo agitasse, e ancora di più condividerlo ad alta voce.

    Chris sbarrò gli occhi, udendo l'allarme risuonare nella sua camera, così come in quella di tutti gli altri. Si mise a sedere, scattando come una molla, mentre le luci a petrolio si accendevano ad illuminare i volti dei suoi compagni di stanza, tutti a boccheggiare come pesci.

    Che succede?


    Si passò una mano sugli occhi, per eliminare le ultime tracce di dormiveglia. Era assonnato, ma nemmeno poi tanto, ché in quel periodo dormire era più difficile del previsto. Sempre sul chi vive, sempre sull'attenti. Non riusciva a ricordare una notte di vero sonno ristoratore in mesi.
    Balzò giù dal letto e si lanciò ad afferrare la sua bacchetta. Recuperò la sua vestaglia da camera e raggiunse il corridoio ornato in verde-argento. Un prefetto girava per le stanze bussando e urlando ordini, tirando letteralmente giù dal letto i più pigri e quelli con il sonno pesante.
    Chris si fece avanti, mischiandosi alla folla, cogliendo informazioni frammentate da chi parlottava intorno a lui. I mormorii degli studenti andavano a colmare le lacune lasciate da Lumacorno.

    Tu-Sai-Chi...

    Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato...
    ...è qui!


    E a quelle parole si sentì morire.

    In un attimo furono tutti in Sala Grade, e con tutti si intendeva proprio tutti. L'intera scuola era lì, in pigiama o in vestaglia. Ma non solo, ospiti speciali contornavano il corpo studentesco: Auror, ex-studenti, ex-professori, ma per lo più erano Weasley dai rossi capelli e i vestiti malconci. Non era chiaro cosa stesse facendo lì quel gruppo di estranei, almeno finché non sbucò la figura di Harry Potter. Mormorii si sollevarono tra i tavoli delle case, mentre la McGranitt dava direzioni sull'evacuazione. Il professor Piton se l'era data a gambe, quindi ora era lei a comandare. Chris si chiese dove fossero finiti i Carrow per permettere una cosa del genere.
    Le indicazioni della Vicepreside dicevano che dovevano seguire i Prefetti al punto di evacuazione, senza interruzioni o tappe intermedie: dovevano abbandonare le loro cose, lasciare tutto lì, in balia di chissà quale disastro. Diceva che i maggiorenni potevano rimanere a combattere se lo desideravano, ma chi poteva mai essere tanto stupido da fare una cosa del genere?
    A Chris non sarebbe passato mai nemmeno per l'anticamera del cervello, non che avesse possibilità di scelta visto che aveva appena 16 anni e non gli sarebbe stato concesso ugualmente.
    Il discorso stava ormai per volgere al termine, ma prima che la McGranitt potesse dare il via ufficiale all'evacuazione una voce rimbombò nella sala. Acuta, fredda e chiara. Era impossibile capire da dove venisse, sembrava uscire direttamente dalle mura.

    So che vi state preparando a combattere.


    Seguirono grida spaventate e agitazione tra gli studenti, confusi e disorientati da quella voce misteriosa, che misteriosa non era. Si trattava chiaramente di Tu-Sai-Chi.
    Chris rabbrividì. Sentì la pelle accapponare, dalla base della schiena fin sopra alla nuca, fino a fargli drizzare i capelli.

    I vostri sforzi sono futili. Non potete fermarmi.
    Io non voglio uccidervi. Nutro un enorme rispetto per gli insegnanti di Hogwarts. Non voglio versare sangue di mago.


    Non era chiaro quali emozioni si provassero, o si era intitolati a provare, nell'udire quelle parole. Timore, rispetto, sollievo, paura, ma tutto allo stesso tempo.

    Consegnatemi Harry Potter e a nessuno verrà fatto del male.
    Consegnatemi Harry Potter e lascerò la scuola intatta.
    Consegnatemi Harry Potter e verrete ricompensati.
    Avete tempo fino a mezzanotte.


    Gli occhi di tutti puntarono il ragazzo che era sopravvissuto, quasi a volerlo imprigionare con lo sguardo. Chris dal canto suo guardava le pareti e il soffitto, chiedendosi come diavolo avesse fatto a comunicare a così lunga distanza. Non c'erano altoparlanti, né trasmettitori. Voleva sapere come fosse possibile, quali fossero le dinamiche di quell'incantesimo, voleva conoscere.
    E mentre lui era perso nel suo senso di meraviglia, Pansy Parkinson parlò, solo per constatare l'ovvio. Ma ciò che era ovvio non era necessariamente condiviso da tutti. C'era sempre chi negava l'evidenza.

    A quel punto, nella tensione più totale, i Serpeverde furono invitati a lasciare la Sala, iniziando l'evacuazione.
    Chris si unì al gruppo, ma rimase in coda, mentre i compagni si affrettavano e accalcavano verso l'uscita. Dopo di lui, c'era solo il Prefetto chiudi-fila.
    Prima di lasciare la Sala non poté fare a meno di voltarsi e assorbire l'immagine che aveva difronte. Quella Sala, compagna di tanti pasti, eventi ed esami. Le mura, ornate di quadri viventi. Il cielo stellato a corniciare le loro serate, di un azzurro serafico anche durante il giorno più uggioso. Il loro tavolo, apparecchiato di verde-argento, ormai vuoto. Le chiacchiere, le risate, i compiti, la spensieratezza giovanile, tutto quello sarebbe sparito nel nulla. Nel giro di una mezz'ora.

    Muoviti O'Neill, che fai
    - sbottò il prefetto spazientito.

    Dico addio per sempre.


    E con l'ultimo sospiro, abbandonò definitivamente la sua scuola a un destino infame.

    Il manipolo di Serpeverde arrancava sulle scalinate. I cambianti improvvisi delle rampe di scale rendevano difficile seguire una direzione specifica, ma i prefetti sembravano sapere dove stessero andando.
    Chris ignorava il motivo per il quale stessero salendo invece di scendere, ma forse c'era un passaggio segreto da qualche parte. Giunsero al settimo piano e proseguirono fino a fermarsi di fronte all'arazzo di Barnaba il Babbeo. Lì non c'era nulla, se non un muro vuoto. Ma lentamente, la parete fece posto a un portone, che comparve di fronte a loro dal nulla.
    Non aveva minimamente idea che esistesse una stanza segreta al settimo piano.

    Passo troppo tempo nei sotterranei.


    Con la bocca spalancata osservò la nuova meravigliosa scoperta, chiedendosi perché fosse lì, chi l'avesse costruita e come. Ma la gioia per la scoperta lasciò velocemente il passo alla tristezza e il rimpianto. Se solo l'avesse scoperta anni prima, ormai era troppo tardi.

    Attraversata la porta, tra lo sbigottimento generale, si entrava in una strana stanza. All'interno solo un quadro, anch'esso mai visto, raffigurante una giovane ragazza in un vestito azzurro. La figura si fece da parte e nel farlo la cornice si mosse su dei perni invisibili, lasciando spazio a un passaggio segreto. Più di uno di chiese dove portasse quel corridoio stretto, e ovviamente non mancarono le teste calde e i diffidenti che si rifiutarono di attraversarlo, seppur fosse la loro unica via di uscita dal castello sotto attacco.
    Un prefetto si propose come avanguardia e si avviò in esplorazione giù per il passaggio. Dopo lunghi minuti di attesa tornò rassicurando tutti sulla destinazione.

    Porta a Hogsmeade, alla Testa di Porco. Il vecchio locandiere ci aspetta.


    E così, in un silenzio referenziale misto a paura, i Serpeverde si incolonnarono e uno a uno passarono attraverso il condotto segreto.

    La Testa di Porco era un locale rozzo e maleodorante. Una bettola evitata da tutti. Nessuno dei suoi compagni ci metteva mai piedi, a meno che non fossero intenzionati a trafficare qualcosa di illecito, proprio perché non ci entrava mai nessuno. Il loro essere lì era infelice, ma allo stesso rassicurante.

    Non so dove mettervi, siete troppi. Attirerete l'attenzione.


    Borbottava il barbuto locandiere.

    Non siete al sicuro qui.
    Chi può si smaterializzi, gli altri usate la metropolvere.
    Via, a casa, non posso ospitare tutta Hogwarts in questa baracca.


    Con l'aiuto di Lumacorno e dei Prefetti, si organizzò un piano di fuga per portare ognuno a casa propria, o per lo meno alla loro cittadina natale. Facilitando la fuga e l'evacuazione, anche in previsione dell'arrivo delle altre case.
    Le operazioni di deflusso si fecero più concitate non appena iniziarono a sentirsi i primi rombi provenire dalla scuola.

    Forza, forza.
    Prima i più piccoli!


    Urlava il professore mentre le teste vuote e i codardi si accalcavano al camino.
    Nel trambusto generale, Chris si fece da parte, avvicinandosi ai vetri sporchi delle finestre. Da lì non si vedeva molto, se non i bagliori di cento, mille, dieci-mila lampi di luce infrangersi contro le barriere della scuola.
    La battaglia era iniziata.
    E a quel punto Lumacorno lo prese per un braccio e lo ficcò di forza nel camino, facendolo partire con la prossimo spedizione di ragazzini.
     
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    San Mungo
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    Titolo: Medicina amara
    Autore: Geneviève de Lancrèt
    Personaggi: Geneviève de Lancrèt, Ariel Camelord, Daniel Rollins e altri personaggi solo citati


    ~ Medicina amara ~



    Sciocchi, folli e senza un minimo di giudizio. Era così che Geneviève vedeva tutti quanti i loro oppositori, da dietro lo sguardo impassibile e fra le trepidanti schiere del Signore Oscuro.
    Sarebbe bastato un sacrificio a salvarli, una sola vita per risparmiare quella di molti altri di più. Eppure continuavano a ostinarsi a tenere il punto, a che pro poi? La vera, giusta causa era una soltanto, quella di chi possedeva il potere per portarla avanti. Per lei d’altronde, abbracciarla era stato facile come respirare: aveva sempre voluto il potere di ergersi al di sopra degli altri, dei propri desideri, e lui glielo aveva concesso, Geneviève in cambio non aveva dovuto far altro che aiutarlo a insediarsi tra le mura del San Mungo.

    Al segnale, scatenatevi.

    Ordinò imperiosa al discreto manipolo di maghi sotto il suo comando. L’idea di sporcarsi le mani in prima persona non la allettava particolarmente, ma in fin dei conti ne valeva la pena se la ricompensa era migliorare la sua attuale posizione e mantenere il ruolo rubato ad Ackerman come primario dell’ospedale.
    Finalmente aveva tutto quello che poteva desiderare, influenza, prestigio, potere, e nessuno glielo avrebbe portato via.
    L’impetuoso e furente attacco di Lord Voldemort ruppe ogni difesa su Hogwarts, dando modo a molti Mangiamorte di andare finalmente alla carica, compresi quelli ai suoi ordini. Geneviève studiò la situazione da lontano ancora per un po’, prima di unirsi al resto dei compagni. Tollerava poco la presenza di creature disgustose come le Acromantule o i giganti sul campo di battaglia, ma fintanto che erano dalla propria parte tanto valeva tenerseli vicini. Di certo erano ottimi come avanguardia, scudi a dir poco ideali contro gli attacchi avversari e bersagli abbastanza impegnativi da permetterle di raggiungere la Sala Grande senza particolari sforzi.

    Bene bene, guarda un po’ chi abbiamo qui.

    Gli occhi freddi puntati su un profilo familiare, appena oltre uno dei tanti tavoli. Durante il tragitto parò un incantesimo vagante e ne spedì un altro paio altrove per assicurarsi di avere il via libera, dirigendosi verso quella che era…

    Ariel.
    Quale inaspettato ritrovo, non pensi anche tu?


    Il caos attorno a loro sembrava qualcosa di straordinariamente lontano, a sé stante quasi, degnato giusto di quell’attenzione che era indispensabile volgere a circostanze del genere.

    Tu.

    Una sillaba così carica di disprezzo che Geneviève fece fatica a trattenere un ghigno divertito.

    Che c’è, ora non mi saluti nemmeno più?

    Come ai tempi delle giornate trascorse insieme al San Mungo, quando ancora non sapeva che chi si stava prendendo cura del suo amato padre era la stessa persona che sarebbe stata responsabile della sua morte.

    Lurida…

    Le parole sembravano morirle in bocca dalla collera, tanto che Eve non sapeva se porre subito un freno al teatrino trito e ritrito della vendetta oppure lasciarlo libero di compiersi.
    Ci pensò Ariel a fare quella scelta per lei. Aveva preso a scagliare una fattura dietro l’altra, tutte rese nulle con estrema facilità da pochi e rapidi scatti della sua bacchetta, come se fossero insetti sul parabrezza, tentativi insignificanti di opporsi alla realtà dei fatti.

    Patetica.

    La guardava dall’alto in basso, vagamente seccata e compiaciuta di sé, come in realtà aveva sempre fatto pur senza darlo a vedere.

    Arrenditi, non potete vincere.
    Non commettere lo stesso errore dei tuoi compagni,di tuo padre.


    Aggiunse con finto rammarico.
    Una seconda, furibonda raffica di incantesimi partì contro di lei, già ben più violenta e pericolosa della precedente. Non era il caso di abbassare la guardia né di tirarla più per le lunghe del necessario. E non ci volle che qualche secondo perché le restituisse il favore, partendo all’attacco fino a tramortirla contro il muro.
    In piedi davanti al suo corpo privo di sensi, Geneviève torturava appena la punta del catalizzatore, domandandosi quale sarebbe stato il modo più indolore per finirla: era pur sempre una Guaritrice dopotutto, sapeva ancora provare quel minimo di misericordia per i poveri illusi che osavano sfidarla. Ma prima ancora che potesse levare la bacchetta verso l’alto, sentì qualcuno alle sue spalle.

    Expelliarmus!
    Protego.

    Scattò in un attimo, scocciata da quella quantomai sgradita intromissione e rispedendo al mittente l’incantesimo. Daniel la guardava ora più tremante e impaurito di quanto non fosse stato prima, disarmato da quel maldestro tentativo di salvataggio che gli si era ritorto contro.

    Stupido.

    Sibilò infastidita, prima di colpirlo e immobilizzarlo con un’altra stoccata di bacchetta.

    Diventerai cibo per Acromantule.

    Aggiunse soddisfatta, osservando gli occhi dello studente - i soli a potersi ancora muovere - continuare a lottare contro ogni loro possibilità.

    Allora Ariel, dove eravamo rimaste?

    Ma proprio mentre stava per tornare a rivolgerle le sue attenzioni, questa aveva inaspettatamente ripreso i sensi, colpendola alla sprovvista su di un fianco: il dolore era assurdamente intenso, anche una volta che ebbe spento il fuoco sulle vesti con un getto d’acqua. Quella dannata ragazzina l’avrebbe pagata cara, adesso sì che aveva davvero perso la pazienza!
    Iniziò una lotta senza esclusione di colpi, nonostante le fitte brucianti e il resto degli incantesimi che ormai saettavano da un lato all’altro del salone.

    Crucio!

    L’aveva sottomessa, alla fine. Sul pavimento, privata della bacchetta, a contorcersi per il dolore come era giusto che fosse. Se lo era meritato in fondo, e se prima aveva pensato di concederle una fine pietosa adesso non ne aveva alcuna intenzione.
    Persino la sua spilla brillava scarlatta in quei frangenti, riflettendo l’atrocità con cui la colpiva a più riprese - e pensare che fino a un attimo prima l’aveva notata a mala pena. Quante volte si era sorbita la studentessa a lagnarsi con lei o col padre per quel mancato riconoscimento e altro ancora, una noia indicibile; quando il Signore Oscuro glielo ordinò, fu un vero sollievo gettare la maschera della “brava e buona guaritrice”, ponendo fine alla vita del signor Camelord assieme quella di tutti gli altri Auror e oppositori vari ricoverati.

    Prefetto, eh?
    Così alla fine ce l’hai fatta… Eppure guardati, non sei in grado di proteggere nessuno, proprio nessuno.


    Lo sguardo partiva sprezzante da Daniel e tornava sulla ragazza, che ormai faceva fatica anche solo a riprendere il respiro.

    Neppure te stessa.

    Basta giocare.
    La mano sul fianco bruciante, l’altra a reggere la bacchetta, diretta verso il viso straziato dal dolore di Ariel e pronta ormai a infliggere il colpo di grazia.
    Tuttavia, il regno del dolore è un luogo pieno di misteri, e laddove non sembravano esserci più speranze per Ariel, questa trovò la forza per reagire un’ultima volta. Nel tempo di un battito di ciglia si era scaraventata contro il fianco infortunato di Geneviève, facendole lasciare la presa sulla bacchetta e approfittando dell’occasione per recuperare quella più vicina.

    Stupeficium!

    La colpì in pieno petto, abbastanza forte da esser certa che sarebbe rimasta svenuta per un bel pezzo, tutto il tempo che le sarebbe servito a immobilizzarla, prendere le altre bacchette e andare in soccorso del compagno.

    G-grazie, mi hai salvato.
    Anche tu.

    Quello fu probabilmente il primo vero sorriso che il suo volto vedeva dacché la battaglia aveva avuto inizio.

    Due volte.

    Continuò poi, restituendogli la bacchetta con cui aveva attaccato Geneviève, quella di Daniel, la stessa che aveva tentato di difenderla poco prima, quando ormai nient’altro avrebbe potuto farlo.
    E assieme all’amico tornò a tuffarsi suo malgrado nella battaglia, lasciandosi alle spalle Geneviève e il dolore. Forse aveva ragione, forse non poteva proteggere nessuno, ma questo non le avrebbe impedito di provarci, certa che per Daniel fosse lo stesso: in fin dei conti, quando mai il compagno era stato impavido e incurante del pericolo, eppure non aveva esitato a tendere la sua bacchetta per lei nel momento del bisogno.
    Ce l’avrebbero fatta, insieme.
     
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    Eccoci giunti al momento delle premiazioni!
    Prima di decretare i vincitori è doveroso ringraziarVi tutti per la partecipazione e per aver dedicato tempo a questo Contest.
    Come detto nel post di inaugurazione, a tutti coloro che hanno partecipato saranno assegnati 35 punti esperienza, mentre i migliori saranno premiati con l'assegnazione di 15 punti in più per il primo classificato, 10 per il secondo e 5 per il terzo.

    Ma adesso è giunta l'ora di passare ai vincitori, scelti da un'apposita giuria che ha valutato le vostre storie con la massima oggettività!

    *rullo di tamburi*



    🏅Il 3° classificato per questa edizione del Concorso VIII Anniversario è Brianna L. Foxglove con Clandestina, la quale si aggiudica 5 punti esperienza oltre ai 35 di partecipazione.

    🏅Il 2° classificato per questa edizione del Concorso VIII Anniversario è l'intaggabile Pan con la Pioggia di cenere nel vento, la quale si aggiudica ben 10 punti esperienza oltre ai 35 di partecipazione.

    🏅Il 1° classificato per questa edizione del Concorso VIII Anniversario è Catherine Nott con l Per far spazio al Nuovo, il Vecchio deve morire, la quale si aggiudica ben 15 punti esperienza oltre ai 35 di partecipazione.



    Una vittoria tutta al femminile!
    I nostri efficientissimi Elfi provvederanno quanto prima ad inserire nelle vostre schede i premi ricevuti.

    Ancora complimenti e grazie per la partecipazione.
    Al prossimo Contest!
     
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