Votes given by Mintaka Al Hayes

  1. .

    Buon anniversario AfterHogwarts!
    🎂 Abbiamo compiuto 11 anni!!! 🎂





    Il numero 11 per il nostro “mondo magico” è importante, perché segna l’inizio di una nuova vita. La stessa cosa vale per noi, in verità. Non lo abbiamo detto a nessuno, ma stiamo per rinascere anche noi.
    Non lo abbiamo detto a nessuno, nonostante l’entusiasmo fosse, e sia ancora, immenso, perché siamo sempre stati consapevoli di quanto fosse arduo ciò che ci eravamo prefissati. Siamo tuttora consapevoli di quanto sia grande il lavoro che abbiamo fatto e che si prospetta davanti a noi, ma oggi, diversamente da alcuni mesi fa, vediamo la fine del percorso che abbiamo deciso di intraprendere.
    Abbiamo riflettuto a lungo, abbiamo discusso e abbiamo capito che per andare avanti ci serviva un cambiamento. Un cambiamento radicale, ma che ci permettesse di tenere vivo e, anzi, di far risplendere ancora di più il nostro gioco.
    Ci serviva qualcosa di nuovo da farvi giocare e, soprattutto, da giocare noi stessi. Avevamo fame di qualcosa che non sapevamo nemmeno cosa fosse, ma lo cercavamo disperatamente.
    Mesi fa è arrivata la risposta e avevamo una scelta da fare: proseguire come avevamo sempre fatto oppure imboccare una nuova via. Anzi, costruirci una nuova via.
    Abbiamo scelto quest’ultima opzione e da lì abbiamo capito che il lavoro da fare sarebbe stato lungo, difficile, divertente, ma immenso. Ci ha richiesto ore di discussione, ore di idee create e poi buttate nel cestino. Abbiamo passato giorni e settimane a scrivere per poi capire che forse qualcosa non andava e ricominciare da capo, perché non potevamo lasciar perdere, perché sapevamo che era la cosa giusta, ma che non la sapevamo ancora esprimere al meglio.
    Alla fine abbiamo trovato ciò che cercavamo e abbiamo iniziato a lavorarci. La strada che ci stiamo costruendo, per tutti noi, è lunga e non è facile, ma sappiamo che renderà questo gioco migliore e, speriamo, renderà l’esperienza di AfterHogwarts ancora più bella di quanto non sia ora e non sia mai stata.
    Abbiamo preso tutto ciò che siamo e siamo stati come forum e abbiamo deciso di portarlo con noi in una nuova versione di noi stessi, del nostro modo di giocare e del mondo magico che insieme continuiamo a far crescere da 11 lunghi e meravigliosi anni.
    Ci stiamo mettendo tutto ciò che abbiamo in questo progetto e, finalmente, sta per giungere il momento cruciale, il momento in cui lo presenteremo anche a voi. Non vediamo l’ora, davvero.
    Abbiamo sempre avuto un solo obiettivo: il gioco.
    Ci sono stati dei momenti in cui abbiamo pensato che, forse, avevamo pensato troppo in grande, che forse era un cambiamento troppo drastico, che era quasi impossibile farcela. Eppure abbiamo continuato, insieme abbiamo proseguito lungo questo impervio percorso e ce lo siamo costruito.
    Siamo quasi arrivati alla fine, che in realtà altro non sarà che il vero inizio di tutto, perché quando lo renderemo pubblico, allora sarà una creatura collettiva. Sarà qualcosa che apparterrà a tutti noi: a voi in particolare, perché come sempre è stato, sarete voi a giudicare, sarete voi a dargli la vera vita, sarete voi a farlo camminare.
    Noi abbiamo costruito e stiamo ultimando la base. Insieme gli daremo vita.
    Ci serve ancora un po’ di tempo, ma, nel frattempo, ci teniamo a festeggiare gli 11 anni raggiunti.
    11 anni fa il nostro gioco nasceva, 11 anni fa nasceva anche l’Accademia di Amestris. Si tratta di un numero magico e speriamo che, esattamente come per i nostri PG, ci porti in un luogo magico e totalmente nuovo, rivoluzionando un po’ la nostra mente e il nostro “mondo”.
    Perciò vi chiediamo di festeggiare con noi: scrivete fanfiction, partecipate ai contest grafici e a quelli divertenti e molto fruttuosi che ogni anno ci portano tanta soddisfazione.
    Giocate, giocate e giocate.
    Noi stiamo correndo alla meta per passarvi il testimone e continuare a correre tutti insieme.
    Ci siamo quasi.

    Buon Anniversario a tutti! 🤗




    oie-cb-Ik-Qk402-Mr-G



    Banner per la firma
    CODICE
    [url=https://afterhogwartsharrypottergdr.forumfree.it/][IMG]https://i.postimg.cc/DZDBfzXX/oie-cb-Ik-Qk402-Mr-G.gif[/IMG][/url]


    Edited by Il Tessitore - 13/12/2022, 03:41
  2. .

    buonapasquaatticus

  3. .
    Titolo: Quanta influenza hanno le persone su di noi e sulla nostra vita?
    Autore: Maxxie Hastings
    Personaggi: Maxxie & Eleanor Hastings, Sarah Hastings, abitanti di Amestris vari


    Quanta influenza hanno le persone su di noi e sulla nostra vita?


    1. Umore
    Anno 2028 - Amestris Academy

    Maximillian aprì gli occhi e sorrise.
    La luce fresca del mattino penetrava placida tra le fessure delle tende viola nei dormitori della Tempesta.
    Fuori gli uccelli cinguettavano, accogliendo con il loro canto l'inizio di un nuovo giorno. Il piccolo Hastings accostò le coperte di lato, poggiò i piedi sulla moquette morbida e si sollevò. In punta di piedi falcò la stanza fino alla finestra per scostare appena le tenda e far entrare quel po' di luce necessario a vedere. Lo sguardo si proiettò oltre il vetro, sul cielo limpido, finendo poi per posarsi sulla foresta animata.

    Che meravigliosa giornata!

    Il suo compagno di stanza mugugnò qualcosa, infastidito dalla luce che lo stava privando degli ultimi preziosi momento di sonno.

    Oh, smettila di fare il burbero ed alzati.
    Abbiamo Trasfigurazione alla prima ora!

    Amava trasfigurazione. Era una materia così eclettica, dava pieno sfogo alle potenzialità della magia.
    Tempo una mezz'oretta e Maxxie uscì dalla sua stanza con la divisa della classe MAGO addosso. Sesto anno. Non poteva crederci che mancasse così poco alla fine dei suoi studi, quegli anni erano passati così in fretta. Era proprio vero che il tempo corre quando ci si diverte.

    Scese le scale per giungere in Sala Comune e lì trovò Eleanor, intenta a mettersi lo smalto appestando la stanza con intenso odore di vernice.

    Buongiorno!


    Oh, guardalo, più bello che mai.
    Vieni qui dammi un bacio.


    Maxxie si chinò, schioccando le labbra sulla guancia truccata della sorella.

    Ew. Ma quanto te ne sei messa?


    Si passò il dorso della mano sulla bocca per togliersi i residui di trucco da dosso.
    Risero.

    Ma da dove veniva tutta questa affezione?
    Era roba del passato. I due erano sempre stati affiatati. Eleanor era stata una sorella amorevole nei confronti del fratellino, lo aveva guidato, seguito, aiutato, tutto pur di farlo riuscire nella vita. Gli aveva instillato coraggio, passione, voglia di vivere. Erano cresciuti insieme, migliorandosi a vicenda.
    Il piccolo Hastings ne aveva giovato sopratutto dal punto di vista dell'umore.
    Non più un Maxxie cupo e solitario, ma allegro e gioioso.



    2. Aspetto
    Anno 2019 - Ridgway, Pennsylvania, USA

    Mamma!

    Urlò una nana Eleanor con voce aquilina, a dimostrazione che indipendentemente dall'età rimaneva pur sempre una spina nel fianco.
    Maxxie se ne stava pacato sul tappeto con i suoi robot/auto o qualsiasi cosa fossero.
    In Tv le avventure di un Curioso come George proseguivano ignorate da entrambi i fratelli.

    Mamma! Possiamo aprire Netfilx?


    Come voce dall'oltretomba giunse una risposta dallo studio della madre.

    Assolutamente no. Siete in punizione, niente Netflix per una settimana, ricordi?

    MA MAMMA!
    Questo canale è super noiosissimo!


    È un canale educativo.


    APPUNTO!


    Non discutere con me signorinella.


    La bambina sbuffò sonoramente lanciando la sua Barbie fashionitas dall'altra parte della stanza.

    Così peggiori le cose.


    Il piccolo Maxxie aveva appena otto anni ma aveva già capito come funzionavano le cose.
    Ma lei no, era cocciuta, e così lancio via anche il suo Ken calciatore che per cronaca era il fidanzato di Barbie fashionistas.

    Lascia perdere Netflix, vieni a giocare con me.


    Non ci gioco con i tuoi stupidi Transformers.


    Allora cambiamo gioco. A che vuoi giocare?


    Mmm... giochiamo alla parrucchiera!


    E come si gioca?


    Il piccolo scostò i suoi robot per ascoltare la sorella.

    È semplice, io faccio la parrucchiera e tu fai il cliente. Ti metto le mani nei capelli e alla fine tu mi paghi.


    ... okay.


    Fece spallucce e si sollevò dal tappeto per mettersi comodo su una sedia.

    Benvenuto dalla parrucchiera signore, si metta comodo. Arrivo tra un attimo.

    Recitò Eleanor, calandosi nel personaggio. Come una scheggia filò in bagno alla ricerca di qualche prodotto da poter usare per rendere il gioco più realistico. Tornò con una montagna di prodotti tra le braccia.

    Che roba è?


    Shh!


    Lo zittì lei facendo segno di non farsi sentire da la madre, ché se li avesse beccati a usare i suoi cosmetici li avrebbe fucilati.

    Direi di iniziare con questo.


    Prese un'ampolla dal cumulo e ne lesse l'etichetta, non che ne capisse realmente il significato. Metà delle parole non le conosceva.

    Ma che cos'è?


    Chiese Maxxie sempre più apprensivo.

    Non è nulla. È la pozione che nonna usa per colorarsi i capelli.


    Mmm. Non credo sia una buona idea. Nonna dice sempre di non toccare le pozioni.


    È facile da usare. Qui dice di... a-applicare e di la-lasciare in posa 2 minuti.


    Lesse con voce incerta.

    Lasciare in posa? Non abbiamo una posa. Dove la lasciamo?
    Poi non sappiamo leggere l'orologio. Non sappiamo quanti sono due minuti!


    La sorella fece spallucce, vagamente disinteressata.

    Non ti preoccupare. So come si fa. Ho visto nonna usarlo tante volte.


    Stappò l'ampolla e si preparò a versarla in testa al fratello, ma un tanfo pazzesco ne venne fuori facendole storcere il naso.

    Ew. Questa cosa puzza. Meglio usare qualcos'altro.


    Seppur il buonsenso non fosse mai stato il forte di Eleanor, almeno il suo animo non era mosso da sadismo. Non voleva far del male, solo giocare, e alla fine il senso di protezione verso Maxxie aveva prevalso, risparmiandogli un orrido supplizio e una vita fatta di capelli ossigenati.
    Il piccolo Hastings crebbe con un chiama biondo scuro, corposa, fatta di ricci.
    Non più un Maxxie dall'aspetto trasandato con capelli fini, crespi e gialli.



    3. Personalità
    Anno 2022 - Amestris Academy

    Il castello svettava alto sul lago. Maxxie lo osserva intimorito, con il naso all'insù e il respiro in gola. La barca ondeggiava, guidata da nessuno e spinta da nessun altro. Si muoveva sulle acque placide sapendo già dove andare, senza che qualcuno glielo dicesse.
    Nel vedere le luminose finestre di Amestris, l'unico pensiero di Maxxie fu per la sorella. Si era separata da lei poco prima, alla stazione di Boann, ma già ne sentiva la mancanza. Elle gli aveva detto di stare tranquillo, presto si sarebbero riuniti. E se non fosse stato così? Se fosse finito in un'altra casa? Se fosse finito nel Fuoco? La sorella gli raccontava sempre brutte cose sul Fuoco.

    Stai calmo
    - aveva detto lei - e pensa alla Tempesta.

    Maxxie era spaventato e così pensava alla tempesta. Lo aveva fatto per tutto il viaggio, in treno e anche ora sulle barche, non aveva capito come funzionasse lo smistamento, ma non voleva rischiare, così pensava.

    Tempesta, tempesta, tempesta...


    Attraccate le barche, entrati nel castello, varcata la soglia della Sala Grande, tutto ciò a cui pensava era la tempesta. Camminava insieme agli altri lungo il corridoio centrale, circondato da un mare di teste sedute su tre tavoli.

    Elle?


    Dov'era sua sorella in quella massa di persone? Ed ecco una mano svettare alta, salutava. Era lei, era vestita di viola.

    Tempesta, tempesta.


    Di fianco aveva un bambino dai capelli scuri che non faceva altro che parlare di quanto volesse essere Fuoco. Si chiamava Elia, o qualcosa del genere. Dall'altro lato c'era una certa Narcissa, diceva di essere figlia della responsabile del Ghiaccio. Quelli sarebbero stati i suoi futuri compagni di classe.

    Maxxie Hastings.


    Venne chiamato il suo nome. Il bambino si fece avanti, tremante.

    Tempesta, tempesta, tempesta.


    Una donna dalla pelle diafana e dai capelli chiarissimi gli posò un cencioso cappello in capo.

    Tempesta? E perché mai?
    Io vedo del Ghiaccio in te. Tanta pazienza, tolleranza...


    No, no. Tempesta.


    Scaltrezza e astuzia non sono nelle tue corde. Io dico che è meglio...


    Tempesta!


    Cocciuto. Lo vedi che nel Ghiaccio faresti faville?


    Io sono Tempesta. Sono sempre sovrappensiero, sono ingegnoso e...


    Non lo fai solo per essere vicino tua sorella?


    No, io sono così. Voglio essere così. Voglio essere creativo, strambo e...


    Provalo.
    Provami che sei Tempesta.


    Ehmm. Io leggo, leggo molto! Più di mia sorella. Ho letto il libro su Amestris per esempio e su Hogwarts! Poi disegno, ho tanta fantasia. Mia madre dice che posso disegnare fumetti.


    E come la mettiamo con il tuo essere riflessivo, razionale e moderato?


    Posso essere anche emotivo ed esagerato.


    Puoi esserlo, o lo sei?


    Maxxie si fece prendere dal panico, le cose non stavano andando come voleva lui e doveva farsi venire qualcosa in mente e alla svelta. Così fece esattamente come sua sorella quando nessuno le dava retta. Serrò le labbra, strizzò gli occhi e trattenne il respiro.

    Cosa stai facendo? Non fare il bambino capriccioso.
    Decoro ragazzo, non siamo più all'asilo.


    Ma nulla, lui non respirava, divenendo sempre più paonazzo in viso.

    Il Ghiaccio è la casa perfetta per te. Logica, pacatezza, rigore. Queste sono le tue caratteristiche.


    Lo sono? Sto trattenendo il respiro davanti a 300 persone. Non c'è pacatezza, logica o rigore in ciò.


    Allora è vero che sei ingegnoso e scaltro.
    Sai ciò che vuoi, hai assi nelle maniche e sei totalmente fuori di zucca.
    A questo punto suppongo...
    Puoi tirare un sospiro di sollievo.


    TEMPESTA!


    Ribellione, era un tratto estraneo a Maxxie, ma si sa che chi va con lo zoppo...
    La personalità è una caratteristica intrinseca dell'individuo che si sviluppa nell'arco della vita e dipende dal totale delle esperienze fatte.
    L'aver vissuto la sorella in un modo positivo aveva spinto il piccolo Hastings ad acquisire tratti simili a lei.
    Dove c'è ammirazione, c'è anche imitazione. E non è detto che sia una cosa negativa, soprattutto se alla base dell'imitazione c'è uno scambio equo tra le parti. I due si spingevano l'un l'altro, si miglioravano a vicenda, si completavano, aggiustando uno la personalità dell'altra e viceversa.
    Il piccolo Hastings aveva iniziato una nuova vita.
    Non più timido e riservato, ma assertivo e imperante.



    4. Atteggiamento
    Anno 2022 - Giardini di Amestris

    Erano passati mesi dall'inizio della scuola e Maxxie ancora non era riuscito ad eseguire una magia come si deve. Non era chiaro quale fosse il problema, ma con l'aiuto e la spinta di sua sorella era deciso a risolvere quella situazione di stallo.

    Non ci riesco...


    È impossibile. Smettila di lamentarti e fai levitare la piuma.


    Ma la bacchetta non funziona.


    Lascia perdere le scuse e impegnati. Forza!


    Non so, io...


    Senti, puoi stare qui a lamentarti quanto vuoi, o puoi prendere in mano la situazione e impegnarti per diventare un mago.


    Mmmm.


    Agitare e colpire.


    Wingardium Leviosa


    Scintille rosse partirono dalla punta, incendiando la piuma.

    Qui c'è un problema. È la quinta piuma che fai fuori.


    Te l'ho detto.


    Son due le cose: o il problema se tu, o è la bacchetta.


    Non capisco perché fa così. Forse il problema sono davvero io.


    Smettila di fare la vittima. Piuttosto troviamo una soluzione.


    Non so... forse dovremmo cambiare la bacchetta...


    Sei sicuro? Non so se a papà piacerà l'idea.


    Io...


    Dì la verità. Non serve mentire per far piacere agli altri.


    Dobbiamo cambiare la bacchetta.


    Ottimo. Scrivo a mamma e vediamo cosa dicono.


    Maxxie sembrava abbattuto. Aveva messo il broncio.

    Non ti preoccupare, riuscirai a controllare la tua magia.


    Sì?


    Sì.


    Annuì, sorridendo rincuorato.

    Maxxie venne spinto a fare di più, a non arrendersi. Elle era l'unica che poteva aiutarlo a trovare un atteggiamento positivo per approcciarsi alla magia, e più in generali ai problemi.
    Insieme avevano affrontato la situazione e trovato il modo per risolverla. Quando si dice, l'unione fa la forza. I due si spingevano l'un l'altro, si miglioravano, si davano sostegno nei momenti difficili.
    Così quando a Maxxie capitava di chiudersi nel risentimento, Eleanor provvedeva a infondergli fiducia. E grazie a questi semplici momenti di supporto il ragazzino non si lasciò mai andare alla depressione, all'auto-colpevolizzazione per essere un incapace. Non dovette subire in silenzio una situazione che a lungo andare gli avrebbe portato gravi problemi di autostima.
    Non più un Maxxie rinunciatario ed arrendevole, ma reattivo e positivo.



    5. Carattere
    Anno 2026 - Aula di Aritmanzia

    Maxxie entrò in classe e vi trovò sua sorella già al banco.

    Elle! Perché non indossi la divisa?


    Sibilò occupando il posto accanto a lei.

    Non mi andava di mettere la gonna, così ho messo un paio di pantaloni.


    Fece spallucce, come se fosse nulla di che.

    È tutto l'anno che ti fai richiamare perché non rispetti le regole sull'abbigliamento scolastico, ti farai mettere in punizione di questo passo.


    Che vuoi che siano un paio di pantaloni.


    E proprio in quel momento la voce di Laeddis tuonò richiamandola, togliendole ben 10 punti per il suo abbigliamento contravventore.

    Cosa?!


    La ragazza balzò in piedi.

    Lei non può togliermi punti solo perché al posto della gonna ho messo un paio di pantaloni! Sa questo come si chiama? Maschilismo!


    Per l'amor di Giove, zitta!


    La tirò per il braccio costringendola a sedersi. Quella volle liberarsi, ma il fratello tenne la prese e la sospinse verso il basso, lanciandole occhiate ammonitrici.

    La deve scusare professore. Ha dovuto mettere i pantalone oggi, per questioni... prettamente femminili.
    La perdoni, ma deve capire la situazione.


    Che stai dicendo?


    Sbraitò lei sempre più alterata.

    Ti salvo le chiappe. Zitta.


    Sibilò.

    Mentire, spudoratamente a un professore.
    Maxxie aveva sviluppato carattere, grazie a un continuo confronto con la sorella. Non era il suo lacchè, né il suo sottomesso. Tra i due c'era un rapporto di parità ed affetto che aveva portato il piccolo Hastings a proteggere la sorella maggiore. Rischiando lui stesso di finire in punizione, ma non si era lasciato prendere dal timore ed era così riuscito a risparmiarle un viaggio dal preside, una probabile sospensione e perfino una bocciatura.
    Quando Eleanor reagiva con intemperanza, Maxxie provvedeva a placarla. Questo li rendeva una coppia perfetta, si equilibravano l'un l'altro.
    Il piccolo Hastings non aveva più paura della sua stessa ombra.
    Non più un Maxxie imbarazzato e inerme, ma uno forte e pro-attivo.



    6. Autostima
    Anno 2028 - Sfilata Wizard Pro Humanity


    Gli scatti delle macchine fotografiche riempivano il Chiostro.
    Maxxie era nervoso. Un nervosismo positivo, fatto di impazienza ed aspettativa. Stava aspettando sua sorella alla base delle scale. Continuava a sistemarsi la giacca del completo, tirandosi ripetutamente i capelli all'indietro. Aveva sulle labbra uno strano sorriso, agitato ma felice.

    Nel frattempo la Sala Grande si riempiva di gente e gli ospiti più illustri della Gran Bretagna e dell'Irlanda magica si alternavano tra fotografi e giornalisti. Quel debutto era tutto per la carriera di sua sorella e lui era genuinamente preoccupato di come sarebbero andate le cose. Aveva visto con quanto impegno e dedizione aveva dedicato a quel progetto. Ci si era impegnata moltissimo e lui l'aveva aiutato lungo tutto il percorso di realizzazione, standole accanto come poteva. Voleva solo che avesse il meritato successo, com'era giusto che fosse. Si sentiva orgoglioso di quello che la sorella era riuscita a compiere, e la gioia che stava provando per lei in quel momento era così gratificante, da spingerlo a voler seguire le sue orme. Voleva fare anche lui qualcosa degno di nota, che fosse riconosciuto e accettato positivamente dalla comunità. Anche lui voleva essere acclamato e stimato.

    Come sempre la principessa si fece aspettare, ma alla fine eccola, nel suo bellissimo vestito. Le tese la mano e la aiutò scendere gli ultimi scalini. Si abbracciarono, stringendosi a vicenda.

    Sei pronta?


    Andiamo.


    Salirono sul red carpet insieme, posando davanti ai fotografi. Maxxie non era a suo agio sotto i flash, ma non sentiva la necessità di fuggire. Era sicuro di sé, felice di essere lì in un momento così importante per sua sorella. Poteva reggere tutta quella pressione, poteva fin quando al suo fianco c'era sua sorella. Poteva farlo per lei e grazie a lei.

    Maxxie era maturo, sereno, felice. Soffriva di un sano nervosismo ma che nulla aveva a che fare con terribili attacchi di panico e d'ansia. Non avevi problemi con il suo aspetto, né nel mostrarsi al pubblico. Anzi, aveva una positiva coscienza di sé e delle sue capacità.
    Non più un Maxxie problematico e autocritico, ma pieno di stima e amor proprio.



    7. Auto-realizzazione
    Anno 2030 - Gelateria Florian

    Era una bella giornata per passeggiare, e così Maxxie era passato a Diagon Alley da sua sorella per passare un po' di tempo insieme a lei.

    Come è andata a lezione?


    Le solite cose. Organi, ferite, pozioni.


    Questa sera torni a casa per cena?


    Non posso ho tirocinio al San Mungo.


    Ma non potevi scegliere una facoltà meno impegnativa.


    Voglio fare qualcosa di costruttivo nella mia vita, non mi accontento di vendere tessuti.


    Ehi! Io vendo opere d'arte.


    Lo so bene.

    Rispose ironico.

    Non capisci niente.


    Risero, lanciandosi occhiatacce scherzose. Nel frattempo la cameriera della gelateria li raggiunse al tavolo per prendere la loro ordinazione.

    Allora che ci prendiamo?


    Io ho fame! Una crepes fragole, cioccolato e gelato, una anche per te?


    Io sto a dieta bello! Ma che te lo dico a fare, tu mangi come un bue.


    Non ho colpa mia. È che sono felice.
    Ho sempre appetito quando solo felice.


    Questo sarebbe potuto essere il piccolo Hastings, se avesse avuto una sorella degna di tale nome.
    Non più un Maxxie triste e risentito, ma realizzato e felice, con una brillante carriera scolastica e un brillante futuro davanti a sé.
    Ma così non è stato, e tutto a causa di un solo fattore nell'equazione.
    Non ci si può che domandare: quanta influenza hanno le persone su di noi e sulla nostra vita?
  4. .
    ✘ Titolo: Anno 2050
    ✘ Wordcount: 1867
    ✘ Personaggi: Samantha Silverclaw, Luke Lygeon, altri citati
    ✘ Note: Ho voluto di proposito scrivere qualcosa sopra le righe per testare un po’ cosa poteva uscirmi fuori.


    ♪ Bloodfest, Aria of the Goldberg Variations (Hannibal Season due Finale)



    Anno 2050




    Camminava sulla strada sterrata, un passo davanti all'altro, con la testa alta ed il respiro che sembrava impossibilitato a diventare regolare.
    Stringeva il catalizzatore nel pugno della mano destra, le dita così serrate da mutare colore.
    In lei, intorno a lei, il silenzio.
    Cenere e odore di bruciato si mischiavano nell'aria, mentre il sole osava sorgere di nuovo, ancora una volta.
    Non avrebbe mai potuto fermare qualcosa del genere, anche se la luce era detestabile e fastidiosa.
    Non li capiva i sognatori, non li capiva quando attribuivano ad una stella un significato diverso da quello che in realtà era. Non aveva nulla di speciale, era solo il frutto di reazioni, era niente poco più di una roccia luminosa.
    Si portò una mano al petto, stringendo la stoffa del suo abito, continuando ad ansimare. Si sentiva minacciata all'arrivo dell'alba, sentiva come se chiunque potesse vederla.

    Un passo e un passo fanno due passi.
    Cinque dita più cinque dita fanno dieci dita.
    Uno, due…


    La vita le aveva insegnato ad aggrapparsi ai fatti concreti, a ciò che l'occhio poteva vedere.
    Viveva nel panico, era ossessionata dal pensiero che niente potesse vivere se non nella maniera che decideva lei.
    Era così difficile da capire? In molti non lo avevano fatto.

    Molti sono morti.

    Il mondo era un posto davvero crudele, ma lei aveva il compito di proteggere le persone che amava. Lo avrebbe fatto a qualsiasi costo, anche al prezzo delle loro stesse vite. Non sarebbero andate da nessuna parte, potevano vivere e morire nel suo castello.
    L'avrebbero aspettata, mentre lei rendeva il mondo un posto più sicuro.

    Molti non capiscono.

    Non aveva capito Luke, non aveva capito Sertoria, perfino Susan si era rifiutata di sentir ragione.
    Samantha si era sentita tradita, come se vent'anni di amicizia non fossero sufficienti per fare aprire gli occhi ai suoi amici!
    Soprattutto le sue amiche, le sue dolci compagne e complici. Solo in quel momento seppe di aver fatto la cosa giusta, sapeva che lo aveva fatto per proteggerle!
    Nessuno le avrebbe più toccate, nemmeno le carezze dei loro cari.
    Perché a volte si sa, sono proprio i legami familiari a imporre le catene peggiori.
    Solo chi ti ama può tradirti.
    E solo le persone che ami possono spezzarti il cuore.
    La sua anima era già a pezzi, le sue ali marce, se mai erano esistite.

    Va bene così.

    Scostò i cespugli a mani nude, uscì dalla foresta con un ultimo, pesante sospiro.
    I suoi occhi si spalancarono alla vista: il castello di Amestris, ancora addormentato.
    Non lo vedeva da così tanti anni, cosa c'era di più sicuro al mondo di quelle mura possenti ed impenetrabili?
    Il respiro le si bloccò in gola, mentre il cuore si spremeva dolorosamente ai ricordi di un passato che era così lontano e che sarebbe rimasto tale per sempre.
    Tempo, doveva cambiare, doveva smettere di scorrere.
    Aveva bisogno di aria.
    Con una mano cercò sotto il colletto del suo abito, estraendo la collana col Mjolnir di Thor. Il martello del figlio di Odino, padre delle tempeste e dei fulmini.
    Le si poteva chiedere come mai credesse, ma lei non aveva dubbi: gli Dei le avevano dato quel compito. Thor in persona le aveva parlato, spiegando come sarebbe stato facile diventare la Tempesta.
    Non le importava quanto fosse incoerente, voleva essere degna di Asgard e del Valhalla.
    Le serviva solo… tempo.
    Avrebbe scatenato la tempesta più grande di tutte ed in mezzo al caos, sarebbe diventata l'unica speranza dei disperati.
    Doveva osservare quel castello ed immaginarlo circondato dalle nuvole, attaccato dalle saette e scosso dal vento.
    Peccato che non ci riuscisse, la sua mente vedeva solo mura troppo spesse per essere abbattute.
    Samantha si abbassò fino a sedersi, contemplando il paesaggio davanti a lei come se fosse una minaccia.

    Chissà se un drago può abbattere quelle mura.


    Non aveva mai trovato interesse per quelle creature, osservandole da lontano come un pericolo che alla fine si rivelavano essere. Non c'era nulla di maestoso in una grossa lucertola che sputava fuoco. Era solo quello: un animale che aveva avuto la fortuna di nascere più forte degli altri.


    Passarono le ore e l'alba si trasformò in giorno, che mutò fino all'arrivo del tramonto. Non era stata solo lì ovviamente, era ossessionata dal fatto che gli Auror la stessero braccando.

    Auror…

    Luke era uno di loro, come dimenticarselo? Aveva letto un articolo sulla Gazzetta, che diceva che Lygeon era uno dei favoriti alla sostituzione del vice-capo.
    Samantha non capiva proprio, non capiva perché lui le aveva voltato le spalle, tra tutti.
    Dopo quello che avevano passato, era bastato così poco per separarli.
    Perché non si era unito a lei? Cosa stava facendo di sbagliato?
    Non volevano entrambi la stessa cosa, un mondo più sicuro?
    Samantha era stata la bambina senza sogni, la bambina che viveva con ciò che le veniva messo davanti agli occhi. Cresciuta sentendosi sempre minacciata dalla luce, vivendo confortata solo dall'arrivo della pioggia.
    Come una creatura marina, non poteva vivere senza il freddo rassicurante dell'acqua.

    Un giorno, ci sarà solo la tempesta.

    Si era allontanata dall'immagine del suo passato, si era insidiata nella foresta. Aveva calcolato che non poteva stare nello stesso luogo per più di due ore. Indossò il cappuccio, forse così poteva tornare alla civiltà.
    Camminare tra le persone era una sfida, i suoi occhi vedevano una profonda ingiustizia, ovunque. Nessuno avrebbe dovuto prendersi la briga di solcare la terra con così tanta sicurezza, non lo sapevano com'era fatto il mondo?
    Drayrdd era un villaggio bellissimo o forse era solo un posto messo meno peggio degli altri. Le persone soffrivano ovunque, Samantha lo sapeva.
    Mentre camminava, il suo sguardo venne catturato dai movimenti di una figura.

    Papà, papà! Andiamo a vedere i draghi, papà…!

    Angelica, lascia stare papà che tra poco deve andare al lavoro.

    La donna sorrise, mentre l'uomo teneva la bimba sollevata con un braccio.

    Quindi… pacchetto di cioccorane extra per questa bambina… e per il papà!
    Luke…
    Eddai, Rheis, i bambini devono crescere forti e tutti sanno che nel cioccolato c'è il latte.
    Mamma! Papà! Voglio andare dai draghi! Draghi! Draghi!

    Samanta si bloccò, osservando la scena come se non potesse credere ai suoi occhi. Intorno a lei si formò come una bolla priva di aria, che iniziò a stringersi intorno al suo corpo, pesante come se fosse fatta di acciaio.

    I Draghi?! Ma dai, forse la mamma può portarci da loro…

    Fu il turno della donna di sorridere, scuotendo la testa, divertita.

    Magari…
    Sì! Andiamo dai Draghi!

    Luke passò una mano sulla testolina della piccola, guardandola con una luce negli occhi che Samantha credeva di conoscere.
    Si decise a dare le spalle a quella scena, allontanandosi dalla scena.

    Grazie signor Wade, porti i nostri saluti a casa!

    La voce di Luke divenne più distante, mentre lei teneva la testa bassa e cercava rifugio nella folla.
    Samantha era così lontana da quell'immagine di famiglia perfetta, ma perfino lei aveva un padre.
    Aveva avuto un padre.
    Guardando quel quadretto di famiglia, la sua anima aveva pulsato, nel tentativo di riuscire a capire se poteva raggiungere i pezzi che si erano separati. Quando l'impresa si era rivelata impossibile, alla fine non aveva potuto far altro che allontanarsi.


    La pioggia cadeva a catinelle, era il genere di clima che faceva rinascere in Samantha un legame sincero con il suo elemento.
    Soffriva di non poter essere lei tutto quel caos, tutto quel rumore e agitazione.
    Era un peccato ripararsi dalla pioggia, per questo lei non lo faceva mai.
    Il cielo si illuminava con degli sporadici lampi, ma i veri fulmini erano ancora lontani, si nascondevano aspettando il momento giusto.
    Samantha credeva che per perfezionare quell'incantesimo, dovesse capire a fondo come funzionava una tempesta.
    Aveva preso appunti, aveva studiato.

    "Le tempeste si formano quando si sviluppa un centro di bassa pressione, con un sistema di alta pressione che lo circonda. Questa combinazione di forze opposte può dare origine a venti e causare la formazione di nubi di tempesta, come i cumulinembi. Piccole, localizzate aree di bassa pressione possono formarsi in seguito alla risalita di aria calda dal suolo caldo, producendo piccoli disturbi come diavoli di sabbia e vortici."

    La Tempesta nasceva da una combinazione di forze, quindi il suo incantesimo necessitava di potenza. Doveva creare come una sfera, che poi si sarebbe scomposta, fino a creare l'effetto che la donna desiderava veder nascere.
    Doveva come creare tanti piccoli punti, che come fuochi d'artificio poi sarebbero esplosi, formando il nubifragio.
    Sarebbe stato come creare una bomba, qualcosa che potesse essere messo ovunque e poi fatto esplodere in qualsiasi momento.
    Tutto quel perdere tempo in appunti era solo un inizio, prima o poi sarebbe arrivata al capolinea.

    Samantha sentiva il legame con Thor farsi sempre più flebile, come se il fulmine in persona la stesse scansando.
    Tutto quello che aveva fatto, l'aveva portata a troneggiare su un cumulo di macerie.
    Non Amestris, non Drayrdd.
    Quelli erano resti della sua casa.
    Dietro di lei, rumori di passi.

    Sam…

    Non sentiva quell’abbreviativo da così tanto tempo, che quasi pensò che la voce non stesse interpellando lei. Peccato che in mezzo a quelle rovine ci fossero solo loro.

    Hanno distrutto la casa di mio padre… perché?
    Sam…
    Come l’ultima volta, è arrivato qualcosa a portarmi via tutto quello che mi rimaneva.

    Luke si fermò a pochi passi da lei, le mani sollevate, mentre lei aveva la bacchetta impugnata.

    Non hanno avuto scelta, stavano seguendo gli ordini della Parish.
    Avevano avuto la scelta di sotterrare un uomo innocente sotto la sua stessa casa oppure no.
    Sono le tue azioni che hanno portato a questo, Sam.

    La donna spalancò gli occhi, sentendosi accusata. Luke sembrava triste, rassegnato, quasi stanco.

    Ho provato a spiegare loro che non saresti mai diventata un mostro. Ma poi le hanno trovate e… perché?

    Samantha non rispose, rimase immobile nel suo contemplare il viso dell’uomo, del suo vecchio amico, della figura distante e sfocata. Più lo guardava, meno lo vedeva.
    Lei pensava che lui fosse incapace di vedere, accecato dalla luce che egli stesso emetteva.

    Casa… un posto che non ti lascia mai.

    Lei si accovacciò, passando una mano su una pietra, accarezzandola come se la ruvidezza non la toccasse. Un tempo tutte quelle macerie erano state il suo rifugio, il motivo per il quale si reggeva in piedi allo scorrere dei giorni.
    Quando rialzò lo sguardo su Luke, incontrò prima l’immagine del suo catalizzatore puntato verso di lei.
    Non aveva nemmeno concluso il suo progetto e già volevano metterla in catene.
    Erano stati furbi, ad attaccare casa sua per attirarla lì.

    Sam… tuo padre non c’è più, da anni.
    No, lui vive qui. Viveva, fino a poche ore fa…

    Luke sospirò, sembrava non avere più fiato e così pure lei, andava avanti a parlare solo perché le parole le strappava il suo animo dalle sue labbra.
    Duellare in quel posto sembrava un necessario spreco di energie, ma pur sempre uno spreco.
    Forse nessuno dei due voleva davvero farlo.

    Incatenata, ma mai spezzata.

    Il crepuscolo segnava l’inizio di un incendio, la fuga del sole e della luce. Il viaggio del carro di Apollo che si concludeva, per ricominciare da qualche altra parte del mondo.
    Non era permesso a loro, di compiere un simile viaggio.
  5. .
    CITAZIONE
    Titolo: Il Settimo Giorno
    Autore: Lilith L. Lothlorien
    Personaggi:Mikal Levischmiedt, Alec Bànach, Leonard Lennox, Charles Rashford, Astrea O. Gray, Alex M. Dragomir, Andrew E. Laeddis

    Il Settimo Giorno




    Nessuno sapeva come fosse successo, nessuno era stato in grado di capirlo. La magia che aveva inquinato le acque era stata senza dubbio potente, frutto di una mente geniale asservita al male, o forse legata ad ideali più grandi, mossa da convinzioni che nessuno sarebbe stato in grado di comprendere. La magia disciolta nel sangue dei pochi eletti che ne possedevano il gene era svanita nel nulla, come non fosse mai esistita, dispersa tra le gocce di pioggia di tempeste corrotte da un veleno superbo. E dove non sarebbe mai potuta arrivare la mano umana sarebbe invece arrivata la bufera, ché la pioggia battente non avrebbe risparmiato neppure l’anima più eremita dal destino infame che le era stato assegnato. I giornali parlavano di terrorismo, si cercava qualcuno su cui puntare il dito; ma le foto sbiadite stampate su quelle pagine non si sarebbero mosse mai più.



    Capitolo 1 - Pleiadi

    Il frusciare leggero delle foglie della foresta piegate dal vento primaverile non le avrebbe mai dato fastidio, non in una notte come quella, dove il silenzio totale l’avrebbe fatta sentire in pericolo, spoglia ed indifesa com’era da una settimana a quella parte. Giunse a quella radura che tante volte aveva battuto, le scarpe di tela inumidite dalla rugiada che bagnava i fili d’erba di un prato in fiore, ché la natura non badava al sussurro delle stelle, ed ignara moriva per poi rinascere, in un ciclo che non aveva mai fine.
    Il mantello scuro che indossava sfumava dei riflessi della luce d'una lanterna, unica guida in quella notte senza luna, e la fiamma tremò pericolosamente quando la posò in terra, illuminando di flebili bagliori i profili delle piante che racchiudevano quel suo nido di pace.
    Mikal si sedette sull’erba senza pensarci, ché il mantello si sarebbe bagnato, forse persino indelebilmente sporcato; sospirò, sfiorando i fili umidi di rugiada coi polpastrelli, prima di buttare gli occhi al cielo, aggrappandosi al firmamento come fosse alla ricerca di un dio.
    Da sette giorni, il cielo aveva smesso di cantare per lei, e il dolore che stava provando poteva essere paragonato solo alle fitte di un cuore spezzato da un amore infranto. Non aveva ancora avuto il coraggio di tornare in quel posto, non fino a quel momento; si trovava a specchiarsi nuovamente con l’universo senza riuscire più a comprenderne il linguaggio, persa nel dedalo di misteri più grandi di lei senza più riuscire a ritrovarsi. Si riempì gli occhi del firmamento, finché il suo sguardo non cadde su quelle sette piccole stelle, tutte ben distinguibili in quella notte priva di qualsiasi inquinamento luminoso. Le Pleiadi si riunivano tutte le sere, le sette vergini compagne di Artemide, che sarebbero sfuggite all’inseguimento di Orione per l’eternità intera; si vedeva persino Merope, la vergine che delle sette era stata ingannata e poi punita per suo stesso volere, ché la vergogna l’avrebbe per sempre fatta brillare meno delle altre.
    Mikal abbassò lo sguardo, puntandolo al buio che aveva di fronte; quel sorriso amaro era specchio di una consapevolezza cresciuta in silenzio in un angolo della sua mente, e che era giunta a bussare alla porta del suo cuore non appena vi aveva trovato abbastanza spazio, non appena l’emozione aveva avuto occasione di superare la voce di un cielo che non gridava più. Aveva brillato di luce riflessa fino a quel momento, chiusa tra quattro mura nate per proteggerla, ma che non erano state in grado di salvarla dalla pioggia né da se stessa, soffocandola invece; chissà che non avesse finalmente l’occasione di abbattere quelle pareti, così da concedersi di essere fonte della sua stessa luce.
    Sorrise nel tornare a contar le stelle, ché non v’era nulla di più magico del sussurro di un cielo che non avrebbe mai smesso di raccontar di lei.


    Capitolo 2 - Vite

    Premette piano con le dita sulle tempie, per poi far scorrere i polpastrelli fin dietro le orecchie, e riunire indice con indice sulla nuca; con un sospiro, i palmi scesero lungo il collo, avvolgendolo per un momento, prima di ricadere inermi lungo il corpo, e tornare a muoversi al ritmo dei suoi passi. I raggi caldi del sole di quella mattina stavano richiamando le creature fuori dalle loro tane, dopo sette giorni di pioggia torrenziale, ed i colori della foresta luccicavano nella terra degli occhi di Alec, come fosse la natura stessa ad esserne affamata.
    Ricordava quell’angolo di bosco tinto delle sfumature del tramonto, e non solo perché l’ultima volta che vi si era recato il sole stava scavalcando l’orizzonte; ricordava il vermiglio della chioma degli aceri, che spiccavano come papaveri in un campo di margherite, ed il fuoco di un’altra chioma ad incorniciare il viso di una ragazza.
    Un brivido corse veloce lungo la schiena, inondando ogni sua fibra, e socchiuse gli occhi per poter vedere quella scena, vivida nella sua memoria, e per poter sentire ancora il tocco leggero di quelle dita sfiorare la sua pelliccia felina, insinuarsi tra le orecchie, grattare un poco con le unghie prima di separarsene in un fremito. Sentì il profumo di quella pelle come se stesse realmente rivivendo quell’istante, ma sapeva che non sarebbe mai potuto capitare nuovamente.
    Quei brividi non gli appartenevano più, quelle sensazioni animali non sarebbero mai più tornate; il cuore non avrebbe mai più battuto così velocemente, né i suoi occhi sarebbero mai più stati in grado di scorgere movimenti impercettibili. Gli artigli avevano inciso quei sentieri così tante volte che quasi aveva dimenticato quanto quella sensazione lo facesse stare bene, quanto forte fosse il vincolo che legava la creatura alla terra, unico come il potere che aveva perduto.
    Il bocciolo di un singolo fiore giallo campeggiava al centro del prato, nella stessa solitudine che gli stava avvelenando un’anima privata della sua gemella. Alec gli si avvicinò piano, come avesse paura di disturbarlo; piegò le ginocchia per guardarlo schiudersi lentamente, impercettibilmente, col solo aiuto dei raggi del sole, per potervisi fondere senza alcuna fretta.
    Si diceva che i felini avessero sette vite, eppure lui sentiva di averne vissute molte di più; ogni volta che chiudeva un capitolo, la nuova capolettera era sempre più difficile da scrivere, come se quei punti fermi s’accumulassero di volta in volta, fino a rendersi invalicabili. Aveva superato sofferenze che non credeva sarebbe mai stato in grado di superare, ma quella volta era diverso, ché neppure le fenici sarebbero riuscite a riaffiorare da fiamme tanto alte. Riemerse da quei pensieri e si stupì nel vedere che il piccolo fiore che aveva di fronte era sbocciato nel mentre; quanto tempo aveva trascorso in quella posizione?
    Sorrise nell’inspirare ad occhi socchiusi il profumo di quel bocciolo, ché non v’era nulla di più magico del respiro di una terra che non avrebbe mai smesso di rinascere insieme a lui.


    Capitolo 3 - Peccati

    Respirava affannosamente, come se ogni fiato accorciasse il successivo, in una corsa disperata contro le lancette dell’orologio. Stringeva gli artigli sul petto, come avesse paura che il cuore potesse esplodere da un momento all’altro, come fosse suo compito spingerlo a pulsare ancora, battito dopo battito. Gli occhi iniettati di sangue avevano perso il lume della speranza da un pezzo, e vagavano senza meta tra le crepe del soffitto della casa fatiscente in cui s’era rintanato a contare i secondi a ritroso.
    Dopo sette giorni di agonia, Charles sapeva di dover morire; neppure ricordava d’esser nato, né quante identità diverse avesse vestito in secoli di trascinata esistenza, alimentata da una magia che lì, sdraiato sulle assi logore di quel pavimento, inesorabilmente gocciolava lontano dal suo corpo eternamente giovane, scindendolo da un’anima oscura, sporcata nel tempo dai crimini più efferati.
    Fosse finito all’inferno, sarebbe stato difficile scegliere in quale bolgia relegarlo, ché dei sette peccati capitali non ve n’era uno di cui il vampiro non si fosse macchiato. Era morto per vendetta e rinato per pietà, in quella vita al confine che era stata una maledizione molto più che un dono, una droga da cui era stato impossibile disintossicarsi. Non credeva avrebbe mai avuto occasione di vedere cosa ci fosse al di là; chissà se avrebbe trovato qualcosa oltre al buio che già da anni era dimora della sua sopravvivenza forzata. Chissà se sarebbe stato punito, o se il suo animo irrequieto avrebbe finalmente trovato la pace.
    Ansimava pesantemente, ormai, ché ogni respiro pareva un ruggito, il canto del cigno di un corpo che muore; non v’era più speranza, se mai ve n’era stata: il suo corpo sarebbe tornato alla polvere, ché per quanto potesse sembrare giovane, non era stato altro che un Dorian Gray, eterno tra i mortali, e lì, negli ultimi battiti di un cuore corrotto, si stava specchiando nel ritratto che nei secoli era invecchiato in sua vece.
    Sorrise nell’esalare l’ultimo respiro, ché non v’era nulla di più magico del bacio della morte, porta sul nulla che dimorava ove il ricordo non sarebbe più stato una maledizione.


    Capitolo 4 - Il Carro

    Il tè alle erbe che stava sorseggiando aveva un sapore diverso, quel giorno; bollente, gli avrebbe ustionato la gola se non l’avesse bevuto lentamente, ma lui amava la sensazione di calore che gli pervadeva il petto quando faceva un sorso più lungo.
    Leonard sedeva sul davanzale in legno della finestra dell’aula che per due anni era stata la sua dimora personale; ancora si perdeva a guardare il cielo al di là del vetro, sperando di scorgervi un indizio nel sereno, in quell’azzurro denso, finalmente sgombro dalle nubi.
    Da sette giorni, le voci nella sua mente si erano spente; il sussurro del destino era spirato con la pioggia, lasciandolo a vagare nel labirinto dell’esistenza senza guida, in un presente che non aveva storia né avvenire. Forse avrebbe potuto prevederlo, forse avrebbe dovuto farlo, ma dubitava avrebbe dato fiducia al suo occhio interiore se anche avesse previsto la morte della magia. Possibile che l’arte divinatoria fosse in grado di prevedere la sua stessa fine? Socchiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un riso ironico, sporcato dell’amarezza di un simile pensiero: non aveva più importanza, ormai, e non ne avrebbe mai più avuta.
    Raccolse una carta dei tarocchi tra le dita, scegliendola accuratamente tra quella che aveva disposto coperte sul legno su cui sedeva, come se fosse un gioco, un’ultima sfida col fato. Tra indice e medio, si trovò a fissare la carta del Carro, la settima, la più fiera fra tutte; due sfingi trainavano il carro di un giovane guerriero, simbolo di vittoria ed onore sudati, duramente conquistati grazie all’autodisciplina e al rigore, al culmine di un viaggio catartico, ché nulla sarebbe cambiato se non fosse stato lui a volerlo. Le immagini di una terra lontana balenarono nella mente di Leonard, quel paese che gli aveva rapito il cuore per poi restituirgliene solo una parte, quando lui aveva dovuto lasciarlo; i ricordi del Giappone s’erano fatti più vividi, da una settimana a quella parte, ché la nebbia delle previsioni s’era diradata, lasciando spazio perché la memoria riemergesse più luminosa che mai. Forse era tempo di tornare alle origini, forse era tempo di intraprendere quel viaggio e riprendere in mano la sua vita, come il Carro ancora stretto fra le sue dita gli stava suggerendo di fare.
    Sorrise nel posare la carta scoperta sopra alle altre, ché non v’era nulla di più magico del segno di un destino col quale avrebbe sempre avuto una partita aperta.


    Capitolo 5 - Note

    I polpastrelli pizzicavano leggeri le corde di una chitarra, e lei si beava di quella sensazione ad occhi chiusi, come se quelle armoniche fossero l’unica melodia che permetteva alla sua anima di danzare oltre le mura di quella casa.
    Era tempo che Astrea non imbracciava la sua chitarra, ché da quando aveva cominciato a lavorare il tempo le era scivolato dalle dita, troppo pieno per poterlo controllare, troppo breve per poterlo alleggerire. Ma da sette giorni, il temporale aveva spazzato via la realtà per come la conosceva, frutto di una storia che aveva passato la vita a studiare, e che in quel giorno veniva riscritta da capo, ponendo fine ad un’era nata con l’esistenza stessa.
    I suoi fratelli non si spiegavano come potesse essere così tranquilla in un momento come quello, non capivano come potesse passare le giornate a suonare per la pioggia, ma non v’era malinconia, nelle sue note, quanto un’accondiscendenza che poteva sembrare innaturale, come se quella scelta non fosse stata forzata. Chissà cosa avrebbe pensato sua madre quando l’avrebbe vista comparire sull’uscio del suo appartamento in Francia; chissà quanto sarebbe stata contenta di sfiorare il suo viso al di là dello schermo dietro cui solitamente si nascondeva; chissà che sua madre non avesse segretamente sperato a lungo che quel giorno giungesse.
    Interruppe il pensiero sulla corda sbagliata, che le stonò prepotentemente nei timpani. Sette sole note potevano dar vita ad un numero illimitato di differenti melodie, virtuosismi che scavalcavano la logica e attingevano infinite sfumature di colore dall’anima dell’artista; eppure ne bastava una soltanto per rompere il ritmo, ponendo fine alle danze con una steccata. E si conservava il ricordo di quella nota sbagliata molto più che delle centinaia precedenti, a prescindere da quanto lunga fosse stata la melodia, da quante ore si fosse ballato sulle ali di quella musica, da quanto bella fosse stata fino a quel momento.
    Strizzò gli occhi tra pollice ed indice, concentrando le idee in quel punto in cima al naso, poi sbatté un paio di volte le palpebre; non sapeva neppure che ore fossero, ma non aveva alcuna importanza. Tornò a posare le dita fra le corde, ed un nuovo motivo riempì l’aria vibrante della stanza, una musica nuova, diversa dalla precedente, ché al termine di una canzone, una nuova ne avrebbe sempre preso il posto; e chissà da dove sarebbe ripartita lei, chissà su quali note avrebbe danzato da lì in avanti, chissà con chi.
    Magari avrebbe raccolto in un libro quel che era stato, e sarebbe stato venduto nelle librerie tra le più belle storie di fantasia; magari si sarebbero innamorati delle sue parole quanto lei aveva adorato quelle di Shakespeare, e avrebbero pensato che fosse una sognatrice, un’inguaribile romantica.
    Sorrise nel chiudere nuovamente le palpebre, ché non v’era nulla di più magico dell’armonia di una storia ancora tutta da scoprire, conservata tra le pagine di un libro ancora tutto da scrivere.


    Capitolo 6 - Anni

    Osservava il suo riflesso nello specchio come fosse la prima volta che si vedeva davvero; si passò le dita sulla pelle morbida del viso, scorrendo dallo zigomo fin sulla guancia, finendo sulle labbra segnate da un rossetto, sciupato nel punto in cui l’ultimo bacio s’era consumato.
    Da sette giorni, le identità di Alex erano collassate in una soltanto, la prima, impressa a fuoco in quei lineamenti dell’est, incorniciati in quella cascata di capelli corvini per sempre. Era fuggita finché ne aveva avuto il tempo, nella confusione di una tempesta che aveva portato il cambiamento con sé nel modo più repentino ed ineluttabile possibile; s’era portata un solo tesoro con sé, ché non v’era null’altro per cui valesse la pena rischiare di essere catturata. Non era sicura di sapere dove si trovasse, ma non aveva importanza; non le interessava neppure sapere come fosse potuto accadere, come fosse stato possibile che tutto quello che aveva costruito fosse crollato così, in una notte soltanto.
    Aveva campeggiato tra le fila della Spirale dell’Oscurità per sette anni; ne aveva sposato gli ideali, ne aveva scritto le trame, ne aveva preso le redini, spingendosi ben oltre quel che l’ambiziosa ventenne degli albori avrebbe potuto sperare. Aveva vissuto vite che non le appartenevano, e tante ne aveva strappate all’esistenza, ché non v’era ostacolo che non fosse stata in grado di superare. Eppure lì, davanti a quello specchio, Alex non si riconosceva più, ché non v’era limite invalicabile se non quello che lei stessa s’imponeva, una volta smarrita la bussola in una notte di pioggia battente.
    Quante volte aveva pensato di abbandonare tutto, quante volte aveva sentito il peso sulle sue spalle farsi troppo imponente per essere sopportato, eppure mai aveva ceduto, fosse per orgoglio o per forza maggiore; ma più avanzava, più perdeva il contatto con se stessa, rinunciando, passo dopo passo, alla vita che avrebbe voluto, indossando una maschera sempre più spessa, che da tempo non ricalcava più i suoi lineamenti.
    Si voltò quando udì sospirare dalla stanza accanto; temeva di aver fatto un rumore di troppo, di averla svegliata, e invece s’era solo rigirata tra le lenzuola, splendida come il fuoco che infiammava il suo spirito. Alex tornò ad incrociare i suoi stessi occhi, nel silenzio sacro che avvolgeva i piccoli gesti che stavano cullando il suo pensiero.
    Forse avrebbe potuto rinascere un’ultima volta dalle ceneri di un passato che le andava stretto; forse avrebbe potuto ricominciare da lì, ricostruendo dalle fondamenta dove il suo grattacielo era appena crollato; chissà che non fosse la sua seconda occasione, quella che lei non aveva mai concesso, neppure a se stessa. La ragazza che dormiva fra quelle lenzuola l’aveva già accettata per quello che era: era giunto il momento che lo facesse anche lei.
    Sorrise nel vedere il suo viso riflesso distendersi dopo tanto tempo, ché non v’era nulla di più magico della leggerezza di una libertà ritrovata, finalmente sbrigliata dalle catene che per anni le avevano tarpato le ali.


    Capitolo 7 - Sette

    Fece sventolare la bacchetta sovrappensiero, con lo sguardo chino sulla pila di scartoffie che in sette giorni s’erano accumulate sulla sua scrivania; sollevò le iridi corrucciando la fronte in un cipiglio mesto quando s’accorse che la sedia non gli si era avvicinata, ché il crine di unicorno non sarebbe stato più in grado di essergli fedele, in assenza del potere che negli anni s’era abituato a catalizzare sulla punta del carpine. Strinse i denti nel costringersi a recuperare la sedia a mano, ché Andrew non era abituato a non avere il controllo sulla realtà che lo circondava, e ancora non aveva idea di come avrebbe risposto alle decine di richieste d’aiuto che aveva ricevuto.
    Trascinò la pesante sedia di legno più vicino alla cattedra e vi crollò sopra, sospirando fra le labbra, le mani nei capelli; spinse con l’indice le lenti più vicine agli occhi, premendo un poco la montatura sul naso, un gesto involontario quanto non necessario, divenuto ormai un tic. Sentiva un latente senso di colpa, una frustrazione che era tempo che non provava sulla sua pelle, ché non si spiegava come un evento tanto drastico potesse essere sfuggito alle sue previsioni. Era troppo facile pensare a posteriori quel che si sarebbe potuto fare per cambiare un destino che ormai s’era già realizzato; mai avrebbe potuto ipotizzare una fine simile, semplice quanto sagace, come tutte le più fondamentali leggi della matematica.
    Scostò qualche lettera con una mano, ché non aveva forza né concentrazione sufficiente a rispondervi; da giorni si trovava seduto a quella scrivania a fissare una pergamena bianca, nell’impasse in dono dall’amara consapevolezza che aveva investito anche lui.
    S’appoggiò allo schienale della sedia, lasciandosi andare in un nuovo sospiro, con la piuma intinta d’inchiostro stretta tra pollice ed indice; nei numeri aveva trovato rifugio, riscoprendo il senso della sua stessa esistenza tra le virgole di quei conti intricati, ma chissà fino a che punto avrebbe ancora potuto farvi affidamento, chissà se gli sarebbe rimasta asservita. Non s’era neppure mai posto la domanda che da giorni assillava i suoi pensieri, e la certezza di non poter trovare una risposta era ancor più avvilente della condizione deprimente in cui si trovava. Avrebbe potuto prevedere la fine dell’aritmanzia per mezzo dell’aritmanzia stessa?
    Raccolse la sua bacchetta di pregiata fattura, ormai utile quanto un pezzo di legno, e la fece ruotare tra le dita, come fosse un giocattolo; come avesse appena avuto un’epifania, sgranò gli occhi per un istante soltanto, prima di intingere la punta della piuma nel calamaio ed iniziare a scrivere su quella stessa pergamena che per giorni era rimasta intonsa.

    CITAZIONE
    θάνατος + μαγεία

    Il calcolo della psefia s’era già rivelato illuminante una volta, e forse non l’avrebbe tradito, per quanto sapesse che quel numero non avrebbe comunque cambiato le sorti di quel che s’era già verificato. Era solo un gioco per mettere alla prova le leggi che governavano l’universo intero, definendone passato, presente e futuro, che ci si credesse o meno, ché il senso dell’esistenza era tutto lì, in quel linguaggio che in pochi sarebbero stati in grado di interpretare, ma che, una volta compreso, aveva il potere di rispondere anche alle domande più insidiose.

    CITAZIONE
    θάνατος + μαγεία
    9 1 50 1 300 70 200 + 40 1 3 5 10 1 = 631 + 60 = 691

    Lasciò cadere la piuma sul foglio, scaricando il peso sullo schienale e lasciandosi scappare una risata sommessa, ché anche uno dei suoi studenti meno brillanti avrebbe potuto fare quella somma aritmantica a mente. Sette, come il numero magico per eccellenza; sette, come la speranza matematica del lancio di due dadi, quelli che il destino continuava a tirare in sua vece, ché quel numero si ripresentava volta dopo volta, bussando alla porta della ragione.
    Dopo tanti anni, avrebbe dovuto aspettarselo, eppure non riusciva a smettere di meravigliarsi di quelle che gli scettici ancora chiamavano coincidenze, nel quale lui, invece, aveva sempre scorto l’ombra di un potere che andava oltre la logica, al di là dell’umana comprensione.
    Sorrise nel tornare ad osservare quel foglio di pergamena, ché non v’era nulla di più magico della bellezza matematica, intrecciata in quei numeri spesso travisati, in cui lui aveva trovato la pace.

    So che il testo sfora il limite di 3000 parole imposto dal regolamento del contest, e me ne scuso. Se per questa ragione dovesse essere escluso dalla competizione, così sia: non sono riuscita ad accorciarlo più di così.
  6. .
    CITAZIONE
    Titolo: The Wizard Game
    Autore: Alexander Olwen
    Personaggi: Katniss Everdeen, Primrose Everdeen, Presidente Snow, Peeta Mellark, Effie Trinket, Cato, Clove, Rue e Thresh

    - Prologo
    - Capitolo I – La Mietitura
    - Capitolo II – L'alleanza
    - Capitolo III – Allucinazioni
    - Capitolo IV – La fine dell'alleanza
    - Capitolo V – Possa la fortuna essere sempre in vostro favore

    PROLOGO



    Da sempre l'uomo è stato vittima delle proprie azioni. Non importa se maschio o femmina, ricco o povero, adulto o ragazzo, ogni decisione comporta una conseguenza e quando arriva il momento di agire bisogna sostenere i propri ideali fino in fondo, poiché solo grazie ad essi possiamo aspirare alla vittoria.
    Ciò non accadde molti anni fa, quando gli studenti di Amestris tentarono di ribellarsi alla tirannia del preside Snow, uomo vanitoso, crudele ed egoista, accusato non solo di non aver cura degli studenti, ma anche di aver imposto regole così dure da rendere la vita impossibile alle nuove generazioni. Ovviamente la sommossa fu debellata e il prezzo da pagare fu altissimo: molti studenti sparirono e le casate da quattro divennero tre. Tempesta, ghiaccio e fuoco dissero addio alla terra.
    Una volta all'anno, per ricordare a chiunque la follia e l'avventatezza con cui gli studenti avevano cercato di spodestare il preside, a sorte venivano estratti un ragazzo ed una ragazza per ogni casata dall'età compresa dagli undici ai diciotto anni per partecipare ai Wizard Games. Si tratta di un evento nel quale i partecipanti sono chiamati a darsi battaglia all'interno dell'Arena, luogo controllato mediante la magia del personale dell'accademia. L'obiettivo è essere l'unico sopravvissuto, condizione tutt'altro che semplice: per ogni uccisione si ottengono ben cento punti per la propria casata.
    Col passare degli anni i Wizard Games vennero idolatrati dagli stessi studenti. La competizione per la coppa era alle stelle, tutti i non prescelti tifavano accanitamente i loro rappresentanti e ad ogni morte corrispondevano grida di gioia, squisiti banchetti per la casata che aveva commesso l'omicidio e coloro che erano affranti per la perdita di un compagno avrebbero trovato presto pace: magari l'anno prossimo avrebbero fatto di meglio. Se all'inizio i ragazzi provavano paura e non volevano essere chiamati, ora la situazione era completamente diversa: chi usciva vincitore dai Wizard Games diveniva un eroe per la propria casata e veniva premiato per le sue ottime doti con la spilla e la carica da prefetto.
    Quel piccolo oggetto non era insignificante per nessuno, tutti lo desideravano e chissà quanti altri studenti avrebbero perso la vita nel vano tentativo di riceverla.

    CAPITOLO I - LA MIETITURA



    Le vacanze estive erano ormai terminate e un nuovo anno scolastico era alle porte. Una moltitudine di studenti si era recata presso la stazione di King's Cross per salire a bordo del treno che li avrebbe condotti a Boann, riprendendo poi a piedi verso Amestris.
    Katniss cercò di trovare una posizione adatta per dormire su quello scomodo treno, ma parve non riuscirci. Si rigirava in continuazione fino a che finalmente non riuscì ad addormentarsi.

    Katniss! Kat! Oggi ci sarà la Mietitura, ho paura.

    La ragazza riaprì gli occhi stanchi e vide Primrose, sua sorella minore di dodici anni. Tentò di incoragiarla con un sorriso tirato, non riuscendo però a nascondere il suo timore. Era normale che avesse paura, la Mietitura era il meccanismo con cui venivano scelti i tributi per i giochi. Era una studentessa del secondo anno, ragion per cui sarebbe potuta finire contro ragazzi molto più grandi di lei e dalle capacità magiche ben oltre le sue.

    Prim, non preoccuparti. Siamo molte studentesse tra i fuoco, vedrai che andrà tutto bene.

    Essere scelti voleva dire andar incontro a morte certa. Da quando i Wizard Games furono istituiti, il fuoco non era mai riuscito a vincere la coppa delle case. Ciò non era rassicurante, ma come sempre avrebbero fatto il possibile per trascorrere un anno nella più completa serenità.
    Il viaggio continuò tranquillo e la tesa atmosfera scemò secondo dopo secondo fino a che il treno arrivò a destinazione. Gli studenti scesero e in fila avanzarono verso Amestris. Tra di loro si potevano notare le più disparate reazioni: chi cercava di andarsene all'ultimo secondo a causa del terrore, chi non vedeva l'ora di assistere alla Mietitura o di essere scelto e chi, come Katniss, era ormai rassegnato, incapace di accettare una realtà come quella, ma allo stesso tempo non aveva la forza di lottare contro un'istituzione molto più forte di lui.
    Una volta giunti al castallo gli studenti si divisero in tre gruppi e proseguirono verso il luogo adibito alla Mietitura: la Sala Comune.
    Lì ricevettero un'accoglienza alquanto singolare. C'era una grossa pedana al centro della stanza e su di essa vi era una donna dall'acconciatura improbabile, accanto a quella che sembrava essere una macchina usata durante l'estrazione della lotteria.

    Mh, buonasera carissimi allievi del fuoco, permettetemi di presentarmi. Io sono Effie Trinket, la vostra bella, intelligente, amatissima direttrice. Il mio compito oggi sarà quello di estrarre i nomi dei partecipanti ai Wizard Games, non siete emozionati? Prima però sono tenuta a chiedere: c'è qualche volontario?

    balla-fieno-deserto-cespuglio-gif



    Ripeto: nessun volontario? Suvvia, il fuoco dovrebbe essere la casata dei coraggiosi. Non volete la gloria eterna? No? Neanche un piccolo momento di notorietà? E va bene, allora procederemo con l'estrazione.

    Lo strano macchinario fu attivato dalla magia della strega e da lì fuoriuscirono due bigliettini con i nomi dei partecipanti.
    Effie si schiarì la voce.

    Oh, bene! Per i maschietti il fuoco sarà rappresentato da Peeta Mellark.

    Il pubblico scoppiò in un fragoroso applauso per poi zittirsi non appena la donna sulla pedana batté le mani.

    Per le femminucce, invece, toccherà a-eh! Oh, non ci posso credere! Ma sì, il pubblico ti amerà, Primrose Everdeen.

    La maggior parte dei presenti tirò un sospiro di sollievo e poi cominciò a gridare con forza il nome della bambina, la quale si sentì chiamata al macello. Non voleva salire su quella pedana, non voleva combattere, non voleva far parte di tutto ciò. Presa dallo sconforto scoppiò a piangere e la sorella maggiore, accanto a lei, si piegò fino a raggiungere la sua altezza. La osservò con uno sguardo serio, l'abbracciò, stringendole le spalle nel tentativo di farle sentire tutto il suo affetto.
    Sapeva cosa fare. Sarebbe stata una pazzia, ma Effie aveva ragione: il fuoco era la casata dei coraggiosi.

    IO - urlò in mezzo agli applausi e agli schiamazzi degli altri studenti - KATNISS EVERDEEN MI PROPONGO COME VOLONTARIA!

    Nella sala calò il silenzio. Tutti la osservarono come se fosse una pazza incosciente, ma in fin dei conti cercavano solo un capro espiatorio, quindi a nessuno importava davvero se a scendere in campo fosse stata lei o la sorella. Nonostante ciò le lacrime di Prim non vollero arrendersi, così nuovamente Katniss si rivolse a lei.

    Prim, ricorda cosa ti ho detto, te lo prometto: andrà tutto bene.

    In quel preciso istante la bambina si spogliò della collana che aveva intorno al collo e la donò alla sorella. Era una Ghiandaia Imitatrice. Kat non fece in tempo ad indossarla che la spinsero a forza sul palco.

    Io sono commossa, non immaginate da quanto non abbiamo un volontario. Bene, Peeta Mellark e Katniss Everdeen, siete ufficialmente i rappresentanti del fuoco. Possa la fortuna essere sempre a vostro favore.

    CAPITOLO II - ALLEANZA



    Katniss trascorse una notte insonne. Era certa che da lì a poco la sua vita sarebbe finita, ma non perse tempo a scrivere stupide liste di cose da fare prima di morire, testamenti o darsi alla pazza gioia. Come una guerriera sfilò dalla Sala Grande fino ad arrivare all'Arena.

    Quindi, ricapitoliamo: tutti gli studenti e i professori possono vedere le nostre gesta per mezzo di appositi specchi, quindi non credi che sia meglio mostrar loro ciò che vogliono vedere? Voglio dire a chi non piacciono storie d'amore, intrighi e tradimenti? Katniss, il favore del pubblico è importante.

    Peeta era sul pezzo. Agli studenti era permesso di inviare dono di qualunque natura ai tributi. Potevano sbizzarrirsi tra cibo e bevande, pozioni, semi, talismani, tarocchi, rune e il classico equipaggiamento per i duellanti all'avanguardia. Katniss osservava il compagno di casata con fare dubbioso. Non aveva intenzione di fingere in un gioco dov'era certa di morire. Lei era lì per salvare sua sorella e la collana che finalmente aveva al collo glielo ricordava passo dopo passo.

    Non so Peeta, credo che il pubblico possa preferire qualcosa di più sincero, come la nostra amicizia, non trovi? Sai, a volte ripenso ancora al giorno in cui ci siamo visti per la prima volta. Quella notte pioveva e io stavo morendo di fame. Tu sei uscito dal forno e mi hai concesso una pagnotta di pane che avevi bruciato.

    Un sorriso innocente nacque sulle labbra della ragazza, anche se il ragazzo non era proprio soddisfatto dalla risposta ricevuta.

    friendzone



    Se Katniss aveva la mente persa tra i ricordi, Peeta si concentrò sugli avversari. Per il ghiaccio erano stati scelti Cato e Clove, mentre per la tempesta Thresh e Rue. I primi due sembravano molto sicuri di sé, durante gli allenamenti dello scorso anno li aveva visti partecipare al Club dei Duellanti e la loro abilità negli incantesimi offensivi era innegabile. Thresh era un tipo solitario, stava sempre sulle sue e non sapeva nulla di lui, mentre Rue l'aveva scorta ogni tanto in biblioteca. Era una ragazza studiosa, ma da quel che ricordava non aveva mai avuto un'indole aggressiva.
    Katniss la notò solo in un secondo momento e non poté che provar dispiacere per lei. Come sua sorella doveva essere stata chiamata contro la sua volontà. Non le avrebbe fatto del male, di ciò ne era certa.
    Entrati nell'arena si materializzò il volto del presidente Snow su uno specchio e cominciò il suo discorso introduttivo.

    Benvenuti tributi a questa nuova stagione dei Wizard Games. Sono certo che tutti voi ricordiate le regole, quindi non mi dilungherò su di esse. Troverete le vostre bacchette all'interno della cornucopia al centro dell'arena. Tutto è lecito e mi raccomando di far attenzione: non si muore solo a causa degli avversari, spesso è la nostra incoscienza a darci il colpo di grazia. Non ho altro da aggiungere. Che i giochi abbaino inizio!

    Tutti gli studenti partirono dallo stesso punto di partenza e la maggior parte di essi cominciarono una frenetica corsa verso la cornucopia. Peeta era in prima posizione, Katniss in seconda, poi i due del ghiacchio e per ultimo Thresh. Rue? Lei corse dalla parte opposta alla ricerca di un buon nascondiglio. A causa di uno spintone Kat cadde a derra e i due ragazzi del ghiaccio la superarono. Dovette cambiare strategia, se li avesse rincorsi sarebbe poi stata vulnerabile ai loro attacchi. Deviò verso la direzione intrapresa da Rue, mentre gli altri arrivarono alla loro meta.
    Il primo ad impugnare la bacchetta fu Cato che superò Peeta in uno sprint finale.

    Fermo! Le cose non devono andare per forza così - affermò mentre puntò la bacchetta contro Peeta - Potrai pure colpire Clove, ma poi io colpirò te e saremo punto a capo. Uniamoci, sbarazziamoci della tempesta e poi ce la vedremo fuoco contro ghiaccio.

    Il discorso parve incuriosire Peeta, ma non era un ingenuo. I due dovevano dimostrare di poter mantenere la parola. Ahimè per la tempesta, ma così fu. Thresh giunse proprio in quell'istante e Cato non lo lasciò arrivare alla bacchetta.

    STUPEFICIUM!

    Dalla bacchetta in legno di noce fuoriuscì il lampo di luce tipico dello schiantesimo che colpì l'avversario in pieno petto. Il tempesta fece un volo di due metri e Clove si preoccupò di finirlo, lasciando Peeta incolume. Il ghiaccio aveva appena guadagnato cento punti casata ancor prima dell'ora di pranzo. Alla tempesta non restò che disperare: era rimasta solo Rue, la quale era stata designata come prossimo bersaglio e con sé non aveva neanche la bacchetta.
    Katniss era all'ignaro di tutto ciò e tra gli studenti del fuoco c'era chi dubitava della buona parola del ghiaccio.

    CAPITOLO III - ALLUCINAZIONI



    Katniss corse alla ricerca di un riparo. La foresta poteva essere un ottimo nascondiglio, ma sapeva di non potersi nascondere per sempre. Avrebbe potuto cercare di raggiungere la cornucopia per prendere la sua bacchetta, ma se Cato avesse superato Peeta? Si sarebbe esposta inutilmente ad un grande pericolo. La destra strinse con forza il ciondolo che le aveva regalato la sorella e i pensieri si concentrarono su di lei.

    Prim, spero solo che tu stia bene.

    Quelle parole non furono udite solo dagli animali fantastici che vivevano all'interno dell'Arena.

    SHH! Se ti sentono sei morta!

    La folta chioma di Rue si mosse da un cespuglio vicino all'albero su cui la ragazza del fuoco stava riposando. Katniss la salutò con un cenno della mano e le fece cenno di avvicinarsi. Senza farselo ripetere, come uno scoiattolo la ragazza si arrampicò e sul volto mantenne un'espressione entusiasta, ma allo stesso tempo non seppe cosa dire.

    Stai tranquilla, non ti ucciderò.

    L'interlocutrice annuì più volte e da come si muoveva era chiaro che non avesse paura di lei. Rue era sempre stata brava a riconoscere la natura delle persone e in Katniss non vedeva un'avversaria.

    Lo so. Sono stanca, ti dispiace se resto qui la notte?

    La fuoco annuì con fermezza, dopotutto quel ramo era così massiccio da poter reggere il peso di entrambe. Le due ragazze si distesero e osservarono il cielo stellato. Era rilassante e ancora una volta Prim tornò a far capolino nei suoi pensieri. D'estate guardavano sempre le stelle quando facevano campeggio. Certo, non dormivano sugli alberi e non dovevano aver paura di morire, ma da quando erano cominciati i giochi quella fu a suo agio con se stessa.
    Come a voler smuovere questo clima di serenità, il cielo fu sostituito da un gigantesco specchio, formato dal coordinamento del potere magico del preside e di tutti i professori che controllavano l'Arena. Dopo un istante comparvero i volti di tutti i partecipanti e il volto di Thresh era caratterizzato da un grossa X scarlatta. Rue scoppiò a piangere.

    Il gruppo formato da Peeta, Cato e Clove stava patendo la furia della fame. Trascorsero l'intera giornata nel vano tentativo di trovare Rue. Avevano percorso il perimetro dell'arena, purtroppo però di lei neanche l'ombra. Alla fine decisero di accamparsi vicino al bosco in cui si trovavano le due ragazze.
    Tra poco dovranno arrivare gli aiuti che ci mandano gli studenti. Il nostro direttore ci ha detto che se sono stati mandati arrivano ogni dodici ore e la mezzanotte è vicina. Grazie ai lumos emessi dalle tre bacchette, Katniss e Rue si accorsero che il trio si stesse avvicinando. Si impegnarono a far massimo silenzio.
    Clove, stanca di aspettare e debole per la fame, avvicinò la bacchetta sugli alti cespugli che avevano intorno e vi trovò delle bacche color prugna. Senza pensarci due volte le ingerì, cominciando a tossire più e più volte. Nella sua mente cominciò a confondere il reale con il non reale. I colori erano diversi, le forme erano diverse, parve aver trovato l'accesso ad un mondo fin a quel momento inesistente.

    Noi andiamo a prendere l'acqua, tu rimani qui.

    bRN5Gsno



    La ragazza annuì, andando poi a distendersi ai piedi di un albero. Quando si rialzò Cato e Peeta non erano ancora tornati, in compenso però erano arrivati gli aiuti. Oltre al pane, al cibo in scatola e alla carne cucinata dagli elfi, Clove rimase attratta da una pozioni in particolare. Le sembrò essere l'Aguzzaingegno, così la bevve tutta d'un fiato e quello fu il suo fatale errore: era il Distillato della Morte Vivente.
    Quando i due ragazzi tornarono, videro la ragazza accasciata in una posizione del tutto innaturale. Corsero da lei e in mano le trovarono la fiala, sporca ancora di alcune gocce. Sia dal colore di esse che dagli effetti sulla ragazza fu chiaro cosa avesse ingerito. Così non sarebbe stata di nessuna utilità, così Cato decise di porre fine alla sua vita, guadagnando di fatto altri cento punti casata per la gioia del ghiaccio. Nonostante la perdita di un'amica, gli studenti erano contenti. Il sistema era malato e in pochi parvero essersene accorti.

    CAPITOLO IV - LA FINE DELL'ALLEANZA



    La mattina seguente fu più tesa del solito. Cato aveva perso il vantaggio numerico su Peeta ed era certo di poter uccidere Rue anche senza il suo aiuto. Il fuoco, accortosi di una maggiore freddezza da parte del ghiaccio, rimase tutto il tempo sulla difensiva, aspettandosi il tradimento da un momento all'altro. Si studiavano e anche Peeta cominciò a vedere la morte di Clove come un'opportunità. Se prima si davano il cambio per i turni di guardia ora rimanevano svegli entrambi e in tutto ciò ancora nessuna traccia di Katniss e di Rue.
    Le due ragazze erano scese dall'albero che l'avevano ospitate fino ad allora poiché non era più in grado di fornire cibo commestibile. Si muovevano con cautela, studiavano le tracce degli altri ragazzi e finalmente si accorse degli infausti eventi: si muovevano in tre e questo voleva dire che Peeta si fosse schierato con loro. Credevano che proseguendo le loro tracce avrebbero trovato una via sicura, poiché considerata libera dai due ragazzi. Così facendo giunsero dal cadavere di Clover. Rue istintivamente si coprì gli occhi per lo spavento e non riuscì a trattenere un grosso grido.

    Rue, non ci voleva, dobbiamo fuggire!

    Fu così che ricorsero verso l'albero sicuro, ma Peeta e Cato udirono l'acuto suono. Senza pensarci due volte si precipitarono e non impiegarono molto a raggiungere le due ragazze. Cato aveva la morte degli occhi, sentiva la mano tremare per la rabbia, il sangue ribolliva per la voglia di uccidere, mettendo così la parola fine a quel gioco malato.

    Katniss!

    La ragazza osservò con sdegno il proprio amico. Come aveva potuto allearsi con gente simile? Che fine aveva fatto il figlio del panettiere che conosceva e, soprattutto, aveva ucciso qualcuno? Tutte quelle domande la destabilizzarono e Cato approfittò di ciò.

    EVERTE STATIM!

    Tuonò il ghiacciò nello stesso momento in cui una forte onda d'urto fece volare in aria la ragazza. Katniss doveva fare qualcosa. Rapidamente scese dall'albero, ma venne bloccata fisicamente dalle forti braccia di Peeta. La ragazza vide la morte di Rue sotto ai propri occhi. Cercò di divincolarsi in ogni modo, ma nulla poté far con quel fisico debole. Urlò per l'agonia, strillò, si disperò, provocando una fitta nel cuore di Peeta.
    Quando l'anima di Rue abbandonò l'Arena, Cato si voltò in direzione dei due Fuoco.
    Peeta la lasciò andare, ma ancor prima di dar una qualsivoglia spiegazione rese a Katniss la sua bacchetta. Ebbene sì, era riuscito ad afferrarla dopo aver stretto l'alleanza.

    CAPITOLO IV - L'ULTIMO SCONTRO



    I tre tributi erano pronti per quello che sarebbe stato il duello finale. Nonostante lo stupore, il risentimento e la rabbia per la morte di Rue, Katniss non voleva uccidere Peeta. Doveva avere una buona ragione per giustificare il proprio comportamento, ma ciò non lo rendeva innocente. Era stato complice del piano di Cato, se non fosse stato per lui forse lei sarebbe riuscita a salvare la sua amica.

    EXPELLIARMUS!

    Urlò Cato in direzione di Katniss che schivò il colpo con una capriola. Non poteva, non doveva distrarsi. Abbassare la guardia voleva dire morte certa. Peeta assottigliò lo sguardo, piegò entrambe le gambe, protese il busto in avanti e si preparò alla propria offensiva.

    Petrificus Totalus!
    Stupeficium!

    A nulla servirono i due attacchi, l'agilità di Cato era troppo elevata. Nonostante fosse solo, riusciva a prevedere le mosse di due maghi. Era chiaro che in uno scontro singolo avrebbe vinto, ma in due avrebbero dovuto cooperare, pianificare qualcosa di efficacie ed imprevedibile allo stesso tempo. Sì, ma cosa?
    Katniss si guardò intorno. La foresta poteva giocare un ruolo cruciale.
    Rivolse uno sguardo complice a Peeta.

    Mostriamogli quanto può far male il fuoco.

    Sul volto del ragazzo si dipinse un sorriso compiaciuto. Era un piano folle, ma loro avevano necessità di finire lo scontro il prima possibile.

    Incendio Maxima!
    Incendio Maxima!

    Cato riuscì a schivare le prime fiamme generate dal terreno, ma non le seconde. Fu invaso dalle lingue di fuoco che cominciarono lentamente a bruciare prima il tessuto dei suoi vestiti e poi la pelle. Cato cominciò a rotolare nel tentativo di debellare le fiamme e i due fuoco cominciarono ad interrogarsi su come agire. Uccidere o essere uccisi era la scelta amletica da prendere.

    Non c'è bisogno che lo faccia tu, ci penso io.

    Fu una sequenza brutale: prima uno schiantesimo, poi tanti altri fasci di luce colorata fuoriuscirono dalla bacchetta e le urla agonizzanti riecheggiarono in ogni dove. Fu un supplizio atroce che durò per ben tre minuti, al termine del quale ci fu la standing ovation da parte dei tifosi del fuoco.
    Il fuoco aveva vinto i Wizard Game, ma il vincitore sarebbe stato solo uno.
    Peeta rivolte a Katniss uno sguardo mortificato. Non voleva morire, non voleva ucciderla.

    So cosa stai pensando, ma prima devo occuparmi di Rue. Lei è solo una vittima di questo gioco senza senso. Non meritava di morire, molti dei tributi non meritavano di morire. Io smetto di giocare.

    CAPITOLO V - POSSA LA FORTUNA ESSERE SEMPRE A VOSTRO FAVORE



    Quel pomeriggio Peeta e Katniss non si diedero battaglia, trascorsero tutto il loro tempo per garantire a Rue una degna sepoltura. La forza di Peeta fu necessaria per scavare una fossa, mentre Katniss si occupò del cadavere della ragazza. Quando fu tutto pronto si rivolsero agli studenti e al personale di Amestris, chiedendo due minuti di silenzio per coloro che avevano perso dei cari durante i Wizard Game. Ciò fu concesso. In tutta la scuola vi erano specchi che raffiguravano la cerimonia, al termine della quale la ragazza rivolse l'indice e il medio verso il cielo.

    Sono felice di avere la vostra attenzione. Voi adorate i Wizard Game - a quelle parole seguì un tumulto di applausi - ma vi siete accorti di cosa siamo diventati? Ogni anno sei di noi vengono presi e sbattuti in un'Arena a combattere, a rischiare la nostra vita, a morire. In quanti di voi hanno perso un amico o un parente in questi giochi? E per cosa? Per ottenere degli stupidi punti casata per una coppa assolutamente fittizia? Per la spilla da prefetto? Ci sono cose più importanti nella vita.

    Lo sguardo si spostò verso il corpo della ragazza defunta ed ebbe un attimo di esitazione. Peeta, accortosi di ciò avanzò fino a raggiungerla e le strinse la mano.

    Nessun gioco può valere la saluta di una persona. Io sono con Katniss. Io smetto di giocare.
    NO AI WIZARD GAME
    NO AI WIZARD GAME
    NO AI WIZARD GAME

    Nel giro di pochi secondi, chi prima chi dopo, tutti gli studenti si unirono al coro di rivolta. Katniss col suo modo di fare, col suo discorso, col suo comportamento durante i giochi era riuscita a muovere qualcosa nell'animo della scolaresca. Tutti erano pronti per far qualcosa, ma ecco che riapparve lo specchio col volto del preside Snow.

    Discorso molto toccante signorina Everdeen, ma dimentica forse che i Giochi non sono ancora finiti? Le porte dell'arena non si apriranno fino
    a quando non resterà una solo di voi.


    L'entusiasmo dei giovani cominciò a vacillare, ma la fermezza dei propri ideali era forte in Katniss e Peeta. Fu proprio quest'ultimo ad avere un'idea. Bisbigliò qualcosa alla ragazza, la quale annuì. Il panettiere tirò fuori dalla propria tasca una fialetta di Distillato della Morte Vivente.

    Se non insieme, nessuno uscirà da questa Arena. Sa bene di cosa si tratta, no? Se non ci permetterà di uscire, quest'anno non ci sarà nessun vincitore, giusto Peeta?

    Il ragazzo portò il braccio sinistro intono al collo della ragazza.

    Tu dimmi quando devo bere ed io berrò.

    Dallo specchio non ci furono ulteriori suoni, quindi era quella la fine? Non potevano tirarsi indietro. Se lo avessero fatto, sarebbero stati complici di quel sistema meschino e implacabile. Con due morti ci sarebbero stati due simboli di una nuova guerra. Peeta aveva la fialetta sotto il naso, la avvicinò alle labbra e gli studenti cominciarono a far ancora più casino di prima. Persino all'interno dell'Arena si riuscivano a sentire le loro urla. No ai wizard Game.
    Non sarebbero morti per nulla.

    FERMI! Va bene, vi dichiaro entrambi vincitori di questi Wizard Game.

    Le porte dell'Arena si aprirono, tutti gli studenti li accolsero a braccia aperte e Prim poté finalmente riabbracciare sua sorella. Tra il pubblico si era diffusa l'idea che Peeta e Katniss stessero insieme in segreto e ciò li avrebbe condotti a un futuro fatto di gloria, fama e ricchezza. C'era solo un ma: i Wizard Game erano davvero terminati?

    Edited by Alexander Olwen - 20/8/2018, 08:57
  7. .
    CITAZIONE
    Titolo: In viaggio verso la speranza
    Autore: Augustus Baker
    Personaggi: Augustus, Alex, Esther, Alec, Andrew, Amalia, Tyrion Lannister, Daenerys Targaryen, Sam Tarly, Melisandre, Arya, Varys e Jon Snow

    - Prologo
    - Capitolo I – Il monco
    - Capitolo II – il Guardiacaccia
    - Capitolo III – La criminale
    - Capitolo IV – La giornalista
    - Capitolo V – Il Preside
    - Capitolo VI – La Donna di Ghiaccio
    - Epilogo

    PROLOGO

    game-of-thrones.6.10.4108900.3000



    C’era qualcosa in quel mare d’inverno che placava l’animo infuocato di Daenerys Targaryen: nonostante il mondo stesse per finire, le onde continuavano a rimanere serene ed imperscrutabili, come se la fine di ciò che conoscevano non le riguardasse.
    Li avrebbe uccisi tutti, uno per uno. Avrebbe ucciso i figli della notte vendicando così il suo di figlio perduto, Viserion, che mai sarebbe tornato a scaldare il cuore della madre con il suo immenso affetto.
    Ma al momento, tutto ciò che poteva fare era attendere e sperare, insieme a tutti gli altri salpati per quel viaggio insieme a lei.

    Sei sicura che funzionerà?

    Non si voltò nemmeno quando proferì parola, sicura che la donna al suo fianco avrebbe compreso.
    Melisandre non trovava nella forza del mare il controllo sulle sue emozioni; ad animarla erano sempre e comunque le fiamme, che lei aveva davanti al suo sguardo nonostante gli occhi poggiassero su infiniti orizzonti d’acqua.

    Funzionerà, vostra grazia.

    Si lasciò sfuggire solamente, mentre la brezza solleticava le sue gote e spargeva i suoi capelli rossi al vento.

    E se non si fida di me, si fidi del suo amico.

    Sam Tarly, impacciato come sempre, stavolta non tentennò un istante dopo essere stato interpellato. Tossì piano, abbandonando il mare per cercare la tempesta negli occhi della sua Regina.

    Sì… Funzionerà.
    Cornelius Angle ne è sicuro, quindi… io ne sono sicuro.


    Cornelius Angle, l’aritmante più famoso di tutti i tempi, li avrebbe guidati verso quell’avventura all’insegna dell’ignoto e della speranza.
    Sam aveva trovato quel libro per puro caso lì alla Cittadella: l’aveva sempre avuto con sé, ma non se n’era mai accorto prima di quel momento.

    Speriamo questo Cornelius Angle non fosse ubriaco quando scrisse quelle parole.

    Ad intervenire stavolta fu Tyrion Lannister, in piedi a pochi passi da loro. Ma Sam Tarly ignorò le parole del nano, cercando invece la fiducia di Daenerys, Arya, Varys e di tutti gli altri lì vicino, escluso Jon: lui credeva già in lui.

    …Una volta superate le terre dell’est, dovremmo incontrare un portale. Quello, grazie alla magia di Lady Melisandre, ci porterà
    diritti verso… l’Inghilterra magica.


    Daenerys non rispose alle parole di Sam, né a quelle di Melisandre.
    Neanche Jon al suo fianco tradì una parola: non si fidava della Donna Rossa, ma se Daeny e Sam si fidavano, anche lui l’avrebbe fatto.

    Sarà meglio che sia come credete.

    Daenerys lasciò ancora che le sue parole venissero cullate dal vento, mentre lo sguardo continuava a braccare l’azzurro del mare.

    Altrimenti sarà tutto finito.


    CAPITOLO I – IL MONCO

    La Testa di Porco non era certamente la migliore delle locande presenti nella zona, ma in quel luogo, oltre il puzzo e l’odore di stantio, c’era qualcosa che mancava a tutte le altre: la solitudine.
    Tenersi impegnato col lavoro, l’Accademia e i tirocini era utile per sfuggire dai propri pensieri, ma quando la notte calava e la mente sopravviveva al sonno, evitare i ricordi era dannatamente difficile. Allora, subentrava la voglia d’evasione dal mondo comune: lavorare non funzionava più, tenere la mente impegnata neanche. Ciò che poteva fare era affogare i pensieri nell’alcol e senza nessuno a distoglierlo dall’intento.

    Oh, bene.
    Allora non sono l’unico menomato in città.


    Ma i desideri di Augustus, purtroppo, non sarebbero stati esauditi neanche in quel posto dimenticato da Dio. L’hitwizard voltò il capo lentamente in direzione di quella voce nuova, senza nessuna particolare espressione sul volto: non aveva capito l’insinuazione dell’uomo fino a quando non vi adagiò sopra gli occhi scuri, riconoscendovi la figura di un nano. O forse era un Goblin?
    Non avrebbe avuto il tempo di pensarci perché il piccolo uomo salì su uno sgabello, portandosi esattamente accanto ad Augustus. Quello cominciò allora a guardarlo con curiosità, senza proferire parola, mandando giù piuttosto un altro sorso di liquido ambrato.
    Il nano nel mentre si rivolse al vecchio barista.

    Non avete vino di Dorne in questo posto, vero?
    Chiariamoci: berrei qualsiasi cosa, ma il vino dorniano non ha rivali…
    Come le sue donne, d’altronde.


    Il nano diede una piccola gomitata d’intesa ad Augustus, che in tutta risposta continuò a bere con lo stesso cipiglio incuriosito tinto sul volto.

    Prendo quello che beve il signore.
    E spero che almeno compensi il lungo viaggio.


    Il barista gli porse dunque un bicchiere di Brandy, che il nano mandò giù in un sol sorso prima di voltarsi verso il monco.
    Quel liquore aveva un sapore davvero strano per i suoi gusti.

    Allora.
    Non mi chiedi da dove vengo? Pensavo che si venisse in queste bettole per trovare un po’ di strana compagnia, oltre che per l’alcol.


    Augustus non seppe cosa dire a quel punto, totalmente confuso dalla situazione. Gli lanciò una sola eloquente occhiata prima di indicare al vecchio dietro al bancone di servirgli un altro bicchiere con un silenzioso gesto della mano sana.
    Si voltò allora verso l’entrata del locale, stranito da quell’improvviso arrivo, e senza accorgersi di strani movimenti nell’aria.

    Io vengo solo per l’alcol.
    Ma qualcosa mi dice che non smetterai di parlare.


    Tornò allora a rivolgersi al nano, che alzò il bicchiere verso l’alto alla sua salute.

    Puoi ben dirlo. Io sono Tyrion.
    E non c’è bisogno che mi dica chi sei tu: Augustus Baker, dico bene?


    A quel punto, Augustus posò il bicchiere sul bancone con un tonfo, la curiosità che aveva lasciato il posto alla preoccupazione. Si voltò verso il nano con fare serio, pronto a sguainare la bacchetta se fosse stato necessario.

    Come fai a sapere chi sono?

    Ho un amico che, beh… Diciamo, sa parecchie cose su parecchia gente.
    Sapeva anche che ti avrei trovato qui.


    E cosa volevi da me?

    Farti i miei complimenti, ovviamente!
    Acciuffare una delle criminali più ricercate degli ultimi tempi non è mica cosa da tu-


    Ma Tyrion non avrebbe avuto il tempo di continuare la frase, perché Augustus gli era letteralmente saltato addosso puntando la bacchetta sulla sua gola.

    Che cosa hai detto?
    Come fai a dire ciò che dici?


    Ehy, se dovete litigare, fatelo fuori dal mio locale!

    Augustus cominciò a sentire il cuore palpitare, perché nessuno, nessuno a parte lui e il corpo Auror sapevano cosa fosse successo mesi prima, e che genere di ospite aveva accolto Akzaban per diverso tempo.
    Tyrion cominciò a guardare l’uomo con fare nervoso, cercando di spezzare la tensione con piccoli sorrisi, le mani portate in avanti come a voler mettere in chiaro le sue buone intenzioni.

    …Ehy, Ehy, non c’è bisogno di reagire così, davvero.
    Guardami, sono solo un povero nano!


    Un povero nano che parla un po’ troppo.

    E così dicendo lo lasciò andare, ma senza allontanare la bacchetta dal suo capo.

    Rispondi alla mia domanda.

    Tyrion sospirò, ringraziando il cielo che la sua lingua lunga fosse riuscita a salvarlo ancora una volta, tornando a sedersi con un piccolo groppo in gola.

    …Ricordi quell’amico di cui ti parlavo? Beh, lui.
    Sempre lui.


    E questo amico sarebbe?

    …Non ha importanza, in questo momento.
    Ciò che conta adesso, Augustus Baker, è che noi abbiamo bisogno del tuo aiuto.
    Del vostro aiuto.


    E così dicendo Tyrion nascose fra le dita un impercettibile capello dell’uomo che l’aveva appena attaccato, conservandolo in tasca piuttosto che buttandolo per terra.

    Ma nessuno di voi dovrà mai saperlo.

    Augustus, sconvolto da quelle assurde parole, non ebbe il tempo di reagire: uno strano sonno lo colse tanto all’improvviso da impedirgli di comprendere cosa stesse succedendo, il capo improvvisamente poggiato sul bancone, assente. Si sarebbe svegliato dopo diverse ore in quella stessa locanda, senza riuscire a comprendere se ciò che aveva appena vissuto corrispondesse a sogno o realtà.

    Certo che questi veleni sono davvero efficienti.
    Beh, è ora di andare.


    Tyrion continuò a parlare da solo, nel mentre, riprendendo dalla tasca la fialetta di tè della luna di cui aveva versato poche gocce all’interno del drink dell’uomo, senza che quello potesse accorgersene.

    Grazie buon uomo, e scusi per il disturbo.

    Prima di andare, lasciò quindi sul bancone una cospicua somma di galeoni – delle monete davvero strane -, consapevole che quel vecchietto non avrebbe mai riferito una parola sull’accaduto.


    CAPITOLO II – IL GUARDIACACCIA

    Il fiume Boann scorreva placido sotto il suo sguardo, perso fra le scintille d’acqua cristallina come in cerca di una boa, ma senza trovarla. Seduto sulle sue sponde, Alec rifletteva sul senso di quei giorni e di quelle settimane, di quella vita tanto infame da avergli portato via ciò che aveva di più caro, poco alla volta, fino a lasciarlo completamente solo. Ricordò le parole che lui stesso rivolse a Coral, tempo prima: le persone se ne andavano, prima o poi, e non era colpa di nessuno. Le strade si dividevano ma continuare a camminare da soli non era impossibile. Alec lo sapeva, lo sapeva bene, e per quanto avesse creduto a quelle stesse parole mentre le pronunciava, adesso, a ridosso dei tempi andati, avrebbe voluto non crederci.
    Con un gesto delle dita, fece sbocciare dinanzi ai suoi occhi una piccola primula. Avrebbe voluto far crescere il nuovo nella sua vita allo stesso, identico, modo.

    01237ae2478fa8d8492009c27eb3cd4c



    Ma cosa…

    Dei suoni sordi, in realtà familiari, lo distrassero dai suoi pensieri. Non sapeva quanto fosse comune veder volare un drago al di fuori della loro radura, ma in fondo si trovava comunque a Drayrdd, quanto poteva essere difficile? Alec non staccò lo sguardo dalla maestosa creatura neanche per un istante, assistendo al momento del suo atterraggio: se la presenza di un drago nei dintorni non lo stupiva, vedere scendere dalla sua schiena aguzza una ragazza lo sorprese al quanto. Non aveva idea che i draghi si potessero cavalcare. Continuò ad osservarla da lontano in silenzio, senza scomporsi di un millimetro: le donò solamente il suo sguardo, insieme ad un’espressione incuriosita dipinta sul suo volto. Quella sarebbe stata destinata a diventare persino più esplicita, mano a mano che la ragazza dai capelli perlacei si andava facendo più vicina a lui, cogliendolo di sorpresa.
    Deglutì.
    Quella si fermò davanti ai suoi occhi, guardandolo con espressione impassibile prima di schiudere le labbra con fare solenne.

    Sono Daenerys Targaryen, "Nata dalla tempesta", la prima del mio nome, regina degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, signora dei Sette Regni, protettrice del Regno, principessa di Roccia del Drago, khaleesi del Grande Mare d'Erba, "la Non-bruciata", "Madre dei Draghi", regina di Meereen, "Distruttrice di catene".

    Dopo quella catena infinita di nomi, fra di loro cadde il silenzio più assoluto per diversi secondi.

    …Io sono Alec. Solo Alec.

    L’uomo era vagamente intimorito da quella ragazza, che aveva tutte le carte in regola per sembrare una… persona difficile.

    Sei una dragoni era? Non pensavo che i draghi potessero volare al di fuori dei confini della radura…

    Affermò con fare un po’ impacciato, portando la mano sul capo che grattò goffamente. A quel punto, lasciò vagare lo sguardo sulla ragazza: era giovane e dai lineamenti particolari, tanto da farla apparire come una straniera ai suoi occhi.

    Ho già detto chi sono. Sono Daenerys Targaryen, "Nata dalla tempesta", la prima del mio no-

    …Aspetta, ho capito, ho capito. Non sei una dragoniera.

    Il che spiegava perché quel drago grande e scuro somigliasse più a un ungaro spinato che a un verde gallese, ma non cosa ci facesse lì quella donna, perché fosse davanti a lui e cosa volesse.

    Sono qui per te, in realtà. Puoi aiutarmi a salvare il mio regno.

    Il tuo… cosa?

    Tutto ciò che devi fare, è darmi un tuo capello.

    Un mio… capello?

    Tutta quella storia non aveva alcun senso. Senza rendersene conto, Alec era già in piedi, senza però avere sfoderato la bacchetta: quella ragazza le sembrava soltanto stramba, non pericolosa. Che fosse scappata dal San Mungo? Questo avrebbe spiegato molte cose, ma non il drago addestrato…

    Senti, se hai bisogno di una mano… Posso aiutarti.
    Ma tu dimmi la verità.
    Chi sei davvero?


    Il tono dell’uomo a quel punto si fece più deciso, mettendo da parte tutti i suoi timori. Alzando gli occhi per aria, Daenerys si avvicinò maggiormente al Guardiacaccia, guardandolo dal basso verso l’alto. Si avvicinò tanto all’uomo da poterne sentire l’odore terroso, quasi vivesse a contatto con la flora di quel luogo. Alec, in tutta risposta, cominciò a deglutire: non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo, né il perché, ma sapeva che qualcosa non andava. Anche se era così vicina, e… carina da tentennare senza accorgersene.

    Inginocchiati e obbedisci.
    Sono la tua Regina.


    Una frase che Alec avrebbe apprezzato in altre circostanze, probabilmente, ma non in quella: la magia della loro vicinanza svanì nel nulla, portando con sé persino le preoccupazioni e la curiosità nei confronti di quella strana ragazza.

    …Io me ne vado.

    Ma Alec non avrebbe avuto modo di farlo, perché sarebbe stato colpito alle spalle da qualcosa che lo fece accasciare per terra, svenuto e senza sensi.

    Te l’ho detto che la storia dell’inginocchiarsi non avrebbe funzionato, Daeny.

    Un piccolo sorriso segnò il volto già marcato da cicatrici del ragazzo apparso nel nulla, che guardò la ragazza dagli occhi chiari senza alcun timore. Quella ricambiò il sorriso, piegandosi sull’uomo svenuto per strappargli un capello e riporlo in una fialetta.

    Andiamo via da qui, Jon Snow.


    CAPITOLO III – LA CRIMINALE

    Veloce come una lepre, furba come una volpe.
    La mano lesta, protetta dal guanto di drago, sfiorò la maniglia della camera sigillata, facendo scattare l’allarme: tutto come da programma. Arya Stark aveva organizzato il suo piano d’attacco nei minimi dettagli, grazie alle informazioni fornite da Varys. Non avrebbe mai creduto che sarebbero stati dalla stessa parte, ma non era difficile capire il perché considerato che fossero imbarcati sulla stessa nave.
    Ed eccola lì, proprio come sospettato. Aveva fatto alcune prove prima, Arya, aveva capito come funzionava, l’avevano avvertita che quegli uomini delle terre sconosciute erano strani. Ma lei si era fatta furba: aveva osservato, aveva spiato, e alla fine ne aveva raccolto i frutti.
    Si nascose nell’ombra, mentre la figura della giovane donna si appostava dinanzi alla porta della sua camera d’Accademia per capire chi avesse provato ad invadere i suoi spazi.
    Un rumore.

    Chi c’è?

    Con la bacchetta sfoderata puntata verso il vuoto, Alex Dragomir si guardò intorno, senza trovare nessuno. Con velocità, allora, aprì la porta della sua camera, chiudendosela in fretta alle spalle. Peccato che qualcun altro fosse entrato insieme a lei.

    Poco furba per essere una criminale, Hela Styles.
    O forse dovrei dire Alex Dragomir.


    Con un sorriso beffardo stampato sul volto, Arya estrasse Ago tanto velocemente da riuscire a disarmare Alex, che colta di sorpresa non fu abbastanza lucida per riuscire a reagire in fretta. I suoi occhi si tinsero di furia nel puntare quella che a conti fatti pareva essere una ragazzina, una ragazzina che avrebbe fatto una brutta fine se non le avesse risposto in quello stesso istante.

    Dimmi chi sei.
    Ti manda Esther? Perché in quel caso, non è divertente.


    Oh no, ad Esther penserà qualcun altro.
    Per te ci sono solo io.


    Continuò a sorriderle mentre si piegava in avanti a mo’ di inchino.

    Sono Arya Stark.

    Affermò con decisione, senza lasciare un momento lo sguardo dalla donna. Alex, nel mentre, adocchiava il cassetto contenente tutte le sue pozioni, aspettando solamente il momento giusto prima di buttarsi ai suoi piedi e lanciargliele contro.

    Avanti, non serve reagire male.
    Parliamo.


    Sorrise ancora, mentre lo sguardo di Alex prendeva sfumature ancora più accese di rosso.

    Non avrei dovuto mostrarmi a te, ma non potevo esimermi.
    Voglio sapere.


    Alex, coi lineamenti di Hela, continuava a guardare in cagnesco la ragazzina tanto furba quanto sfrontata. L’avrebbe afferrata per la gola, non sapeva come, ma ci sarebbe riuscita e le avrebbe fatto morire fra le labbra tutte quelle parole. Ma nel mentre, avrebbe dovuto temporeggiare finché non avesse potuto stringere fra le dita le sue pozioni.

    Cosa.

    Voglio sapere come fai a rubare la magia al Dio dei Mille Volti.

    A quel punto, la rabbia della donna si mescolò a stupore e a perplessità, cominciando a muovere piccoli passi in direzione della ragazzina. Quella si andava spostando di conseguenza, tanto che le due instaurarono una sorta di danza silenziosa in circolo.

    Non ho idea di cosa tu stia parlando.

    E non era una bugia.

    La tua faccia.
    Come fai a cambiarla tanto facilmente? Dimmelo e me ne andrò.


    Era affascinante per lei che aveva speso anni, tempo e sangue alla ricerca di Nessuno. Se esisteva un modo per esserlo con maggiore facilità, lei avrebbe voluto scoprirlo. E a quanto sembrava, un modo esisteva davvero.

    E perché dovrei?

    Ci era riuscita, Alex. Era riuscita ad arrivare al suo cassetto, girando attorno alla camera.

    Perché altrimenti dovrei ucciderti già adesso.

    E poi scattò, la pozione fumogena lanciata addosso ad Arya prima che questa potesse reagire: la sua spada volò lontano, e le due cominciarono a lottare corpo a corpo e per istanti che risultarono infiniti, mentre il fumo iniziava a dare fastidio ai sensi di entrambe. Le dita della ragazzina si strinsero allora addosso al capo della donna, cercando di tirare senza fermarsi: attorno alle sue dita si attorcigliarono i capelli della criminale, proprio come sperato. Arya allora, abituata allo scontro fisico più di Alex, riuscì infine ad assestarle un calcio nello stomaco dandole il tempo di allontanarsi, afferrare Ago e fuggire, lasciando la donna sola col proprio sconcerto.
    Non aveva ottenuto le risposte che voleva, ma aveva preso ciò per cui era giunta fin lì.

    Grazie per il capello, Alex Dragomir.


    CAPITOLO IV – LA GIORNALISTA

    Jason, hai sistemato il vaso di gigli come ti avevo chiesto?
    Hai fatto mettere le tende di quel color canarino sgargiante?
    Hai preparato il tè nel modo in cui ti avevo chiesto e con quegli infusi specifici?


    La Sede della Gazzetta del Profeta, di suo, era assai molto animata: non si trattava di un giornaletto da quattro soldi, in fondo, come quella robaccia del Settimanale delle Streghe che riusciva a raccogliere solamente i latifondi della società, quelli di cui solo una sciacquetta come la Laurens poteva acquisire e volere la fiducia.

    E tu, Amy: non fare quella faccia da troglodita quando arriverà, altrimenti potrai ritenerti licenziata.

    No, Esther Ellis mirava in alto: non per nulla in pochi anni era riuscita a creare il suo personale impero di notorietà e successo, eguagliando, se non superando, la fama dell’ormai relitto Rita Skeeter.

    Deve essere tutto perfetto, o ti ritroverai sperduto in mezzo al nulla, senza sapere neanche il tuo nome.
    Chiaro?


    Sorrise in direzione di Jason, a quel punto, con vago fare isterico, mentre lei stessa si guardava allo specchio per tentare di apportare al suo look gli ultimi, perfetti ritocchi: non tutti i giorni si presentava alla sua corte un ospite tanto importante, motivo per il quale niente quel giorno sarebbe dovuto essere fuoriposto.
    Jason ed Amy, portati alla follia dalla stessa donna, erano intimoriti da ciò che sarebbe potuto succedere se l’affare non fosse andato a buon fine.
    Quando poi arrivò quel rintocco tanto conosciuto, tutti quanti i membri dello staff di Esther si guardarono con fare terrorizzato.


    E’ QUI!


    Jason urlò talmente forte che probabilmente sarebbe stato udito anche dai passanti fuori dall’edificio, scatenando sospiri mozzati lungo tutta la sede del Profeta.
    Esther diede un’ultima sistemata alla gonna color turchese, prima di dirigersi a passo suadente e sicuro verso l’ospite tanto atteso.
    Varys, il famoso Ragno Tessitore, aveva varcato le soglie di quella porta in silenzio, guardandosi intorno con aria incuriosita, totalmente rapito da quei colori e tutta quell’esuberanza straniera. Ma quando i suoi occhi scuri si adagiarono sulla sottile figura della Caporedattrice, l’espressione sorpresa cambiò subito in una di lusinga, le labbra a schiudersi in un accenno di sorriso.



    Mia Signora.
    E’ un piacere per me fare la vostra conoscenza.


    Con fare galante, Varys piegò il capo verso il basso, prima di rialzarlo e puntare i suoi occhi vispi nuovamente sulla giornalista.
    Esther, d’altra parte, si era aspettata un tipo di tutt’altro genere. Non che avesse mai veramente saputo chi fosse il Ragno Tessitore, ma nell’ultimo mese gli erano arrivati talmente tanti gufi a suo nome riportanti una serie di notizie clamorose rivelatesi poi tutte vere, che non poté esimersi dal credere che fosse un guru del gossip.
    Quando le aveva proposto un incontro d’affari, lei non seppe rifiutarsi: sapeva cogliere un’occasione quando la vedeva, e quella era un’opportunità con la O maiuscola dai mille carati.
    Certo, il resto dello staff non la pensava allo stesso modo, soprattutto vedendo che genere di uomo fosse: grasso, calvo e dallo strano accento, un tono di voce tanto pacato e femminile da contrastare col suo aspetto da energumeno.

    Ha un luogo in cui possiamo parlare a quattr’occhi, mia cara?
    Sa, adoro il cinguettare degli uccellini, ma soltanto quando sono io a controllarli.


    Ma certo! Mi segua.

    Trillò Esther con audacia, sorridendo tanto quanto non aveva mai fatto in vita sua. Una volta entrati nell’ufficio della Caporedattrice, seguiti a ruota da Jason ed Amy, Esther si rivolse a loro con tono minaccioso, celato però dai suoi continui finti sorrisi.

    Avete sentito il nostro ospite?
    Vuole restare da solo con me.
    Fuori.


    Ordinò perentoria, mostrando un po’ di impazienza sul finire della frase. Tornò quindi a rivolgersi al suo ospite, che nel mentre aveva preso posto alla scrivania, continuando a guardarsi intorno come se non avesse mai visto nulla di simile in vita sua. Ma a quel punto, da una delle tasche del suo grande abito, estrasse una bottiglia contenente del liquido blu.

    Ombra della sera. Un vino molto apprezzato dalle mie parti.
    Sarebbe un onore, per me, se potesse assaggiarlo.


    Esther puntò gli occhi sulla bottiglia blu notte: non aveva mai visto nulla del genere, né avrebbe mai avuto intenzione di assaggiarlo.
    Ma gli affari erano affari e se quello era il prezzo da pagare perché potesse avere l’informatissimo Ragno Tessitore alle sue dipendenze, l’avrebbe pagato.

    Certamente! Vanno bene questi bicchieri?

    Tirò fuori dalla vetrina lì vicino due calici da vino molto comuni, mostrandoli all’ospite.
    Quello li afferrò senza timore, versandoci all’interno un po’ di liquido blu, con fare pacato. Tenne un bicchiere per sé, mentre spinse l’altro direttamente sul tavolo, verso la donna.

    Andranno benissimo, mia cara.
    Saranno le sue labbra a renderlo speciale.


    E, portando il calice verso l’alto, sorrise alla giornalista, cominciando a bere qualche sorso del suo vino. Vedendo che lui stesso ne aveva bevuto, Esther fece lo stesso, senza abbandonare per un attimo lo sguardo da quello dell’uomo.
    Quella robaccia era letteralmente disgustosa, peggio del catrame: faticò per cercare di mantenere un’espressione neutra del volto, così da non turbare il suo ospite.

    Oh, non si trattenga cara!
    E solo dopo qualche sorso che si riesce ad apprezzarne il sapore!


    Esther sorrise vagamente, mandando giù qualche altro sorso di quella poltiglia disgustosa. Sapeva di inchiostro misto a carne cruda.
    Terribile.
    Ma dopo pochi istanti, effettivamente il sapore cominciò a cambiare, assumendo il sentore di… pollo al curry. L’aveva mangiato per pranzo.
    Che roba era?!

    Adesso, direi che possiamo passare agli affari.
    Non trova?


    Chiese con tono squillante, tossendo per far andare via quel sapore improvviso dalla sua bocca, invano.

    Oh, ma abbiamo già cominciato a parlarne, mia cara.
    Proprio qualche secondo fa, quando ha bevuto l’ombra della sera.


    Esther non capì a pieno le sue parole.
    Seppe solo che improvvisamente la sua lingua cominciò ad assumere una… strana consistenza, e a sentirla più gonfia. Si guardò in fretta allo specchio lì vicino: la sua lingua, come le sue labbra, stavano diventando blu.
    Varys si avvicinò alle sue spalle, in silenzio, sbucando nel riflesso dello specchio nel quale si mostrava una Esther Ellis a dir poco terrorizzata, oltre che sconvolta. Cercò subito di afferrare la sua bacchetta, ma la mano di Varys fu più veloce.

    A-a-ah. Questa la prendo io.

    La Caporedattrice cominciò a tossire, chiedendosi cosa avesse ingurgitato e perché l’uomo non stesse subendo gli stessi effetti, senza neanche più domandarsi cosa volesse da lei tanto era in preda all’ansia e all’agitazione.

    Ho già bevuto l’antidoto, come forse avrai capito.
    In poco tempo tutto del tuo corpo diventerà di quel meraviglioso colore, ma non vivrai abbastanza per accorgertene.


    Non si rese neanche conto di avere cominciato a darle del tu quando le strappò un capello dalla cute, allontanandosi da lei di colpo.
    Non era esattamente vero ciò che le disse: l’unica conseguenza dell’ombra della sera sarebbe stata la bocca blu, ma nessuna morte colposa. Tuttavia, era bene che la donna non lo sapesse.
    Varys non avrebbe mai potuto avvicinarsi a quella e ottenere un suo capello se non in quel modo, con l’inganno: conosceva le sue doti, sapeva cosa era in grado di fare a chi si metteva sul suo cammino, motivo per il quale aveva dovuto organizzare tutto con estrema precisione.

    …Tu… Maledetto… la pagherai!

    Sì, mia cara. Un giorno, forse.
    Ma oggi vinco io.


    All’interno della bottiglia di vino, Varys aveva anche versato delle gocce di latte di papavero, che le avrebbero conferito la giusta quantità di riposo perché lui potesse riuscire a fuggire da quel luogo di facili predatori.
    Una volta aperto l’ufficio, gli occhi di tutto lo staff si posarono su di lui.

    Credo che il vostro Capo non si senta molto bene.
    E’ il caso che la soccorriate.


    E sarebbe fuggito verso la libertà, mentre le attenzioni di tutti sarebbero state rivolte con incredulità alla donna mezza morente sul pavimento, il terrore tinto sul volto


    CAPITOLO V – IL PRESIDE

    Emh… Professor… Preside Laeddis?
    E’ permesso?!


    Sam Tarly, in tutta la sua corposa presenza, aveva bussato alla porta dell’uomo che tanto gentilmente aveva accolto il suo invito, quando gli aveva scritto per chiedergli un incontro fondato su argomenti aritmantici. Andrew era certamente un uomo impegnato, ma non avrebbe mai rifiutato di ascoltare la voce di un giovane aritmante, come quel Tarly si era presentato, per risolvere i suoi dubbi, soprattutto quando lui stesso era stato considerato una voce capace di soddisfare le sue esigenze. Gli aveva dato appuntamento quella sera stessa in Accademia, invitando il custode ad attenderlo presso i cancelli fino a scortarlo nel suo ufficio.
    Il giovane ragazzo aveva quindi bussato tre volte, prima di sbucare con il capo all’interno dell’abitacolo.

    Lei deve essere Tarly.
    Entri pure.


    Con un cenno della mano e un sorriso cordiale, Andrew invitò Sam ad entrare e a prendere posto dinanzi a sé, mentre l’uomo si concedeva qualche occhiata più approfondita verso il ragazzo. Giovane era giovane, non c’era che dire, ma della sua intelligenza avrebbero detto certamente le sue parole.
    Di particolare, in ogni caso, c’era quella grossa valigia che il ragazzo trascinò con sé all’interno dell’ufficio, evidentemente affaticato.
    Andrew fu indeciso sul da farsi, piegandosi per dare una mano al ragazzo ma senza che questo lo accettasse, muovendo il capo in segno di no. Una volta compiuta l’impresa, Sam si sedette, guardandosi intorno all’ufficio con aria stralunata e meravigliata allo stesso tempo.

    Certo che… fa caldino qui!

    Andrew, che aveva preso posto alla sua scrivania, si portò maggiormente in avanti col busto, così da cogliere meglio le parole del ragazzo.

    Vuole che apra la finestra?

    Oh no!... Solo che… Sa, da dove vengo io, il clima è molto più freddo.
    Molto, molto più freddo.


    Affermò con serietà sul finire della frase, il nervosismo a macchiargli le parole.
    Sam cominciò ad asciugare il sudore dalla fronte, sospirando all’idea di avere già mostrato a quell’uomo tanto disponibile quanto fosse impacciato e goffo persino nel dire le cose più banali. Accennò quindi un sorriso per tentare di spezzare via la tensione, portando poi all’improvviso il grosso indice verso l’alto.

    Un… secondo.

    Così dicendo, aprì la grossa valigia che aveva portato con sé, tirando fuori uno dopo l’altro uno, due… sette enormi tomi dal sapore antico, che impilò accuratamente di fronte lo sguardo dell’uomo, stupito da ciò che vedeva.

    Posso?

    Ma Andrew non attese neanche una risposta, ché le sue mani erano già addosso a quei grossi libri: non aveva mai visto, né letto nulla di simile.
    Quelle pagine antiche parlavano di creature inedite, malattie leggendarie, eroi e nemici sconosciuti. Non sapeva di fronte che cosa si trovava, né in che modo avrebbe mai potuto essere utile lui che di quelle storie non ne aveva mai sentito parlare. Sam doveva evidentemente aver colto ciò che l’uomo provava già solo scrutando il cipiglio confuso sul suo volto.

    …Ecco, vede, Professor-Preside… Noi, io e i miei amici, tutto il regno da cui provengo, in realtà, è in grave pericolo.
    L’armata della notte è ormai giunta ad Approdo del Re, tutte le case sono state distrutte, di Grande Inverno c’è solo il ricordo. Sono morti in tanti e tanti altri ne moriranno, perché il Re della Notte non ha ancora smesso di sterminare tutto ciò che c’è sul suo cammino.
    E il suo cammino è ancora lungo!


    Andrew rimase a fissarlo in silenzio, cercando di collegare fra loro le informazioni ma senza trovargli un filo logico. Cominciò dunque a scrutarlo con sguardo scettico, le palpebre che si aprivano e chiudevano in continuazione.

    Da dove ha detto che viene, Tarly?

    Da Collina del Corno, Signore, ai piedi delle Montagne Rosse.
    Ma non è questo il punto…


    E qual è, il punto, Tarly?
    Perché, per quanto mi sforzi di comprendere, io non capisco.


    Sam sbuffò spazientito. Lo sapeva, lo sapeva che sarebbe andata a finire in quel modo. Era stato stupido da parte sua sperare che in quel mondo avrebbero trovato delle risposte, come lui stesso aveva suggerito a Jon, Daenerys e a tutti gli altri, ma sarebbe dovuto tornare a casa con niente di stretto fra le mani.

    Il punto è che noi siamo in pericolo!
    E nel momento in cui il Re della Notte avrà ottenuto tutto ciò che vuole dal nostro mondo, verrà nel vostro! Non capisce?
    Se noi siamo riusciti a trovarvi, ci riuscirà anche lui!


    Sam parlava, parlava, parlava, ma per quanto le parole talvolta fossero in grado di risolvere qualsiasi problema, in quella circostanza parevano rendere la situazione persino più caotica.
    Andrew cominciò a muovere il capo senza un ritmo ben preciso, confuso da quella mole di informazioni inesatte. Eppure le aveva lette: era scritto su quei tomi del Re della Notte e di tutte quelle follie di cui Tarly andava blaterando. Ed era impossibile che tutti quei tomi fossero stati scritti di suo pugno e per cosa poi? Prenderlo in giro?
    No, Tarly gli pareva tutto tranne che uno capace nell’arte dell’inganno, quanto in quella del farsi ingannare.

    E cosa potrei fare io, in tutto ciò, per aiutarti?

    Per la prima volta da quando aveva messo piede in quell’ufficio, Sam sospirò di sollievo. La punta della sua lingua fuoriuscì dalle labbra come accadeva ogni volta che si emozionava. Spostò allora la sedia maggiormente in avanti, sentendole fare un rumore al quanto sgradito mentre i suoi occhietti si posavano su quelli dell’uomo.

    Darmi un suo capello.

    E poi, di nuovo, Andrew cadde nello stupore misto a scetticismo.

    Un mio cape… Un mio capello?
    Un mio capello potrebbe salvare il… suo mondo dal Re dei Folli?


    Dal Re della Notte, e… Sì, potrebbe.
    Ma dovrebbe essere anche così gentile da spiegarmi un’altra cosa.


    E che cosa sarebbe?

    Andrew ormai non sapeva più a cosa credere, ma se fosse servito un solo capello per far cessare quella follia, un capello avrebbe dato. fuoco

    Deve spiegarmi come creare un sigillo di luce.


    CAPITOLO VI – LA DONNA DI GHIACCIO



    lt0zLPD



    Lo sguardo di fuoco guardava il suo simile appena evocato all’interno del camino vacante, ormai colmo di fiamme tanto rosse quanto rossa era la donna che lo fissava in silenzio.
    Quella sera il loro calore raccontava le solite storie di sempre, da qualche tempo a quella parte: guerre, morte, dolore. Sacrifici. Riusciva a scorgere le figure dei prodi eroi cadere l’uno dopo l’altro mentre le fiamme li avvolgeva con la loro danza, facendoli sparire dalla sua vista.
    Jon Snow aveva accettato il suo aiuto solamente perché vi riconosceva delle doti assenti in tutti gli altri, e lei, Melisandre, non l’avrebbe deluso.

    Chi sei tu?!

    La donna rossa non aveva bisogno di voltarsi per capire che Amalia Harp, la proprietaria dell’Ufficio, le stava puntando contro quello stupido catalizzatore dopo essere tornata da chissà dove.
    Sogghignò nell’udire l’affanno nella sua voce, voltandosi verso di lei lentamente e senza alcuna fretta.

    E’ così che si trattano le vecchie amiche, Amalia?

    Portando velocemente la mano verso l’alto, Melisandre evocò a sé la bacchetta della donna, e in quello stesso istante le fiamme alle sue spalle crepitarono.

    Non ho bisogno della bacchetta per farti del male.

    Anche Amalia, allo stesso modo della sacerdotessa, aveva portato il palmo in avanti, causando un’onda d’urto nell’aria che fece perdere a Melisandre l’equilibrio, rovinando per terra.
    La donna rossa sorrise divertita.

    Allora è vero, non ricordi proprio nulla.
    Dakarai deve avere fatto davvero un ottimo lavoro.


    E senza scomporsi, si rialzò da sola, avvicinandosi lentamente verso Amalia. Non allontanò un attimo lo sguardo dal suo, fino a quando non fu lei stessa a rimettere fra le sue mani la bacchetta magica appena sfilatale.

    Non so di cosa stai parlando.

    E’ ovvio che non lo sappia, Amalia.
    Mi hai dimenticata. Hai dimenticato tutto.


    Prima di approdare ad Essos e poi a Westeros, Melisandre aveva vissuto diversi anni in quel mondo, in compagnia di Canopus, Teimei, Hamal, Albatar e Gaius. Gli Astri, di cui lei stessa aveva fatto parte come detentrice della magia del Signore della Luce.
    Amalia, d’altra parte, era come pietrificata di fronte quella donna: non sapeva cosa c’era nel suo inconscio che le impedisse di muoversi e allontanarsi da lei.
    Melisandre, però, lo sapeva: era opera del Signore della Luce.

    Proprio tutto.

    In pochi istanti la donna rossa parve rivivere tutti quei ricordi, ripensando alla giovane Nott, istruita da Harmony mentre lei istruiva Dakarai, che da lei aveva imparato l’arte della magia senza bacchetta.

    Ma la fedeltà, Amalia… Quella non puoi dimenticarla.

    E così dicendo poggiò le sue labbra su quelle della donna di Ghiaccio, che trasportata da una sorta di voce interiore non poté esimersi dal lasciarla fare, come se in sottofondo ci fosse qualcuno a dettare delle leggi alle quali la stessa Amalia, pur dall’alto della sua potenza, non avrebbe potuto opporsi.
    Quando il baciò terminò, la Docente cadde per terra priva di sensi per opera della magia della stessa Donna Rossa.
    Quella si piegò poi su di lei, staccandole un capello bianco dalla cute. Ma prima di andare, continuò a fissarla in silenzio per alcuni istanti, un vago dispiacere nostalgico macchiato sul suo sguardo.

    Perché la notte è oscura e piena di terrori.


    EPILOGO

    Non finirai mai di metterti nei guai, vero sorellina?
    Tutti quanti avevano compiuto la loro missione, nel bene e nel mare.
    L’unica ad uscirne con delle conseguenze era stata Arya, che imprevedibile come sempre, non aveva rispettato il suo piano con precisione finendo con l’attaccar briga.

    Sto bene, ho detto, Jon.
    Non sono più una bambina.


    Ma i suoi fratelli probabilmente non avrebbero mai smesso di vederla come tale, neanche quando avrebbe raggiunto l’età adulta.
    Anche Melisandre, Varys e Tyrion avevano fatto ritorno in tempo: l’unico che mancava all’appello era Sam Tarly, colui che avrebbe dovuto avere fra le mani la chiave della vittoria.

    …ASPETTATE!

    Correndo come un ossesso, Samwell Tarly cominciò ad apparire verso l’orizzonte, scatenando l’ironia nel suo amico Jon, che trovò un momento per sorridere nonostante il cataclisma in cui stavano vivendo.

    …Eccomi, eccomi.

    Cominciò allora a respirare affannosamente, il volto imperlato di sudore mentre il rosso prendeva possesso delle sue gote. Ma loro non avevano tempo da perdere, men che meno potevano aspettare che Sam tornasse ad assumere la giusta tonalità di rosa in volto.
    Daenerys si avvicinò a lui con fare preoccupato, parlandogli a denti stretti.

    Ci sei riuscito?
    Samwell, ci sei riuscito?


    Un ultimo respiro profondo, e il ragazzo poté tornare ad assumere una posizione eretta.

    …Sì! Ci sono riuscito!
    Mi ha lasciato un foglio con delle istruzioni… è qui nella borsa.


    Melisandre, a quel punto, non avrebbe atteso neanche un secondo: portò le mani nella borsa del giovane Tarly, cercando la fialetta con l’ultimo capello e il foglio contenenti le parole di quell’uomo straniero.
    C’era qualcosa infatti che lei non avrebbe potuto fare solamente con la sua magia, dei calcoli e delle aspettative che solamente un luminare della disciplina avrebbe potuto risolvere.

    Possiamo iniziare.

    Oh bene, giusto in tempo per la cena.

    Non è il momento di scherzare, amico mio.
    Solo di sperare, e con tutte le nostre forze.


    Varys, Tyrion e gli altri, a quel punto, potevano solamente attendere che la Donna Rossa si mettesse all’opera.
    Quella chiuse gli occhi, concentrandosi e cominciando a parlare in una lingua antica e sconosciuta, le mani portate verso l’alto come a richiamare su di sé l’energia di fuoco del suo Dio di Luce.
    Ad un tratto, al centro di quel luogo sperduto fra le montagne inglesi, sbocciò un fuoco caldo e ardente, le parole di Melisandre divenute improvvisamente comprensibili.

    Signore della Luce, ascolta la tua umile servitrice!
    Salvaci con la forza del tuo calore, liberaci dalle tenebre e colmaci con la sua luce!


    Con un cenno della mano, a quel punto, indico a Jon di gettare fra le fiamme Lungo Artiglio, la spada che gli fu donata da Lord Mormont in persona.

    Prendi questi pegni che noi ti offriamo, e facci il dono della forza che essi rappresentano: la velocità del monco, la sensibilità del
    Guardiacaccia, la manualità della criminale, il carisma della giornalista, la saggezza del Preside, la potenza della Donna di Ghiaccio.
    Fondi insieme i loro poteri, e donali a noi perché possiamo affrontare questa notte oscura e piena di terrori!


    Così dicendo, uno ad uno i capelli dei sei maghi e streghe vennero gettati fra le fiamme, che assunse presto tonalità tanto luminose da accecare i presenti, fino a quando lo stesso fuoco non scomparve nel nulla.
    Al centro, soltanto Lungo Artiglio. Ma qualcosa in essa era cambiata: non riluceva più di semplice acciaio, ma di fuoco puro.
    Con un sospiro, Melisandre guardò verso il cielo con immensa gratitudine, una lacrima a rigargli la gote mentre le mani tornavano a contemplare l’alto.
    Il sigillo di luce aveva funzionato.

    Grazie, mio signore, per questo tuo dono.
    Portatrice di Luce ci salverà dai demoni di ghiaccio che infestano il nostro mondo|


    Indicò quindi a Jon Snow di tornare a stringerla fra le mani, perché quella sarebbe stata l’arma da usare contro il Re della Notte.

    Il mio compito adesso è concluso.

    Sapeva sarebbe morta in terra straniera, ma per tutta la vita aveva creduto si sarebbe trattato di Westeros,
    Si lasciò allora trascinare dalla terra, priva di sensi, mentre gli altri osservavano attoniti la scena: Melisandre, ormai morente, cominciò ad invecchiare sotto il loro stesso sguardo finché non fu assorbita dalla stessa terra sulla quale si era accasciata.
    Sarebbe morta, ma non invano: grazie al suo aiuto, a quello dei compagni di viaggio e a quello inconsapevole dei sei sconosciuti, Jon e Daenerys avrebbero salvato il mondo dalla catastrofe di ghiaccio, riportando la pace nei Sette Regni.
    Soli, ma mai realmente soli. Vinti, ma solo fino a quando la luce non avrebbe valso sull’oscurità.

    Chiedo scusa se ho mosso i vostri PG in modo non corretto, a volte per esigenza di trama ho dovuto farli apparire come dei babbalucchi, ma in fondo si tratta solo di una FF, no?
    E ricordate: la notte è oscura e piena di terrori!
  8. .
    Nome: Cruella De Vil

    Prestavolto: Victoria Smurfit da Once upon a time
    Collocazione: Scalinate dell'Accademia, tra il secondo e il terzo piano
    Storia del personaggio: Cruella De Vil è stata una strega e magi-stilista vissuta a cavallo tra l'ottocento e il novecento, diventata famosa in tutto il mondo negli anni '20 per il suo incredibile talento come Incantatrice di pelli e pellicce, e per il suo temibile talento in Schiavitù. La De Vil era capace di soggiogare alla propria volontà qualsiasi creatura, anche le più feroci classificate XXXXX dal Ministero. Celebre è stata la sua impresa di tenere in cattività diverse specie di draghi dai quale si riforniva di scaglie e pellame per i suoi pezzi più rari e di valore. Tra le creazioni che l'hanno resa celebre in tutto il mondo troviamo pellicce di cerbero, copricapi con piume di fenice, guanti in pelle di unicorno, cinture in pelle di Ungaro Spinato. Ha rivoluzionato la moda magica del novecento, apportando importanti conoscenze e innovazioni nell'arte del magi-artigianato di pelli e tessuti. Le sue creazioni valgono centinaia di galeoni e dopo la sua dipartita sono diventati pezzi da collezione di altissimo valore per la loro incredibile artigianalità.
    Nata a Londra da una famiglia babbana. I genitori erano famosi addestratori cinofili, vincitori di moltissime competizioni canine grazie ai loro dalmata educati a rispettare gli ordini alla perfezione. I coniugi De Vil, di indole rigorosa e austera, non accettarono le stranezze che spesso riguardavano la figlia. Alle prime avvisaglie di magia, infatti, Cruella venne rinchiusa in soffitta e tenuta a bada, sotto il controllo e la sorveglianza incessante dei dalmata dei genitori, trasformati in cani da guardia. La bambina crebbe nella soffitta, sotto lo sguardo feroce di quelle bestie, ormai suoi aguzzini, che le impedivano di uscire dalla sua stanza; almeno fin quando non ricevette attraverso la piccola finestrella dalla quale osservava il mondo la sua lettera per Hogwarts.
    Recuperata e liberata da un mago inviato della scuola appositamente per aiutarla, riuscì a sfuggire alla prigionia dei suoi genitori e a iscriversi all'accademia di magia e stregonerie, dove venne smistata in Serpeverde. Ad Hogwarts, forse come dono di famiglia, si distinse particolarmente in Creature Magiche, dimostrando un talento naturale nel rapportarsi con le bestie. Cruella però non riuscì mai a dimenticare il modo in cui i suoi genitori l'aveva imprigionata, usando i cani come sentinelle. Nonostante la sue doti quindi, la strega dimostrava una certa diffidenze e un non-velato disprezzo nei confronti del regno animale. Finita la scuola continuò a lavorare con le creature, fin quando non scoprì la gioia dello squartarle e scuoiarle per ricavarne indumenti e accessori. Aprì allora una laboratorio di pelli e una boutique, divenendo una rinomata magi-artigiana. Ben presto però scuoiare poke e demiguise non fu più abbastanza per lei, non le bastava. Continuò quindi a studiare e specializzarsi sulle Creature Magiche, con l'unico scopo di sfruttarle e poterne ottenere materiali sempre più pregiati e rari. Alla fine, con il passare degli anni riuscì a diventarne un'esperta assoluta e un'abile domatrice, anche delle più pericolose. Fu una delle poche streghe a perfezionare e sviluppare la potente branca magica dello schiavismo animale, facendola diventare una delle più grande Schiaviste di creature di tutti i tempi, dandole il potere di imporsi con facilità su tutte le bestie tramite l'uso della magia.
    Nei suoi anni di ricerca e studio ebbe la possibilità di incontrare e conoscere Newton Scamander, suo contemporaneo, i due però non poterono che disprezzarsi a vicenda, avendo visioni contrastanti sul ruolo che le creature magiche dovessero avere nel mondo, i loro modi di pensare erano totalmente inconciliabili.
    Le sue linee di vestiario e pelletteria conquistarono ben presto i cuori delle streghe più abbienti di Londra ma non solo, anche Parigi, New York e Milano. La qualità e la rarità dei materiali usati unita alla perfetta lavorazione rendevano ogni capo ineguagliabile e riconoscibile ad occhio nudo. Il cavallo di battaglia di Cruella De Vil erano le sue preziosissime pellicce, per cui passò alla storia. La sua popolarità a Londra era così alta che perfino i babbani la conosceva, in un modo distorto ed epurato dalla magia ovviamente. Le sue origini babbane l'avevano infatti portata ad aprire una boutique di moda anche tra i non-maghi, offrendo ovviamente pelli e pellicce di creature non magiche. La sua linea più famosa fu quella di dalmata, dedicata ai genitori, che fece molto scalpore per la sua bellezza e crudeltà, e dalla quale venne estrapolato un libro e successivamente un intero merchandising di prodotti di intrattenimento.
    Morì relativamente giovane a causa di un incidente in volo. Purtroppo la De Vil non riuscì mai ad applicare il suo talento nel manovrare le creature anche ai manici di scopa. La poverina era infatti una pessima guidatrice, spericolata e incapace di mantenere il controllo sulla velocità. Lo sfortunato evento accadde in un nevoso giorno di inverno: mentre era in quota, intenta a inseguire una colonia di 101 cuccioli di Crup maculati, Cruella perse il controllo del suo mezzo e si schiantò in un dirupo.

    Azione/Comportamento abituale:
    • Cruella fuma inesorabilmente e continuamente, usando un lungo bocchino che agita in continuazione in aria facendo cadere cenere dappertutto. Come finisce una sigaretta ne accende subito un'altra. Fuma così tanto da riempire di una pervasiva nebbiolina verdognola la sua cornice e quella degli altri, sopratutto quando vi passa attraverso lasciandosi dietro una scia di olezzo.
    • Alla domanda come stai? lei risponde: Miseramente cara/o, come al solito, superbamente a pezzi. Con tanto di gestualità teatrale ed espressione drammatica.
    • Si rivolge a tutti con l'uso di epiteti. Il più gettonato è tesoro o cara/o. Ma non è l'unico. Con i più piccoli e ingenui usa solitamente l'espressione dolce anima candida. Mentre se è di cattivo umore, sarà facile che passi a un tono molto più aspro appellandosi agli altri con pezzo di imbecille, idiota, babbeo e scemo.
    • Capita a volte di trovarla intenta a girovagare per la sua cornice o in quella di altri in ossessiva ricerca di qualcosa, ripetendo continuamente: dove sono? In nome del cielo dove sono? Dove sono i cuccioli? Dove sono quei piccoli mostri?!
    • Se si è intenzionati a fare conversazione con Cruella, l'argomento verrà subito indirizzato sull'unica cosa che conta per lei: hai visto la mia nuova pelliccia, tesoro? È il mio unico amore. Io vivo per le pellicce, io adoro le pellicce! E del resto, esiste in questo orrido mondo una sola donna che non le adori?
    • Quando è sola è solita scoppiare a ridere in una poderosa risata malvagia, intenta a burlarsi degli altri alle loro spalle o a godere dei suoi malefici piani.
    • Spesso ci si imbatte in Cruella mentre è in preda ad attacchi di ira funesta. Solitamente agita le braccia in aria, facendo sollevare spirali di fumo verdognolo, mentre con gli occhi iniettati di sangue urla: che vadano al diavolo! Bastardi! Imbecilli! E se qualcuno la contraddice reagisce male all'affronto, afferrando una bottiglia di gin e lanciandola con forza nel camino della sua cornice innescando una deflagrazione di fiamme e schegge di vetro, seguita da una terrificante espressione truce, con labbra serrate e occhi di fuoco. Non ama essere contraddetta.
    • Quando vede qualcuno che disdegna, sia persona che dipinto, lei esclama con disprezzo: che orribile individuo. Solitamente capita con soggetti poco abbienti o dal vestiario rovinato.
    • Quando le si fa un torto lei si altera ed esplode di rabbia, iniziando a urlare: abbiamo rotto, non voglio più saperne di te! Mi vendicherò, non dubitate, ve ne pentirete, stupidi idioti! Dopo di che gira sui tacchi e sparisce alla vista, uscendo dalla sua cornice, sbattendo la porta con un suono di vetri infranti in sottofondo.
    • La notte è solita mostrarsi in vestaglia e bigodini in testa, intenta a fumare e leggere il giornale, pronta per andare a dormire.
  9. .
    Nome: Vincent Le Michel
    Prestavolto: qui
    Collocazione: Scalinate dell'Accademia
    Storia del personaggio: Vincent nasce a Parigi nel 1651, alla corte di Luigi XIV e discende da una lunga tradizione di valletti da camera. Unica salvezza per la famiglia Le Michel, essendo l'unico figlio maschio dopo una quasi infinita serie di femmine, il giovane Vincent viene inserito a corte fin da piccolo e ben presto segue l'esempio del padre e gli viene fatto il grande onore di poter porgere il pettine al barbiere personale del Re. Crescendo la sua influenza a corte aumenta a dismisura e ben presto diventa uno dei cortigiani piu' popolari. Ogni nobildonna lo vuole al proprio fianco durante gli eventi mondani. Leggenda vuole che due contesse fossero addirittura arrivate alle mani pur di avere l'onore della sua compagnia. I suoi genitori impazzivano dalla gioia vedendolo sempre circondato dai fiori piu' belli di Francia. Peccato che Vincent, piu' che alle dame, fosse maggiormente interessato a cio' che indossavano. Era infatti un grandissimo appassionato di moda e la sua parola era legge. Ecco perche' le dame volevano la sua compagnia e approvazione, in modo da non sfigurare alla grande corte del re. Visse tra sfarzi e lusinghe, sempre circondato da donne ma non si sposo' mai e la famiglia Le Michel mori' con lui.
    Azione/Comportamento abituale: Anche da morto e' circondato da dame che lo vengono a trovare dalle altre cornici per chiedergli consiglio. Passa la maggior parte del tempo a sistemare le pieghe del suo abito o a commentare, a voce molto alta, i passanti. Fino ad adesso, pochi hanno incontrato la sua approvazione. In genere si dedica a commenti poco lusinghieri sugli abiti e sulla sanita' mentale di chi li indossa, alternati a urla strazianti (e acute) nel caso di mise particolarmente oltraggiose.
    Frasi piu' ripetute:
    "Fattene una ragione: non c'è niente da salvare là!"
    "No, non ce la posso fare! Mi si raddrizzano 'sti quattro capelli che ho in testa!"
    "Dove vai vestito così? Alla sagra del babà?!"
    "Cerchiamo di essere subito chiari: sei trascurata, sciatta e triste!"
    "Comodità non è un vocabolo che mi piace molto..."
    "Cerchiamo di focalizzare l'attenzione su di te e su come sei malvestita..."
    "No! Che tristezza! Posso dirtelo? Sei triste!"
    "No, scusami, questo?! Possiamo foderarci la cuccia del cane!"
    "Sai cosa? Le ginocchia devono essere veramente molto belle per scoprirle altrimenti non vanno mai scoperte. Le tue sono particolarmente brutte"
    "Con un po' più di grazia, non come se fosse un sacco di patate, tesoro!"
  10. .
    CITAZIONE
    Rudis Excitatio

    Nome: Incantesimo del brusco risveglio/ Incantesimo del risveglio Mintaka-style
    Manifestazione: Alone rosso attorno al letto nel momento dell'evocazione dell'incantesimo e, successivamente, nel momento dell'attivazione.
    Movimento: Scuotere la bacchetta violentemente puntando il letto da incantare.
    Effetto: All'orario desiderato il giaciglio incantato comincerà a vibrare violentemente e dei forti rumori cominceranno a rieccheggiare nella stanza, accompagnati da frasi tipo:
    "svegliatevi bestie!"
    "Fra 5 minuti comincia l'allenamento"
    "l'ultimo che arriva lo metto a digiuno nella stanza dei Leodraghi"
    .
    La voce che sentirete ricorderà vagamente quella del Capitano del Fuoco Mintaka Al Hayes.
    Note: Dopo la pronuncia della formula bisogna specificare l'orario al quale ci si vuole svegliare.
    Limitazioni:
    Con CM > 10 si può incantare 1 solo letto
    Con CM > 15 si possono incantare 2 letti
    Con CM > 20 si possono incantare 3 letti
    Con CM > 25 si possono incantare quanti letti si vuole.
    - Per camerate superiori alle 20 unità bisogna avere anche sensibilità < 20 (bisogna essere proprio sadici per svegliare malamente più di venti persone).
    - L'orario massimo al quale è possibile programmare questo incantesimo sono le 6.00 AM, troppo bello svegliarsi tardi no?

    Inventore: Victoria Montrose, su richiesta degli autolesionisti componenti della squadra di Quidditch del Fuoco.
  11. .
    Be Queer
    Nome: Incantesimo Gay-Friendly
    Manifestazione: Nastrini di arcobaleni brillanti
    Movimento: 0V4s5sf
    Effetto: La persona omofoba colpita verrà pervasa da una strana voglia di fare shopping, scrivere poesie alle persone amate, disegnare unicorni. E' possibile che l'effetto possa causare allucinazioni piacevoli visive e uditive alle frasi "Love wins" o "All you need is Love".
    Note aggiuntive: Non è consigliato usarlo in presenza di più omofobi, a meno che non si usi anche su di loro. Il soggetto colpito potrebbe addirittura cambiare mentalità e accettare l'amore indipendentemente dal sesso.
  12. .
    Pulchritudo dolore

    Nome: Incantesimo Chi-bello-vuole-apparire
    Manifestazione: Scintillio glitterato ai piedi
    Movimento:

    Effetto: Ogni volta che si avrà fame, si vorrà mangiare, o ci si avvicina troppo a carboidrati, le scarpe si stringeranno in una morsa, iniziando a dolere, a tal punto da impedire al malcapitato di proseguire nella sua infausta intenzione di cibarsi.
    Note aggiuntive: un uso prolungato può portare a cali di zuccheri, svenimenti, vesciche ai piedi, malnutrizione.

    Edited by Panky l'elfa - 1/2/2019, 17:41
  13. .
    Ai-Fon

    Nome: Incantesimo Piccolo Alito
    Manifestazione: Nessuna.
    Movimento: dfdfdfd333_0 Dal basso verso l'alto.
    Effetto: Questo incantesimo permette ad uno specifico apparecchio babbano, chiamato “Telefono cellulare” di emettere un piccolo getto di aria calda per pocihi secondi. All'attivazione, si potrà sentire un rumore simile a quello di un vento molto forte, però come modificato da qualcosa.
    Note aggiuntive:
    Nota #1 Il getto è appena percettibile.
    Nota #2 Funziona solo sui “telefoni” chiamati “Smartphone”.
    Nota #3 Schema esplicativo per i poco pratici di marchingegni babbani:

    depositphotos_53458305_stock_illustration_smart_phones_similar_to_iphone
  14. .
    [Contra Dicere]

    Nome: Incantesimo al contrario
    Manifestazione: nessuna
    Movimento: muovere la bacchetta in senso antiorario partendo dal basso, eseguendo il movimento verso il proprio viso o verso il viso del soggetto che si intende incantare
    Effetto: l'incantesimo fa parlare al contrario. In base alle Capacita' Magiche l'effetto varia, puo' invertire solo le parole o far pronunciare l'intera frase al contrario.
    Da 15 a 25 CM: solo le parole verranno pronunciate al contrario, ma nell'ordine corretto (es. "Quei topi ballano" diventera' "Ieuq ipot onallab")
    Da 25 CM in poi: le parole verranno pronunciate al contrario e nell'ordine inverso (es. "Quei topi ballano" diventera' "Onallab ipot ieuq")
    Note aggiuntive:
    Con CM inferiori a 15 invece di invertire le parole potrebbe far pronunciare il contrario delle parole.
    La durata dell'incantesimo varia in base alle Capacita' Magiche (da poche frasi per CM < 20 a qualche ora per CM tra 25 - 35). Da 35 CM in poi l'incantesimo puo' durare per una settimana.
  15. .
    Curae Illusoriae

    Nome: Incantesimo omeopatico
    Manifestazione: alone argenteo attorno alla parte del corpo a contatto con la punta della bacchetta, della durata di un paio di secondi.
    Movimento: la bacchetta va semplicemente appoggiata alla parte lesa.
    Effetto: la magia somministra cure "naturali" al paziente, richiamando energia dalla forza di volontà dei presenti e dalla bellezza del creato. Chi non ci crede, non potrà vederne i benefici. Se il mondo va a rotoli, è lecito supporre che il suo effetto sia ridotto.
    Note aggiuntive: se eseguito su un pg con Carisma<20, il paziente crederà di essere guarito (recupero illusorio di 15 HP) fino al termine della ruolata, quando ormai la sua condizione sarà peggiorata (-10HP rispetto a quelli inziali).
    Il San Mungo e l'Organizzazione Mondiale della Sanità Magica non riconoscono l'incantesimo come curativo.
25 replies since 20/9/2012
.
Top
Top