Ricordi d'infanzia

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    Ricordi d'infanzia



    TkdQeNM



    Non importa quanti anni avesse il tuo PG quando hai iniziato a giocarlo. Può aver skippato tutta l'infanzia e l'adolescenza, può essere partito dai tredici anni o direttamente dai quarant'anni coi suoi due talenti base molto tristi e i suoi 204 PA. E certo, noi vogliamo bene al tuo PG studente e pure al tuo pg adulto, pure se l'hai cresciuto un po' alla volta, un PE alla volta, in dieci anni di gioco... ma oggi vogliamo darti l'opportunità di tornare al principio, di scavare nella memoria del tuo PG e farlo tornare ai suoi dieci anni, prima ancora che iniziasse a studiare in una scuola di magia.
    Sì, anche qui volevamo far riferimento al numero dieci, siamo originalissimi, bravissimi, bellissimi.
    Insomma, è una bella occasione per narrare qualcosa che finora non hai mai avuto occasione di narrare con l'eccezione, forse, di quel lontanissimo post dello smistamento in cui non avevi capito ancora che il parlato va staccato dal narrato.
    In questa cornice ti viene data la possibilità di narrare il tuo PG in delle vesti del tutto inedite: dieci anni e non ha nessun controllo sui propri poteri. È un Purosangue ed è cresciuto a pane a magia, ed è perfettamente consapevole che l'anno prossimo andrà in una scuola speciale, oppure è Nato Babbano e non ha la minima idea di cosa gli stia accadendo? È stato visitato da un professore di Amestris/Hogwarts/Beauxbatons/altrascuolarandom per scoprire che se ogni tanto ha fatto esplodere qualcosa è perché ha dei poteri magici?
    Dai libero sfogo alla fantasia, esplora il background che hai in scheda. Racconta della sua famiglia, dei suoi amici di infanzia. Non vedi l'ora di fare cose straordinarie o vivi ancora in un mondo troppo piccolo, a misura di bambino?

    Regole della cornice:
    ➤ La storia deve essere ambientata al passato.
    ➤ Il protagonista deve essere il vostro PG (Studente/Giovane Adulto/Adulto).
    ➤ La storia deve parlare di com'era il tuo PG quando aveva dieci anni e non era in grado di controllare i propri poteri.
    ➤ Se coerente, è possibile inserire nella propria storia e muovere altri PG e PNG con coerenza e rispetto.
    ➤ La persona ed il tempo verbale sono a tua scelta.
    ➤ L'ambientazione deve essere quella del nostro gioco.

    Regole generali:
    ➤ Controlla ortografia e grammatica, rileggi il tuo lavoro anche più volte prima di postarlo, perché lavori grammaticalmente scorretti verranno esclusi a priori.
    ➤ E' possibile partecipare con tutti i propri PG, purché si scriva soltanto una fanfiction per ogni PG.
    ➤ Oltre ad essere grammaticalmente corretta e coerente con l'Ambientazione ed il Regolamento, la fanfiction deve avere un minimo di 700 parole per essere ritenuta valida e quindi ottenere i 10 5 p.e. in palio.
    ➤ Lo Staff si riserva di eliminare qualunque contenuto non sia ritenuto in linea con il Regolamento e l’Ambientazione. Se avete delle domande, siete invitati a postarle nell'apposito topic, in modo che le risposte siano disponibili a tutti.

    All'inizio della fanfiction ricordati di aggiungere il seguente specchietto:

    CODICE
    <b>Titolo:</b>
    <b>Autore:</b>
    <b>Personaggi:</b>


    La scadenza per postare è fissata all'11 Gennaio compreso.
    Buon divertimento!

    Edited by Bellamy Octavian Murray - 12/1/2022, 19:12
     
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    Titolo: Sound of Magic
    Autore: Theocracy/Gio/io.
    Personaggi: Theo, Miss Eliza (insegnante di inglese), i compagni di scuola (Noah, Lia, Amos Gad), il professore di Amestris (sono stata sul vago)

    Le luci delle lampade che costeggiavano l’incrocio tra Beachway e Broadway Street erano spente, quel pomeriggio del 23 Dicembre del 2021. Spente lo erano anche le finestre delle case di gran parte del villaggio.
    Aveva appena smesso di piovere e sulla spiaggia deserta, vissuta solo da quei tre gabbiani che si combattevano un pezzo di hamburger agitando le ali, si sentiva tutto l’odore del mare d’inverno.
    In quel quadro desaturato da ogni colore, mentre le onde si infrangevano pigre sulla spiaggia, il chiacchiericcio concitato del camerino riempiva ogni singolo angolo. Dentro ad una ventina scarsa di metri quadri di stanza, calda fino a soffocare e densa di urletti e canzoni che alcuni dei suoi compagni stavano provando, vi erano si e no una quindicina di genitori che gironzolavano qua e là per aiutare altrettanti bambini ad infilarsi i costumi di scena o a provare le ultime battute.
    La recita che anticipava le vacanze dell'Hanukkah era un evento attesissimo per tutta la Yeshiva del distretto sud dell’Essex. Tutti i bambini volevano riuscire a farne parte e tutti i genitori si mobilitavano per far qualcosa: chi si occupava delle scenografie, chi dei costumi, e c’era chi, come il padre di Noah, un ragazzino grassottello che stava al decimo nella classe di Theo, aveva addirittura comprato l’ultimo modello di Iphone unicamente per fare le riprese, e caricarle nel gruppo di Facebook dei genitori, con tanto di power bank a seguito.
    La recita dell’Hanukkah era un evento di gran rilevanza nella loro comunità, tanto che ogni singolo studente della Yeshiva ambiva ai ruoli migliori, chi rimaneva indietro, come gli alberi e le coccinelle, diventavano i veri e propri reietti della scuola, tanto che l'assenteismo da ruoli minori era un’usanza quanto il Kugel ed il Challah. Certo… da ben due anni, nessuno aveva l’ardire di proporsi come protagonista. Quel ruolo, assegnato come per volontà divina ed inviolabile per le ultime due recite, spettava a Lia, la figlia dell’imprenditore che aveva costruito parte dei villaggi circostanti.
    Fu uno shock per tutti scoprire che quell’anno, il ruolo di Maria Rainer, la suora di Tutti Insieme Appassionatamente non sarebbe andato a lei.

    Theo, mentre cercava con rabbia di allacciarsi le scarpe da ballo, stretto nel cappotto, sciarpa, veli di tulle e taffettà neri, teneva la porta aperta del camerino seduto sulle gradinate che davano direttamente sulla spiaggia, solo ed imbronciato.
    Non aveva detto ai suoi genitori di aver ottenuto la parte più importante. A dirla tutta, si era presentato ai provini con la chitarra di suo padre, talmente grande rispetto a lui, che faceva sorridere solo a vederlo. Aveva passato ore ed ore davanti al computer della biblioteca vedendosi The Sound of Music per prepararsi, e la notte, si era esercitato per arrangiare Do-Re-Mi fino a farsi venire i calli alle dita.
    Non aveva detto loro quanto fosse orgoglioso di esser stato l’unico a riuscire a suonare e a prendere le note giuste, perché per quanto fosse troppo piccolo per capire davvero la malizia nel vedere un maschio indossare una gonna, era anche abbastanza intelligente da sapere che non gli avrebbero mai permesso di farlo. Con il senno del poi, nonostante il concitato tentativo di tenere tutto nascosto, infilando il costume di Maria nei vecchi scatoloni del garage e cancellando la mail con la liberatoria per chiedere il permesso dei genitori, subito dopo aver stampato il foglio e falsificato la firma di M. e B. con una tale minuzia che qualcuno avrebbe potuto sospettare che lo facesse di lavoro, sarebbe stato difficile se non impossibile che i suoi genitori non fossero venuti a conoscenza di quel che stava succedendo nella Sinagoga tra Beachway e Broadway Street. Ma forse per Theo sarebbe comunque stato meglio pensare di avergliela fatta, piuttosto che affrontare la cruda realtà che i coniugi DeWitt, imbarazzati nel sapere suo figlio nei panni di una monaca, non si erano presentati alla recita. Quello sarebbe stato un dubbio che lo avrebbe tormentato dopo, negli anni a venire. Il silenzio e la pretesa che nulla fosse successo, nonostante ci fossero video a testimoniarlo, come un disonore di cui sarebbe stato meglio non parlare, per non renderlo reale.

    Theo… dentro si lamentano per il freddo.

    Miss Eliza si affiancò al ragazzo appoggiandogli una mano nodosa sulla spalla. Theo avrebbe giurato che la donna avesse sì e no cent’anni, ma le voleva bene e sapeva che l’affetto era ricambiato.

    Dove sono Marietta e Booker?

    Theo scrollò le spalle, facendo di tutto per non parlare e non alzare lo sguardo agli occhi vitrei della donna, che prese ad allacciargli le scarpe con quella lentezza che solo i vecchi riescono ad avere. Di quel giorno avrebbe ricordato in particolare quel momento, quel fermo immagine. Una diapositiva indelebile: i capelli grigi della donna, il mare scosso che si increspava sulla spiaggia, il cielo nuvolo e quel gesto gentile che per qualche istante riuscì a fermare il tempo e a calmare il suo cuore.
    “Due minuti e si va in scena!”
    La voce perentoria del rabbino che si unì al vociare indistinto ed agitato che lo riportarono violentemente alla realtà di quel momento, Theo si scosse protestando alla carezza gentile della donna, intenta a sistemargli i capelli biondi sul viso.

    Dall’angolo del palchetto, dietro alle teste dei bambini curiosi di vedere i propri genitori prender posto in sala, riuscì a scorgere la scenografia arrangiata che alcuni genitori avevano dipinto: le Alpi austriache si stanziavano su uno sfondo di quattro tonalità diverse di blu e la collina spoglia di alberi (anche quell’anno i bambini che avevano ottenuto ruoli minori avevano disertato), era arginata da due cartoni che volevano tristemente mal rappresentare le case della città di Salisburgo.
    In quella situazione non c’era nulla che potesse giustificare il batticuore che i bambini della Yeshiva del distretto sud dell’Essex stavano provando, nessuno escluso. Theo, stretto in dieci strati di tulle, si sentiva come se stesse per debuttare al Royal Opera House. Il cuore gli batteva troppo forte perché riuscisse a fermarsi dal salterellare sul posto, o spegnere quel sorriso a trentadue denti sul volto di quella mal assortita Maria Rainer.

    Quando mise piede sul palco correndo verso il centro, si sentì il cuore scoppiare, le luci dei riflettori non gli permisero di vedere che nessuno era lì per lui, perciò cantò per sé stesso, come aveva sempre fatto e come avrebbe fatto di lì in avanti.
    Si abituò ai riflettori solo a metà della prima canzone, riuscendo ad individuare due ragazzini più grandi prenderlo in giro ridacchiando frasi come: “Bella gonna, Thea” lanciando popcorn sul palco. Uno di questi però, all'apice della canzone "The sound of Music" curvò in aria finendo dritto dritto in gola ad uno di questi.
    Mentre DeWitt viveva per la prima volta le luci della ribalta, Lia dal patio assisteva alla sua prima grande sconfitta e Amos Gad, quindici anni, residente al numero 250 di Garden Road - Jaywick, riceveva la sua prima manovra di Heimlich, un’altra persona nel pubblico avrebbe di lì a poco avuto la sua prima volta nonostante la veneranda età di sessantacinque anni.

    Una volta finito lo spettacolo, dopo il consueto inchino ed il discorso del rabbino, un uomo dalla folta barba e dal buffo cappello si avvicinava messo e ben accorto dal non farsi sentire dal resto dei babbani presenti dietro le quinte.

    Gran bello spettacolo, la migliore Maria Rainer dopo l'originale.

    Disse l’uomo, abbassando lo sguardo su quell'agitato bambinetto di dieci anni vestito da suora abiurata.

    Grazie.

    Rispose lui, freddo e ben conscio di non dover parlare con gli sconosciuti, soprattutto se questi si avvicinavano nel dietro le quinte di una recita scolastica.

    Credevo di essere in una sinagoga, allora perché avete fatto uno spettacolo con protagonista una suora ed un nazista?

    Theo fece finta di non sentire, incrociando le braccia e spostandosi un poco più in là. Aveva sentito i grandi fare discorsi in merito, uno spettacolo che vedeva una suora cristiana ed un nazista rinunciare a tutto per l’amore, e l’amore per i religiosi era la luce di Dio, era ciò che di più ebreo ci potesse essere. Nessuno sapeva però che al rabbino Davide piacevano i Musical e quello era il suo preferito insieme a Yentl, ma una donna che si finge maschio per studiare ad una yeshiva per uomini, e che rinuncia ad un marito per realizzarsi, per la comunità della di Jaywick era evidentemente peggio di cristiani e nazisti messi insieme.

    Ragazzo… abbiamo mandato centinaia di lettere alla tua famiglia e quel che è successo in sala al ragazzino che ti prendeva in giro…

    Theo si accigliò a tal punto che scattò sull’attenti, stringendo le manine in due pugni dalle nocche sbiancate.

    Io non c’entro nulla, come potevo c’entrare qualcosa?

    La reazione del ragazzino fu come un’ammissione di colpevolezza. Non era la prima volta che succedevano cose simili quando era agitato o arrabbiato. Non lo faceva apposta e quando voleva che capitasse qualcosa di simile per togliersi dagli impicci, puntualmente non capitava.
    Non era neppure estraneo alla faccenda delle lettere, aveva sentito sua madre e suo padre parlarne in cucina , solo che non aveva capito nulla di quel discorso che comprendeva anche sua zia Artemis, che all’epoca aveva visto sì e no due volte, e sua nonna.

    Non ti capita mai di far succedere cose strane?

    Testardo come un mulo ed intenzionato a levarselo di torno, il piccolo Theo mise il broncio.

    Si. No! E non mi interessa neppure di quella scuola o qualsiasi cosa sia.

    Era la prima volta che l’uomo riceveva una risposta simile. Abituato com’era a sorrisi smaglianti ed emozioni folgoranti di giovani bambini che ricevevano l’onore e l’onere di popolare i banchi di scuola di Amestris, l’ostentato rifiuto di Theodore lo spiazzò.
    Rimase a guardarlo sbigottito mentre si sfilava a fatica l’abito della recita, annaspando rabbioso in mutande tra gli urli delle bambine che si coprivano gli occhi, rosse come pomodori maturi.
    Uscì dalla porta infilandosi la giacca e sbattendo la porta, tornando a casa da solo di sera in uno dei quartieri più malfamati di tutta l’Inghilterra.
    Il vero motivo di quel rifiuto categorico ad allontanarsi da tutta quella miseria e povertà si trovava poco distante, lungo quella via che conosceva come il palmo della sua mano. Oltre la porta di legno scrostato dal vento e dalla salsedine del numero 22 di Broadway Street.



    Edited by Theocracy - 14/12/2021, 21:42
     
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    Titolo: Ex cineribus resurgam
    Autore: Mavis Nox
    Personaggi: Mavis Nox, Malthia Nox (madre), Askilos Nox (padre) e Barthos Nox (fratello)

    Dublino, 28 marzo 2024



    Il verde sgargiante della natura irlandese stava riprendendo il possesso di tutto ciò che l'inverno gli aveva sottratto, riportando la vita là dove il gelo l'aveva cancellata o messa in sospeso. Quello stesso gelo che era calato da circa un mese nel cuore di Mavis Nox.

    Mavis era un bambino come tanti, pochi anni alle spalle, solamente dieci compiuti a dicembre, e tanti sogni e speranze davanti sé. Irlandese d'origine, nelle sue vene scorreva sangue magico da generazioni. Era un "purosangue", come taluni in quel mondo definivano chi non aveva "contaminazioni" babbane nel proprio albero genealogico. Questo, però, era un aspetto al quale i Nox non avevano mai badato più di tanto. Anzi, al figlio avevano inculcato sin dalla più tenera età due concetti cardine su cui fondare la sua esistenza: disciplina e tolleranza, sia verso di sé che verso il prossimo.

    In quel pomeriggio di fine marzo, il piccolo Nox era sdraiato nella sua cameretta. Gli occhi, azzurri come il mare d'Irlanda quando il sole svetta irraggiungibile su di esso, erano umidi. La fine dell'ennesima giornata portava con sé pensieri e ricordi. Quello era grossomodo l'orario in cui il bambino sentiva provenire, minuto in più minuto in meno, il classico "crac" dovuto alla materializzazione del padre, di ritorno dal lavoro, che si palesava nel salotto di casa, spesso con un regalo per il figlio. Da qualche mese, però, quel rumore non esisteva più, se non nella mente del ragazzo. Askilos, questo il nome del genitore, era morto. Dipendente del Ministero, si occupava di Creature Magiche. Una passione che il figlio non aveva ereditato e che si rivelò fatale per Askilos, che perì proprio durante una missione d'ufficio.

    L' "incidente", così in casa la famiglia si riferiva al lutto, era avvenuto nel mese di febbraio, circa un mese dopo un evento splendido che sembrava dover allietare il futuro della famiglia Nox: la nascita del secondogenito, Barthos.

    Per Mavis, la morte del padre fu un duro colpo. I riflessi sull'emotività del bambino si manifestarono con la magia, che, incapace di controllare, finiva per scagliare contro oggetti e non solo. Nelle giornate più nere, capitava che d'improvviso vasi e piatti esplodessero senza una causa apparente.

    Devi imparare a controllare le tue emozioni, Mavis. L'impulsività non ti porterà da nessuna parte e soprattutto devi capire che non servirà a nulla continuare a serbare rancore. Verso chi poi non si sa. Tuo padre purtroppo non c'è più e nulla lo potrà far tornare indietro. Conserva dentro di te i ricordi belli e non lasciare spazio per sentimenti poco nobili. Gli ripeteva la madre, che ben capiva la causa di quelle "deflagrazioni" essendo lei stessa una strega.

    In quel mese che era passato dalla morte di Askilos, Mavis trovò rifugio nei libri. Amava leggere di avventure di grandi maghi e grandi streghe come Merlino e Morgana immaginandosi di essere lui stesso nei loro panni, in grado di lanciare incantesimi potentissimi per sconfiggere "i cattivi". Così il ragazzo passava ore ed ore con la testa china sui volumi, spesso consunti e polverosi essendo passati di generazione in generazione.

    Lo aveva fatto anche in quel pomeriggio di marzo, con un vecchio e logoro volume sulla storia di Morgana, chiaramente riadattata per bambini, che giaceva spiegazzato accanto a Mavis sul letto. Il bambino, ormai stanco di fissare il soffitto, tornò nel soggiorno dove la madre si apprestava a preparare la cena mentre il fratellino, ancora in fasce, dormiva beato nella culla.

    Mamma... disse Mavis io non voglio lasciarti qui da sola. Il bambino era consapevole che quelli sarebbero stati gli ultimi mesi a casa, a Dublino. Avrebbe dovuto lasciare la "sua" Irlanda per raggiungere Amestris, la scuola di magia. Quella sarebbe diventata la sua nuova casa per i successivi sette anni. Sarebbe uscito da lì già uomo. Entusiasmo, curiosità e timore si alternavano nella testa di quel bambino dai capelli castani. Non mi lasci sola. C'è tuo fratello. E poi tornerai per le vacanze, ci sono i gufi... la distanza non è un problema nel mondo magico, Mavis. Gli rispose con voce pacata e soave la madre. Amestris è una grande opportunità. È una scuola nuova, ma sono certa che guadagnerà ben presto prestigio come Hogwarts... Aggiunse la donna. Sai, io e tuo padre ci siamo conosciuti in quella scuola. Purtroppo oggi non è che un ammasso di macerie su cui dicono che regni una perenne oscurità. Un luogo spettrale come quello delle storie che ami tanto leggere Malthia sorrise al figlio scompigliandogli i capelli, che Mavis si affrettò a rimettere al proprio posto.

    Voglio diventare un grande mago, come Morgana. Disse laconico il bambino.

    Volere è potere, caro mio. Amestris è una grande opportunità che non va sprecata, come diceva tuo padre. Il tuo futuro è nelle tue mani.
     
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    Titolo: L’ultimo Natale
    Autore: Claire E. Wilson
    Personaggi: Claire E. Wilson, Tylor Wilson (PNG) e Ariene Lacroix (PNG).




    Di solito contava i giorni che mancavano all’avvento del Natale, fantasticando sul contenuto dei preziosi pacchi regalo sotto allo scintillante abete in salotto e riempiendosi la bocca di dolciumi fino alla nausea. Nulla le era vietato, soprattutto in una ricorrenza così speciale. La trepidante attesa per Santa Klaus, l’anziano mago che distribuiva su una magica slitta doni per i bambini di tutto il mondo. Gli infiniti pranzi e le calde cene al lume di candela insieme alla famiglia nel Maniero Wilson. Così piccola e già con la testa piena di principi e principesse, immaginando un lieto fine sotto al vischio o una vita piena di gioia e di fortuna.
    Il futuro non l’aveva mai spaventata, vivendosi giorno dopo giorno il presente. Aveva tutto ciò che desiderava, perché preoccuparsi di ciò che verrà? Essendo la più piccola della famiglia, la “perla più bella” a detta di Tylor Wilson, tutto le era stato reso semplice in quei dieci anni di vita. Non aveva mai dovuto chiedere, ogni suo desiderio diventava realtà grazie alle premurose cure del padre. Affermato ed intransigente Medimago del Toronto’s Magic Hospital, ma tra le mura domestiche diventava così malleabile e dolce nei confronti dell’unica figlia. Era la madre, Ariene Lacroix, a dover dettare legge e ristabilire l’ordine al Maniero. All’inizio non era stata ben accettata tra la dinastia dei Wilson, a causa delle sue origini, ma alla fine era riuscita ad inserirsi in quella rispettabile famiglia di Purosangue. Perfino la madre di Tylor, sua suocera, aveva dovuto accettare quella felice unione. Ma le differenze emergevano anche in prossimità delle festività quando doveva esserci solo equilibrio ed armonia.

    Andrà a Ilvermorny, come ogni Wilson che si rispetti. E se il destino vorrà, verrà reclamata dalla statua del Tuono Alato.

    E sia.

    Beauxbatons potrebbe offrirle un’adeguata formazione.

    Perché dovrebbe andare a studiare così lontana da casa?

    Non voglio che dimentichi le sue radici.

    Le sue radici sono qui.

    Le sue radici sono anche in Francia!

    Suvvia, non roviniamoci l’appetito. La cara Phoebe ha cucinato per tutto il giorno.

    Tylor dovette intervenire per placare la discussione tra la moglie e la madre. Andavano avanti da qualche settimana ormai, e nonostante il Medimago avesse già deciso a quale istituto magico iscrivere la figlia al prossimo anno Ariane non sembrava voler cedere di un passo. Aveva perso tutta la sua diplomazia. La donna ragionevole e pacata di cui s’era innamorato, oltre per la sua avvenenza e il fascino che trasudava da ogni suo gesto, sembrava mutata in una forte e tenace guerriera. Di quella esperta diplomatica del Ministero non c’era alcuna traccia, solo una moglie intestardita e gonfia di risentimento per la disputa che andava avanti da settimane. La Lacroix sperava di sfiancarlo prima o poi, e strappargli un assenso per mandare la figlia oltreoceano. Ma Tylor non era davvero pronto a separarsi dalla figlia e mettere tra loro un intero oceano.
    E cosa ne pensava lei? Rimase con la testa china sull’anatra ripiena, una delle portate che amava di più soprattutto quella di Zia Phoebe, insieme alla bûche de Noël ma al cioccolato bianco che ogni anno le faceva trovare sul tavolo di Natale. La posata martoriava quel pezzo di carne senza portare alcun boccone alle labbra. Aveva provato a mandare giù qualche boccone insieme al succo di mirtillo, ma senza alcun successo. La discussione a tavola stava prendendo una piega che non le piaceva affatto. Detestava quando le persone parlavano di lei come se non ci fosse. Sembrava più una disputa tra il padre e la madre, e nessuno le aveva davvero chiesto cosa desiderasse. E la cosa la feriva, tanto.

    Tesoro, dove ti piacerebbe andare?

    [ … ]



    Quel delizioso vestitino color panna e le scarpette lucide erano ormai sporche di terra. I piedi nudi solleticati dalla gelida erba del giardino, lì dove non era stata coperta da un manto ghiacciato. Le scarpe lanciate lì sul patio in legno. Lo sguardo acquamarina faticava a riconoscere quelle praterie ridotte in quel periodo dell’anno a dune nevose. Aveva smesso di nevicare da qualche ora e quasi rabbrividiva quando la nuda e candida pelle entrava in contatto con il gelido ghiaccio. Sensazioni che davano una scossa, non solo al piccolo corpicino, ma anche all’intero animo già percosso da gravosi dubbi.
    Trovava ingiusto che lei così piccola dovesse già compiere una scelta tanto importante. Eppure dopo che suo padre le rivolse la domanda che tanto desiderava, si era sentita ancor peggio di essere stata esclusa per l’intera settimana alla diatriba. Perché anche solo prendere in considerazione quelle scelte rendeva sempre più vicino il momento di lasciare il sicuro nido familiare. Era così piccola e timida. Dubitava che si sarebbe sentita a suo agio in un contesto diverso dal Maniero Wilson e con persone che non conosceva. A parte i solidi contatti con la famiglia Harp di Salem, la più giovane dei Wilson aveva avuto pochi stimoli dall’esterno. Eppure lei si sentiva così a suo agio in quella realtà che si era costruita ed il solo pensieri di abbandonarla per essere trapiantata o ad Ilvermonry o a Beauxbatons la terrorizzava. Ogni certezza finiva per dissolversi come neve al sole.

    Perché sei tutta sola? Rientriamo, finirai per beccarti un raffreddore.

    No.

    Tua mamma si arrabbierà. Rischi di rovinare l’abito!

    Non m’importa!

    Perché sei arrabbiata?

    Non osava guardare suo padre. Temeva di averlo contrariato con il suo comportamento. Quando le era stata data parola aveva faticato a trovare le parole giuste, fino a fuggire dal tavolo per trovare rifugio in un posto a lei più congeniale. Avrebbe tanto voluto correre a piedi nudi sul prato come faceva in primavera. Purtroppo la neve lo impediva. E poi temeva una ramanzina dalla madre, che con tanta cura e sforzi gli aveva confezionato quel meraviglioso abito per la Vigilia. Aveva sentito la necessità di evadere, correre via da quelle discussioni che avevano viziato l’aria natalizia. Ma forse c’era altro, e Tylor lo sapeva.

    Non è Ilvermorny o Beauxbatons il problema vero?

    La bambina quasi trasalì alle parole paterne, cariche di comprensione e dolcezza. Riuscì a guardarlo negli occhi, almeno fino a quando in suoi non si riempirono di lacrime. Fu difficile poi distinguere il viso di Tylor, che divenne solo un’ombra mentre le guance furono solcate dalle lacrime. Iniziò a singhiozzare, sempre più forte. Poi si lanciò tra le braccia del padre, che lo accolse con le sue enormi mani. Lì dove ogni bambina si sentiva davvero al sicuro.

    Non voglio passare il prossimo Natale lontano da voi! Voglio restare qui!

    Oh… ma tornerai a casa per le vacanze. Non temere.

    Non voglio lasciarvi.

    Pianse fino ad esaurire le lacrime.

    [ … ]



    Passò una notte senza sogni, ristoratrice. Esausta per le emozioni del giorno prima si era appisolata sulla poltrona, intenzionata a stare sveglia per tutta la notte nel tentativo d’incontrare Santa Klaus. Ogni anno con la solita sfida, che portava ad un fallimento. Da quando aveva memoria e venuta a conoscenza dello Stregone buono che distribuiva doni a tutti i bambini del mondo con l’aiuto degli Elfi del Polo Nord, aveva provato ad incontrarlo. Con una tazza di latte caldo ed un vassoio di biscotti al cioccolato sul tavolo, cercava di restare sveglia tutta la notte. I genitori ammiravano la sua tenacia, nel resistere almeno inizialmente al richiamo di Morfeo. Poi vittima della stanchezza era compito di entrambi metterla al letto.
    Quando l’indomani aprì gli occhi, dovette costatare con delusione che nemmeno quell’anno avrebbe conosciuto lo Stregone. Doveva accontentarsi dei suoi doni. Si rigirò tra le calde coperte del letto, provando a chiudere di nuovo gli occhi immaginando che la luce che filtrava dalla finestra della camera fosse solo frutto di un sogno. Ma era tutto reale. Riaprendo gli occhi costatò che anche la sua “ultima” possibilità era sfumata. L’amarezza però rimase sul viso per poco, anche perché era il momento di scartare i regali. Balzò giù dal letto, recuperò un archetto con corna di renna per ordinare un po' la chioma bionda, e poi corse giù per le scale.
    Lì in piedi, c’erano già Tylor e Ariane.

    Buon Natale, Tesoro!

    Buon Natale, piccola mia.

    Per la prima volta si rese conto che non erano importanti i regali sotto all’abete, ma coloro che stavano accanto. Si fiondò verso i genitori per stringerli forte. In quell’abbraccio ritrovò la serenità che pensava di aver perduto. In fin dei conti, non erano mai stati gli uni contro gli altri. Quelle ricorrenti discussioni avevano messo in dubbio anche questo, temendo che tra loro non ci fosse più quell’amore che li aveva uniti per sempre. Si sbagliava. Era stata così stupida.

    Vi voglio bene.

    Anche noi, anche noi!

    Non si sentiva ancora pronta ad abbandonare quel nido sicuro. Lì dove era nata e cresciuta. Credeva ancora che la vita fosse così ingiusta, visto che per imparare la Magia doveva stare lontana da casa per sette anni. Era spaventata, molto spaventata. Il futuro non era mai stato così incerto con lei. Ma in quel momento nulla le importava. Aveva tutto ciò di cui aveva bisogno a portata di mano, anzi a portata di abbraccio. Non desiderava altro.

    Non vuoi scartare i regali?

    Non ora.

    Natale 2012, l’ultimo che Claire passerà con la famiglia prima di andare ad Ilvermorny.
    È una bimba graziosa, timida e viziata. Non si è mai interrogata sul futuro e non vuole abbandonare la famiglia.

    La scelta della scuola che frequenterà Claire è un punto presente nel BG e che ho approfondito con questa FF.
     
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    "Amor vincit omnia"

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    una Galassia lontana lontana...

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    Titolo: Come guardare il mondo
    Autore: Hector Knight
    Personaggi: Hector Knight, Domitilla Grey (PNG inventato)

    *****



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    Quello era il suo luogo preferito. Dopo una lunga corsa, il bimbo prese aria a pieni polmoni, poggiando le mani sulle ginocchia ed alzando il capo, ansante. Il fiume scorreva lento e silenzioso davanti a lui, ignaro dei dolori dell'anima di un bambino, come di qualunque altro essere umano. Edward Knight poteva diventare un padre molto severo e con il suo unico figlio diventava finanche burbero. Abituato a comandare e a vedere eseguito non solo ogni ordine ma ogni singolo desiderio, trovarsi con un bambino volitivo come Hector lo metteva spesso in difficoltà. Helena Knight, nata Summer, sua madre era di tutt'altra pasta. Dolce, posata, mai sopra le righe e con una pazienza infinita mediava spesso e volentieri tra i due. Aveva insegnato ad Hector gentilezza ed educazione, che in età adulta sarebbero sfociate in una sorta di galanteria appartenente ad altri tempi, ma in quella cittadina del Somerset in cui la vita scorreva placida e tranquilla, all'unisono con l'Avon, esso ricordava loro come il tempo e la natura che perfettamente si integravano in quella cittadina senza tempo fossero i veri dominatori della vita umana.
    Non erano questi però i pensieri del piccolo Hector.
    Gli occhi scuri, contrariati e fin troppo seri per un bimbo così piccolo, sembravano mandare saette contro un invisibile nemico. Era evidente che fosse arrabbiato - e anche tanto! - ed i pugni serrati ormai lasciati lungo i fianchi rimandavano l'immagine di qualcuno che avrebbe volentieri preso a pugni qualcun altro!

    Oh, ti farai male da solo se continuerai a stringere a quel modo, bambino

    La voce di una vecchietta abbigliata in modo variopinto lo sorprese. Hector si voltò prima a destra e poi a sinistra fino a quando non scorse l'anziana intenta a dare da mangiare ai cigni che placidamente nuotavano lungo il corso del fiume. Gli animali sembravano attratti da quella strana vecchietta o forse era solo il suo cibo a farli assembrare davanti a lei.

    Su su, vieni a darmi una mano. Non vedi come si affollano? lo richiamò con un gesto della mano per poi presentarsi Domitilla Grey.

    Il piccolo Knight troppo ben educato per contraddire l'anziana, così come era stato educato da sua madre, seppur con un po' di reticenza si avvicinò alla donna e prese una fetta di pane che la vecchia nel frattempo aveva allungato verso di lui.

    Knight, Hector Knight rispose con composta educazione il bambino Cosa devo fare?

    Non sei tanto sveglio, vero? rispose scorbutica la vecchia, facendo alzare gli occhi al cielo al bambino che invece veniva riconosciuto universalmente come molto intelligente Spezzetta il pane e dallo ai cigni. Ma fai attenzione, prima a quelli più distanti. Sono ingordi questi uccellacci! Soprattutto quelli in prima fila!

    Per essere una che dava da mangiare ad animali che non erano i suoi era un atteggiamento un po' strano, ma il bambino non ci fece caso più di tanto e iniziò ad eseguire il compito che la vecchietta gli aveva affidato. Sorrideva ogni tanto, nel vedere i cigni avventarsi su ogni più piccola mollica di pane e cercava di lanciarli più distanti, in modo tale che quelli che riuscivano ad ottenere l'agognato boccone, non finissero per mangiare anche quello degli altri. Era evidente che c'era qualcuno più forte e qualcuno più debole.

    E tu? cos'è che non hai digerito oggi? la domanda a bruciapelo della vecchia lo prese in contropiede e il bambino come era sua abitudine, rispose.

    Mio padre. Vuole trasferirsi. Di nuovo!

    Poche, lapidarie parole ma che descrivevano perfettamente la situazione che si stava trovando a vivere il piccolo Hector, sradicato ancora una volta dalla sua amata Bath per finire in chissà quale gelido paesino della Norvegia! Perchè suo padre non amava "mischiarsi con il volgo", come diceva lui e quindi le loro dimore - tutte sicuramente belle e sontuose, come si addicevano ad un diplomatico affermato quale era - si rivelavano sempre poco adatte alle esigenze di vita di un bambino. Hector Knight aveva passato gran parte della sua infanzia da solo. Il suo unico compagno di giochi era stato il figlio degli elfi domestici di casa Knight, l'unica costante nella sua breve vita, oltre ai genitori.

    E cosa c'è di male? Vedrai un posto nuovo

    Non voglio posti nuovi! Voglio stare a casa!

    Oh, beh... l'anno prossimo l'avrai, oh sì se l'avrai... Andrai ad Hogwarts, no?

    Già, un altro posto nuovo! In Scozia! Fa freddo in Scozia... si lamentò il bambino.

    Solo dopo che ebbe pronunciato quelle parole, si voltò a fissare la vecchia con sguardo perplesso. Come faceva a saperlo?

    Lei chi è? Come lo sa?

    Lo so e basta! Fai troppe domande per i miei gusti. Continua a dar loro da mangiare! lo rimbrottò in malo modo e gli allungò un'altra fetta di pane per i cigni Ti piacerà. Fa freddo, è vero, ma troverai un calore diverso, ragazzino. E poi non vorrai più andartene via.

    Non credo. A me piace Bath! affermò con decisione e caparbietà, gli occhi scuri a fissarla con aria di sfida Ad Hogwats non potrebbe usare i suoi occhiali da sole.

    L'ultima frase voleva dimostrare alla vecchia che anche lei non avrebbe amato la fredda Scozia, visto che indossava oltre alle vesti variopinte anche un paio di occhiali da sole con le lenti arancioni.

    Questi, dici? si levò gli occhiali e glieli porse Prendili. Me lo dirai l'anno prossimo, se si possono usare o meno! glieli puntò contro con aria di sfida.

    Il bambino li afferrò con sguardo combattivo e li inforcò. Il mondo improvvisamente gli apparve molto più divertente e colorato. L'arancio delle lenti tingeva di una calda sfumatura tutta la vegetazione e il fiume Avon si tinse di colori finora mai visti. Il piccolo Hector sorrise. La vecchia guardandolo sottecchi fece altrettanto, ma appena il bimbo si voltò verso di lei, assunse nuovamente quella sua aria arcigna.

    Bene, piccolo Knight. Direi che è ora di rientrare a casa. Avrai fatto preoccupare a sufficienza i tuoi genitori. Tua madre soprattutto.

    Il bambino colto in fallo annuì con veemenza: la vecchia aveva ragione. Ora con quelle lenti colorate, il futuro non gli appariva così grigio e la sua reazione forse era stata un po' esagerata, soprattutto per la mamma. Anche lei amava Bath, era la sua città natale e non gradiva muoversi, ma per amore di suo padre lo aveva sempre seguito ovunque. La famiglia resta sempre unita, era il suo motto. Il bimbo si sfilò a malincuore gli occhiali.

    Devo andare, è stata molto gentile con me signora. disse con l'intenzione di restituirle gli occhiali colorati.

    Oh, sono tuoi. Un piccolo ricordo di Bath! gli strizzò un occhio e gli sorrise per la prima volta dal loro strano incontro, mostrando un paio di incisivi vuoti.

    Il bambino le sorrise a sua volta, tenne stretti a sè gli occhiali e fece un perfetto inchino alla vecchietta per poi incamminarsi sulla via di casa, che non era molto distante da lì.

    Non è così stupido come sembrava, vero Rufus? commentò rivolta al primo cigno della fila che sembrò annuire con il capo Ora basta, altrimenti vi sentirete male. Ci vediamo domani, ma ...portate le anatre! Non voglio sapere dove le hai fatte infognare... e scrollandosi le molliche dalle vesti multicolori, anche lei si avviò nella direzione opposta presa da Hector, sparendo con un sonoro pop alla vista.
     
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    Atlanta, Georgia

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    Titolo: Un punto di rottura
    Autore: Donna Mason
    Personaggi: Donna Mason, Adrian Mason e Michaela Winterbottom

    ***



    La pioggia quel giorno cadeva incresciosa come poche volte capitava nella città americana della Georgia, costringendo chiunque a chiudersi in casa. Per le famiglie poteva essere un'occasione per stare insieme, per vivere un sabato di novembre a guardare un film, a giocare a qualche gioco da tavolo oppure a creare quel dialogo che, per un impegno o per un altro, veniva sempre a mancare ma di cui tutti avevano un disperato bisogno.
    Nel centro di Atlanta però, in un alto grattacielo che affacciava proprio sulla piazza principale, una famiglia soffriva la reclusione più di tutte le altre: il ricco ereditiere di un'azienda petrolifera Adrian Mason e la moglie Michaela Winterbottom si trovavano in cucina nel tentativo di preparare la cena, momento che in breve tempo era stato reso pretesto per un nuovo litigio, l'ennesimo. Forse nemmeno loro sapevano con esattezza il motivo per cui stessero gridando l'uno contro l'altro, per cui l'uomo si avvicinava pericolosamente alla moglie con fare aggressivo, oppure per cui lei si era trovata a dargli più di uno spintone nel tentativo di imporsi e, probabilmente, di allontanarlo da sé, impaurita da quel suo atteggiamento prepotente, ma ben consapevole del fatto che non le sarebbe stato tolto un capello, non aveva motivo per pensare il contrario.
    Ciò di cui però sicuramente non erano a conoscenza era il fatto che, nella stanza da letto situata proprio sopra alla cucina, una ragazzina fissava il piccolo oblò su cui le gocce cadevano come se avessero l'intento di entrare nella stanza, stesa sopra al suo letto a pancia in su. Con indosso il pigiama, i lunghi capelli a caderle sul viso e le mani poggiate sul grembo, osservava il cielo coperto dalle nuvole dal primo pomeriggio, non trovando la forza di fare niente, nemmeno di giocare.
    Un fulmine squarciò il cielo illuminando appena le pareti rosate della stanza, e Donna si ritrovò a stringere un vecchio pupazzo con cui era abituata a stare durante il giorno in un sussulto di paura; la solitudine si faceva sentire ogni giorno di più, e la presenza di qualcuno , animato o inanimato che fosse, si era resa fondamentale per sopravvivere. Di amiche non ne aveva né aveva una vera occasione di farsene, dato che usciva dall'appartamento molto raramente ma mai per fini sociali; se qualcuno le avesse infatti detto che dopo nemmeno vent'anni sarebbe diventata un'importante giornalista conosciuta da buona parte dell'Inghilterra magica, avrebbe probabilmente accennato un sorriso, divertita da quella che suonava proprio come una battuta.

    E' solo pioggia. Tanta, tantissima, ma solo pioggia.

    Disse in direzione di quel coniglietto azzurro che sembrava soffocare tra le sue braccia, nel vano tentativo di rassicurare sé stessa fingendo di farlo con un pupazzo. Le tempeste avevano da un po' iniziato a farle paura, ché nella sua stanza le ombre creavano delle strane figure che le mettevano i brividi e che cercava di non guardare, ma su cui puntualmente finiva per far cadere lo sguardo.
    Sentiva appena le urla provenienti dalla cucina, ché aveva ormai imparato a non farci più nemmeno caso: sentire il pavimento tremare, i muri rimbombare e portare fino alla sua porta parole cariche di rabbia era un'abitudine che ormai non poteva fare altro che accettare, accettare e basta. Si sentiva impotente, fragile e vulnerabile, non poteva fare nulla per chiamare al silenzio, per passare anche un solo pomeriggio tutti e tre insieme come tutte le famiglie normali dovevano fare. Mangiare un gelato, fare una passeggiata, qualsiasi cosa le andava bene, le bastava poter stare per una sola giornata felice con i suoi genitori, senza liti o problemi. Questo, però, non sembrava essere possibile.

    E' PRONTO.

    La voce di Adrian tuonò per tutta la casa, arrivando prepotentemente alle orecchie di Donna che subito scese dal letto, si infilò i calzini antiscivolo e, tenendo il pupazzo per un orecchio, scese al piano di sotto attraversando di corsa il buio corridoio e aggrappandosi al corrimano della scale. Lanciò un'occhiata ai genitori, entrambi silenziosi e con lo sguardo sulla pasta al ragù che avevano preparato, trascinando i piedi fino al tavolo ed accomodandosi accanto alla madre. Michaela era terribilmente simile alla figlia, e spesso Donna si ritrovava a perdersi nei suoi occhi smeraldo credendo alle volte di essere di fronte allo specchio.

    Ti ho chiamato tante volte.

    Disse il padre con tono freddo, non guardando nemmeno Donna negli occhi; lei, invece, lo osservò per un istante, domandandosi come avesse fatto a non sentirlo. Aveva probabilmente confuso le grida per chiamarla a tavola con quelle della lite, ma non si sarebbe mai permessa di dirglielo, non aveva alcuna intenzione di innescare un altro litigio che questa volta l'avrebbe inclusa in prima persona; preferiva esserne distratta spettatrice, ché le discussioni in cui era coinvolta anche lei erano senza ombra di dubbio le più rovinose.

    Scusa papà, non aveva sentito.

    Abbassò lo sguardo sul piatto, portando alla bocca un paio di maccheroni nel tentativo di lasciarsi alle spalle quella disattenzione. Lo stava facendo anche Adrian evidentemente, ché non le aveva dato neanche un cenno di risposta.
    Non aveva fame quella sera, ma non aveva il coraggio di dirlo. Nessuno se ne sarebbe in ogni caso accorto, nemmeno Michaela che tra i due era quella più attenta ai bisogni della figlia.
    Passarono una decina di minuti in cui la casa rimase nel silenzio, echeggiava soltanto il rumore delle forchette che graffiavano il piatto e dei bicchieri che si riempivano d'acqua. Donna guardò entrambi, chiedendosi se fosse il caso di dire qualcosa.

    Magari potremmo andare a mangiare fuori, tra poco è il ringraziamento e... sarebbe carino passarlo tutti e tre insieme.

    Azzardò una richiesta che in un altro momento non si sarebbe permessa di fare, ma che credette potesse aiutare a risanare i dissapori tra i genitori. Inoltre il ringraziamento era un vero e proprio evento lì in America, e sprecarlo standosene a casa sarebbe stato un peccato. Nemmeno ricordava quello che avevano fatto l'anno prima, e questo era indiscutibile indice del fatto che non avessero fatto proprio niente.

    Sì, cer-.

    Lavoro quella sera, andate voi.

    Adiran interruppe la moglie alzandosi da tavola e portando il suo piatto nel lavandino, dove una spugna incantata cominciò a lavarlo. Tornò poi a sedersi, facendo per aprire il nuovo numero della Gazzetta del Profeta. Michaela chiuse gli occhi e fece un sospiro, tentando di non esplodere, ma la pazienza non era mai stata una sua virtù, purtroppo.

    Hai mai tempo per la tua famiglia?

    Sì, ma non quella sera.

    E quando mai hai avuto tempo?

    Donna osservava lo scambio tra i due genitori portandosi una mano alla testa, lasciandosi sfuggire un sospiro esausto che passò inosservato tra le grida che esplosero di nuovo nella stanza, questa volta proprio sotto lo sguardo della loro unica figlia. Michaela continuava a provocarlo e Adrian non si risparmiava nelle risposte, tutto quanto seguendo l'abituale routine che si ripeteva in ogni momento in cui si trovavano nella stessa stanza. Una lacrima rigò il viso della ragazza, che cominciò a tremare come fosse invisibile: l'ego o l'astio dei genitori era più forte dell'affetto che provavano per Donna, quella ne era la conferma. Quella nuova consapevolezza fece rompere qualcosa nella bambina, sentì come se un peso si fosse tolto dal cuore, quando era proprio il cuore ad essersi tolto per quei brevi istanti, lasciando spazio soltanto al risentimento.

    Basta!

    La voce di Donna squillò nella stanza e nello stesso momento i bicchieri sul tavolo si frantumarono in mille pezzi: quello non era la prima magia accidentale che aveva fatto, ma era di sicuro la più significativa. La bambina si portò le mani alla bocca e spalancò gli occhi, terrorizzata per la prima volta più da sé stessa che dai genitori. Per la prima volta in tutta la sera, l'attenzione dei genitori era rivolta a lei, soltanto a lei ed al disastro che aveva combinato. L'espressione del padre era indignata, come fosse in procinto di avere un infarto; Donna sapeva che non gli interessava dei bicchieri né tantomeno del suo sfogo, si sentiva semplicemente ferito nell'ego ed era una cosa che non riusciva a tollerare. La madre invece la osservava stupita, e la bambina si chiese se forse non avesse davvero capito il perché di quello che era successo.

    Io mi... scusate, non volevo.

    Trascinò la sedia lontana dal tavolo, correndo su per le scale fino ad arrivare in camera sua, dove si chiuse poggiandosi sulla porta con la schiena. Pensò a quello che era successo e, per la prima volta dopo tanto tempo, sorrise. Sorrise davvero, nonostante le guance fossero ancora bagnate dalle lacrime.
    Donna era soltanto una bambina che aveva bisogno di amare e di essere amata, ma che ora aveva smesso di elemosinare, non lo avrebbe fatto più. Da ora, si sarebbe presa le cose che voleva senza chiederle.
     
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    Elfi Domestici
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    Pepy e Panky hanno accreditato tutti i p.e. delle splendide FF pubblicate fino ad ora!
    Pepy e Panky ricordano ai gentili Padroni, Padroncini e Padroncelli che d'ora in poi sarà possibile guadagnare 5 p.e. per ogni FF.

     
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6 replies since 11/12/2021, 13:19   209 views
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