San Mungo (esterno)

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  1. Drusilla Vøn Štrauß
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    Era una piacevole giornata e il sole faceva capolino dietro alle nubi spumose che riempivano il cielo. Drusilla odiava le giornate di sole, ma era lì per lavoro.
    Era quasi l'ora del cambio turno dei medimaghi del San Mungo e Drusilla doveva procurarsene uno.
    CITAZIONE
    Un Medimago generico. Niente infermieri o specialisti.
    Corporatura nella media, età non inferiore ai quarant'anni. E come ti ho già detto, lo voglio nello stato d'animo giusto per simpatizzare con la nostra causa.

    Così le aveva detto Catherine. Ma Drusilla aveva i suoi gusti. Poco le importava che fosse nello stato d'animo giusto, che fosse o meno uno specialista o che avesse più o meno di quarant'anni. C'era una sola qualità assolutamente discriminante per la sua scelta: doveva essere carino.

    Mio caro Peter, sai quanto mi piacciono gli uomini belli. Oggi siamo qui per prelevarne uno. Dobbiamo sceglierne uno davvero carino.

    L'immancabile gabbietta vuota al suo fianco rimase immobile. Princess Sophia, invece, era rimasta a casa. Si sa che tra donne c'è competizione. Meglio eliminare da subito le possibili rivali.
    Drusilla aveva deciso di non entrare nell'ospedale. Non voleva dare troppo nell'occhio. Aveva deciso di attendere nello spiazzo davanti all'ingresso, per poi avvicinarsi al primo medimago avvenente che avesse notato.
    Non passò molto tempo che lo scatto della porta del San Mungo decretò l'inizio dell'orario di cambio turno dei medimaghi dell'ospedale. Iniziarono a uscire ed entrare svariati individui, ma nessuno andava bene.

    Troppo magro... troppo grasso... troppo giovane... oddio, guarda che pancia... e quel bubbone enorme? Che schifo...

    Drusilla continuava a guardare solo l'aspetto estetico dei vari medimaghi. Non le sembrava di chiedere tanto a voler un bell'uomo.

    Peter, peter, non lo trovo! Sono tutti orribiliii!
    Basta, ora ce ne andiamo e diciamo a Catherine che nessuno soddisfava i requisiti.


    Stava seriamente valutando di andarsene. Aveva già in mano la gabbietta e stava per smaterializzarsi chissà dove, quando...

    Peter, secondo te quello è un medimago?
    Se lo è, sembra carino. Mi correggo, molto carino.


    Drusilla aveva trovato il suo uomo. Catherine ne sarebbe stata certamente soddisfatta.

    Mi scusi, buon uomo?! Posso disturbarla un momento?

    Drusilla si era lanciata verso quell'uomo senza un piano preciso. Se era quello giusto, avrebbe trovato il modo di convincerlo a seguirla.
     
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  2. Dain Harvey
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    Rita Skiter aveva parlato di Giardini in fiamme, ma l'unica cosa che vedeva bruciare in quel momento, erano le speranze che qualcosa in quel mondo riuscisse ad andare nel modo corretto.
    La maschera guardava al mondo con un sorriso di circostanza, dicendo che il ministero aveva fatto tutto il possibile per trovare il criminale che aveva dato fuoco al villaggio adiacente alla riserva dei verdi Gallesi che aveva fatto tanto scalpore qualche anno prima. Che in fondo la Parish sotto controllo e che preso chiunque avesse compiuto quel gesto tanto idiota.
    Ma la verità era un'altra, ed era quella che aveva narrato la giornalista più irritante del mondo magico. Che il Ministero, nonostante tutte le informazioni del quale era in possesso, non sapeva dove sbattere la testa negli ultimi tempi.
    La notizia del corpo Auror che collezionava una delle poche vittorie nel mondo sembrava solo un tentativo della Parish di reggere la facciata del mondo perfetto, il contentino da dare alla massa che si chiedeva che cosa stesse facendo il Ministero per arginare la minaccia della Spirale e i criminali evasi da Azkaban.

    Qualcosa deve cambiare.

    Il cosa, il come, tante cose rimanevano incognite.
    Sogni, chimere, ideali che forse solo un bambino avrebbe potuto veder realizzati.

    Ma almeno i bambini non riuscivano a vedere quanto di orribile ci fosse al mondo, loro vivevano nella loro bolla di sapone perfetta, ignari di quanto potesse accadere al di fuori: non dovevano preoccuparsi di quello che stava accadendo o si dovevano sforzare per trovare una soluzione ai problemi del mondo.
    Forse era per quello che gli piaceva trattare con i bambini più che con gli adulti.
    Anche lui, in fondo, era peggiorato crescendo, lasciando che i sogni si scontrassero con la realtà, infrangendosi in un mare di frammenti. Come uno specchio o una vetrata colpita con qualcosa di pesante, il danno non si era visto subito. C'era stato un momento in cui si sarebbe a malapena potuto vedere la crepa, il punto di impatto. Poi era arrivato un altro colpo da parte della realtà, e un altro e un altro ancora. E alla fine il danno aveva corso per tutta la superficie dello specchio, frammentandolo. E la luce si era riflessa fino ad illuminare quello che credeva non fosse nemmeno possibile.
    Forse non amava stare con i bambini.
    Forse li invidiava, odiandoli segretamente, per essere in grado di illuminare solo il bene e tenere il male nell'ombra, dove non potevano vederlo.

    Venus, vieni

    La gatta bianca che accompagnava dappertutto il medimago prese a trotterellare al suo fianco, strusciandosi di tanto in tanto ai Jeans scoloriti che indossava. Poteva smateriallizzarsi per tornare a casa, ne era capace e non gli dava nemmeno fastidio, non come certe persone che conosceva, che ancora dopo anni che si smaterializzavano, passavano del tempo a boccheggiare come se qualcuno avesse strizzato loro i polmoni dopo essere riapparsi, ma a volte era piacevole camminare e lasciare che la cappa di cupi pensieri sparisse, inghiottita dal traffico di Londra.
    Ovviamente comportava dei rischi, come attirare occhiate preoccupate quando i babbani vedevano una persona parlare con un gatto e continuare a guardare l'ora su un massiccio orologio dorato e non sullo schermo di un cellulare, ma alla fine ci aveva fatto l'abitudine.

    Nella monotona routine di tutti i giorni, pure interrotta, se possibile, dalla decisione di uscire, il gesto di Drusilla, risaltò agli occhi del medimago, come se qualcuno avesse gettato un sasso sulla superficie di uno stagno.
    Non lo aveva chiamato per nome.
    Non gli aveva chiesto se sarebbe andato a vedere la partita delle Holyhead Harpies o qualche altra squadra di Quidditch
    Non gli aveva parlato di intrugli o di liti domestiche finite con una pianta di tentacula velenosa ficcata giù per gola.
    Non era la voce di uno dei suoi colleghi, né di una persona che conosceva.
    Fermò il passo e si voltò verso la donna che aveva parlato e che si stava precipitando verso di lui.

    Certo... Se posso aiutarla...

    Disse cauto, mentre si abbassava a prendere la gatta, che, minacciosa, aveva già puntato in direzione della gabbietta, dove poteva vedere, sul fondo, piccole ossa e piume celesti.
     
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  3. Drusilla Vøn Štrauß
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    L'uomo che Drusilla aveva adocchiato pareva assorto nei suoi pensieri. Sembrava angosciato per qualcosa.

    Meglio... Catherine mi aveva detto qualcosa sullo stato d'animo.
    Evidentemente le piacciono strani e tormentati. De gustibus non est disputandum.


    Drusilla non pareva aver compreso appieno i piani di Catherine, ma poco importava. Le era stato affidato un compito. L'avrebbe svolto senza porsi troppe domande.

    Certo... Se posso aiutarla...

    L'affascinante uomo aveva risposto al richiamo di Drusilla. La sua voce era virile.
    Con sé aveva una gatta, viva. Che strana usanza quella di tenere con sé animali vivi.
    Drusilla non si scompose e si avvicinò a lui.

    Mi scusi se la disturbo, ma stavo cercando un medimago.
    Lei lo è, per caso?


    La voce della vampira trasudava ingenuità. Sembrava davvero una povera fanciulla indifesa in cerca di aiuto. E forse, in parte, lo era sul serio.

    So che lei non mi conosce e che probabilmente vorrebbe solo raggiungere la sua dimora, ma avrei davvero bisogno di aiuto...

    Fece una pausa.

    Io mi chiamo Drusilla, Drusilla Von Strauss, e... sono malata...

    Un singhiozzo spezzò la vocina già debole di Drusilla. Gli occhi erano lucidi.

    Mi perdoni immensamente, ma questo argomento mi turba.
    E poi, non vorrei trattenerla se lei ha impegni. Gliene parlerò solo se mi conferma che non è un disturbo.


    Si girò dunque verso la gabbietta.

    Si, Peter, mio adorato. Speriamo che quest'uomo ci ascolti e che ci aiuti.
    Sarebbe davvero onorevole e gentile da parte sua. Ma è solo una sua libera scelta.


    Parlare con una gabbietta vuota poteva essere una buona tattica per intenerire quell'uomo. Allo stesso tempo, poteva spaventare il suo interlocutore e indurlo ad andare via da lei quanto prima possibile.
    Drusilla attendeva, fiduciosa e sorridente, mentre tutto era nelle mani di quell'uomo.
     
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  4. Dain Harvey
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    Si era avvicinata, e questo non piacque a Venus, che indietreggiò di un passo in un balzo, inarcando lievemente la schiena e sbattendo la coda candida a destra e sinistra con insistenza.
    Eppure il medimago non diede troppa importanza all'atteggiamento della gatta: non era un'animale che amasse la compagnia degli estranei o di maghi o streghe eccentriche e inusuali perfino per gli standard del mondo magico.
    Probabilmente si era spaventata per la gabbietta vuota, o magari dal volto pallido della donna che stava di fronte a loro.

    Sì, sono un medimago... e...

    La donna aveva preso a parlare, quasi non avesse nemmeno sentito le sue parole, dicendogli che aveva bisogno di aiuto, che era malata.
    Si domandò il motivo per il quale si era rivolta a lui e invece non era andata alla portineria, a domandare ad una delle ragazze di turno all'ufficio a quale piano sarebbe dovuta andare per ottenere le cure di cui necessitava. Quello che avrebbe fatto una persona normale che arrivava al San Mungo, insomma.
    Lacrime cominciarono a bagnare le guance della donna, e questo smosse qualcosa nell'animo del medimago, qualcosa che scacciò il fastidio perché la Strauss non aveva rispettato quella che era la prassi comune e che lo spinse ad interessarsi a lei e a volerla aiutare.

    Tranquilla... si... signorina? Signorina von Strauss, si calmi...

    Si era avvicinato con cautela alla donna, che, singhiozzando, aveva preso a parlare con la sua inquietante gabbietta vuota. Che fosse quello il sintomo della malattia di cui stava parlando? Non vedeva, almeno a prima vista, sfoghi, cicatrici, segni che potessero essere ricondotti alle più comuni malattie magiche delle quali si occupava. Ma certo era che, se la donna fosse stata vittima di un incantesimo di memoria particolarmente potente andato male...

    La mente del giovane saettava da una malattia all'altra, di incantesimo in incantesimo, alla ricerca di un aggancio, un qualcosa che potesse ricondursi ad un caso conosciuto. Le possibilità erano praticamente infinite, accomunate solo dal fatto di essere una più improbabile dell'altra eppure tutte ugualmente possibili.
    Cercava indizi con gli occhi, eppure troppe erano le malattie che non lasciavano tracce sulla pelle o che non si rivelavano apertamente.


    Si calmi ok? Non ho impegni adesso... ho appena finito il turno anzi, vuole che la accompagni all'interno? Così possiamo parlare della sua malattia con più calma, le va?

    Le domandò, mantenendo la voce calma e il tono dolce. Non voleva agitarla più del dovuto, ma allo stesso tempo trovare un modo di risolvere quella situazione.
    La pietà lo portava a voler trovare una soluzione, anche a costo di passare tutto il resto della giornata in compagnia di quella donna della quale conosceva solamente il nome. La logica, quella scintilla di menefreghismo che brillava nella mente di tutti, lo spingevano a lasciare la von Strauss nelle mani di un qualche suo collega anche per non causarle più male di quello che, a quanto asseriva, soffrisse già.
     
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  5. Drusilla Vøn Štrauß
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    Tranquilla... si... signorina? Signorina von Strauss, si calmi...

    Si calmi ok? Non ho impegni adesso... ho appena finito il turno anzi, vuole che la accompagni all'interno? Così possiamo parlare della sua malattia con più calma, le va?

    Il medimago sembrava volerla ascoltare. Ma, allo stesso tempo, sembrava non volerlo fare.

    All'interno? La prego, non mi porti là dentro!

    Drusilla si era allarmata. Non voleva entrare all'ospedale. Doveva continuare a rimanere da sola con il medimago.

    Sono solita venire al San Mungo per richiedere assistenza, ma ultimamente mi pesa così tanto mostrare la mia vulnerabilità, anche se infermieri e medimaghi sono sempre tanto carini nei miei confronti. Non so se mi capisce.

    La donna pareva sincera. Pensò dunque di raccontargli il suo dramma.

    Sono affetta, sin dalla nascita, di una rara malattia genetica babbana. La malattia è rimasta latente per anni e poi, all'improvviso, ho iniziato a soffrirne, senza più riuscire a guarire.
    Non so se se ne intende di malattie babbane, ma la mia malattia fa parte della famiglia delle Porfirie. Avrà notato il mio pallore, causato dall'anemia, o che cerco di rimanere all'ombra, al riparo dalla luce. Ma non voglio tediarla raccontandole tutti i miei spiacevoli sintomi.
    Le dirò solo che da qualche tempo ho trovato qualcosa che mi fa sentire meglio: il sangue. Costanti trasfusioni sono indicate per la cura di questa malattia, ma sono anche scomode. Dunque, ho iniziato a venire al San Mungo per comprare delle sacche di sangue per mio uso personale. Però, le mie visite sono diventate sempre più frequenti e mi pesa essere così debole e vulnerabile a causa di questa mia dipendenza.


    Dopo la lunga spiegazione, interrotta solo da qualche singhiozzo, Drusilla fece una pausa.

    In realtà, non so nemmeno perché le sto raccontando tutto questo. Come potrà aiutarmi? E' che non voglio presentarmi per l'ennesima volta all'ospedale. Non so davvero cosa fare.

    Un nuovo singhiozzo, più rumoroso, scosse la donna. Pareva davvero disperata.
     
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  6. Dain Harvey
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    La reazione della donna lo colse di sorpresa, costringendolo a rielaborare tutto quello che aveva pensato fino a quel momento. Non che considerasse strano lo stato d'animo in cui si trovasse: molti dei pazienti istintivamente cercavano di allontanarsi il più possibile dall'ospedale dei maghi. Quasi come se, in quel modo, potessero esorcizzare l'idea della malattia e dell'essere, del sentirsi, malati, incapaci di avere potere perfino sul proprio corpo.
    Eppure, se lei non voleva entrare all'interno, tutto quanto cambiava. Non solo perché avrebbe dovuto perderci più tempo, ma anche perché le opzioni a sua disposizione in quel momento venivano limitate.

    Annuì distrattamente alla spiegazione della donna, cercando di pescare dalle profondità della mente tutte le notizie sulla malattia che affliggeva la donna. Non conosceva così bene le malattie babbane come quelle magiche, anche perché spesso le due realtà non erano compatibili. Vi erano eccezioni, certo: la licantropia poteva essere trasmessa tanto ad un mago quanto ad una persona sprovvista di poteri magici e alcuni si erano messi perfino a studiare le differenze fra i morsi nei due casi, alcune malattie babbane comuni si trasmettevano anche ai maghi...
    ma l'argomento malattie genetiche e rare lo prendeva alla sprovvista.
    Sempre che la donna fosse sincera. Certo, non aveva motivo di mentire, eppure vi erano davvero tante, troppe cose sospette in quel discorso. Il pallore e l'iper-sensibilità alla luce potevano anche andare.

    Ma lei parla del sangue come se fosse una necessità... un balsamo guaritore...

    Possibile che la donna fosse davvero affetta da una malattia che la facesse assomigliare così tanto ad un vampiro senza esserlo davvero? La cortesia e il non voler complicare ulteriormente la situazione in cui si trovava (la pietà aveva vinto, ma non poteva vincere su tutto e giustificare una discussione sulle buone maniere e la cortesia nella quale sarebbero sfociati se avesse sbagliato ad esporre le sue ipotesi).

    Va bene, non la porterò dentro al San Mungo se non vuole, solo che così mi risulta difficile aiutarla...

    Desiderava aiutarla in qualche modo, ma lì, in mezzo ad una strada di Londra, privo delle informazioni basilari per cui curarla, e senza la possibilità di portarla all'interno, gli risultava difficile, pur considerando tutta la buona volontà che poteva metterci, trovarle una cura o fare qualcosa per lei che non fosse consolarla.
    Quando si mise a singhiozzare, gettò un'occhiata piena di interrogativi in direzione di Venus, intenta ad annusare la gabbietta vuota. Cosa fare? La Pietà lo portava a consolare la donna, la Logica ad andarsene.
    E di nuovo, purtroppo, vinse la Pietà.

    Signorina von Strauss... si calmi, davvero... se non vuole entrare è lo stesso, possiamo rimanere qua fuori, ma come ha detto non mi intendo molto di malattie babbane. Cosa posso fare per aiutarla?
     
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  7. Drusilla Vøn Štrauß
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    Ma lei parla del sangue come se fosse una necessità... un balsamo guaritore...

    Drusilla non disse nulla in risposta. Lui cambiò discorso.

    Va bene, non la porterò dentro al San Mungo se non vuole, solo che così mi risulta difficile aiutarla...

    Drusilla pareva disperata.

    Signorina von Strauss... si calmi, davvero... se non vuole entrare è lo stesso, possiamo rimanere qua fuori, ma come ha detto non mi intendo molto di malattie babbane. Cosa posso fare per aiutarla?

    Non sarebbero entrati nell'ospedale. Ottimo.

    Lei è comunque un medimago, anche se non se ne intende di malattie babbane. Dovrebbe essere affamato di risposte quando non le ha.

    Seguì una piccola pausa.

    Una mia carissima amica, nel suo maniero, possiede una quantità di libri sull'argomento che neanche immagina. Se non le viene di troppo disturbo, potrebbe venire a trovarla insieme a me. Avrebbe tutti quei libri a sua completa disposizione e, essendo uno studioso dell'arte medica migliore di me e della mia amica, potrebbe trovare una soluzione o una cura per la mia malattia.
    Gliene sarei eternamente grata e allieterei il suo incarico offrendole dell'ottimo thé, dei pasticcini, o qualsiasi cosa lei desideri. E verrà anche ricompensato.


    Altra pausa.

    Che ne dice? Accetta l'offerta?

    Drusilla mostrò a quell'uomo la faccia più irresistibile e supplichevole che era in grado di mostrare. Sperava davvero che il medimago accettasse la sua offerta.
     
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  8. Dain Harvey
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    Annuì, cauto, alle parole della donna. Risposte, chi non ne cercava? Alla fine ci si arrendeva al vedere le proprie domande rimanere tali in eterno, perdendo, a volte, perfino la voglia di indagare e cercare di svelare il mistero.
    L'arte medica era una delle più fumose, più mutevoli. Evolveva, giorno dopo giorno, basandosi sullo studio continuo.
    Eppure era restio ad accettare.
    Non era la ricompensa che lo interessava (nemmeno l'idea di prendere un té con pasticcini a dire il vero): per quanto ammaccato e fatto a pezzi dalla realtà, l'infantile quanto sciocco desiderio di voler salvare tutti quelli che gli si presentavano di fronte, la pietà che lo aveva portato ad ascoltare Drusilla sin dall'inizio, rimaneva radicato nell'animo del medimago.
    Eppure la situazione era così strana, sbagliata sotto certi versi. Troppi i tasselli del puzzle che non collimavano gi uni con gli altri, almeno non in maniera perfetta. Sembravano pezzi troppo piccoli in fori troppo grandi; aveva spiegato alcune cose, ma dava l'idea di aver taciuto su altre.

    Io...

    Pronunciò, nervoso e incapace di prendere una decisione sul momento. Fidarsi oppure no?

    Possiamo andarcene intanto da qui? Non vorrei che qualche babbano ascoltasse qualcosa di troppo. Venus!

    Scelse, di nuovo, il compromesso, la via facile che gli avrebbe permesso di guadagnare tempo. Batté leggermente la mano sulla gamba, richiamando a sé la gatta che nel mentre aveva preso ad annusare con insistenza la gabbietta vuota e a cercare, facendo passare le zampette candide attraverso le sbarre metalliche, di prendere quei pochi resti del piccolo uccellino azzurro che un tempo vi aveva abitato. C'era qualcosa di al contempo affascinante e repellente in quel macabro oggetto, e la gatta doveva provare nei confronti della gabbia un interesse se possibile addirittura maggiore di quello che provava Dain.
    Al richiamo del padrone, dopo aver gettato un'ultima occhiata alla gabbietta, annusando l'aria immobile e timorosa quasi che potesse muoversi ed attaccarla, si mosse in direzione del Medimago per poi saltargli in braccio dopo aver preso una piccola ricorsa. Sorretta dal braccio del mago, l'animale si voltò verso la donna, annusando l'aria, in attesa.

    Porse il braccio libero in direzione della signora von Strauss. Il San Mungo attirava difficilmente le attenzioni dei babbani, apparendo come un vecchio edificio malmesso e decadente quasi, in perenne stato di ristrutturazione, ma era meglio allontanarsi da lì il prima possibile. C'era un limite alle occhiate stranite che poteva sopportare e a quanto "normale" potesse sembrare quando parlava del mondo magico a Londra. La von Strauss di certo non aiutava in questo.

    Riesce a smaterializzarsi? Se vuole altrimenti la guido io...

    Si offrì gentilmente di eseguire la smaterializzazione congiunta. Non sapeva quanto una malattia di quel genere intaccasse le capacità magiche di un individuo.
    Se solo avesse saputo che si stava gettando nella tela del ragno...
     
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  9. Drusilla Vøn Štrauß
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    Io...

    Possiamo andarcene intanto da qui? Non vorrei che qualche babbano ascoltasse qualcosa di troppo. Venus!

    Ciò che diceva l'uomo pareva saggio. Ed era sicuramente una proposta che Drusilla doveva sfruttare a suo favore.

    Riesce a smaterializzarsi? Se vuole altrimenti la guido io...

    Fantastico. Quale migliore occasione di questa.

    Ma certo, mio caro, che riesco a smaterializzarmi. La malattia non intacca le mie capacità magiche.

    Drusilla rassicurò il suo interlocutore con un sorriso. Era la sua occasione e non doveva sprecarla.

    Venga pure. E si tenga stretta la sua gatta.

    Detto questo, Drusilla non lasciò il tempo al medimago di fare, o anche solo pensare, altro. Lo afferrò fulminea e con un sonoro POP sparirono insieme.

    [La ruolata continua QUI]



    Edited by Drusilla Vøn Štrauß - 4/11/2014, 17:40
     
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    [4 gennaio 3:50 a.m - Ministero]



    Johanna attendeva la giovane aspirante auror poco fuori l'entrata del Ministero, di fianco la cabina telefonica.
    A quell'ora del mattino vi erano pochi passanti.
    Ma l'orario che aveva dato alla ragazza non era utile alla prova in sé, piuttosto a capire se fosse puntuale e sveglia a qualsiasi ora del giorno, se non si fosse trattato di Johanna, avrebbe potuto dirsi vezzo.
    Invece, date le scarse abilità mostrate da giovani aspiranti prima di lei, l'auror non aveva più alcuna voglia di accettare comportamenti inopportuni; ragazze che credevano di fare colloqui per giornali di alta moda, si presentavano alle prove con i tacchi, con la faccia da angeliche supereroine e alla minima difficoltà si erano tirate indietro.

    Probabilmente la ragazza avrebbe pensato che fosse incosciente da parte del capo portarla immediatamente sul campo, ma taanto valeva constatare il sangue freddo.
    Johanna non avrebbe messo in pericolo realmente Esther, non quel giorno almeno.

    Johanna non guardava l'orologio impaziente, aveva già dato a Kevan alcune direttive ed era in anticipo, attendeva senza muovere un muscolo, il viso privo di espressione, il cappuccio del mantello alto sulla testa a ripararsi dal freddo.

    Avrebbero raggiunto il luogo del delitto di qualche mese prima, avrebbe chiesto a Esther di interpretare un ruolo.
    E poi, probabilmente, sarebbe stata messa alla prova in maniera violenta.
    Ma era necessario.
    Se era pronta a una situazione di emergenza, improvvisa e cruda, allora Esther avrebbe potuto essere la persona che le serviva.

    Johanna non poteva avere dubbi su quel che faceva, non avrebbe ammesso a se stessa che qualcosa di quel che stava ipotizzando per la ragazza era troppo pericoloso.

    Dopo quella prova, Johanna avrebbe reso Esther la persona che Corleone cercava, e prima o poi l'avrebbero preso.

    Una mente del genere andrebbe soppressa più che punita.


    Si disse sospirando. Era davvero giusto far rimanere in vita un'anima così corrotta e orrenda?
     
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  11. -Olympea.
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    Esther camminava per le strade di una calma, fredda e mattutina Londra, diretta al Ministero della magia come Johanna Cage le aveva detto il giorno del suo colloquio; era certamente agitata ma molto sicura di sé, al collo portava il ciondolo che i genitori di Cameron le avevano donato il giorno precedente e, quella assieme all'avvicinarsi del momento in cui sarebbe diventata una vera e propria dipendente del ministero come Auror, sembrava renderla ancora più sicura di quanto appunto appunto già non lo fosse.
    Date le basse temperature quella mattina aveva deciso di indossare vestiti un po' più pesanti come: un maglione bianco ed argento largo, dei semplici pantaloni di cotone grigi e degli stivali neri senza tacco. il tutto coperto da un lungo mantello nero con cappuccio, non se la sentiva ancora di indossare i suoi abiti colorati e forse stravaganti di fronte alla Capo-Auror.
    Fortunatamente a quell'ora i babbani in giro erano proprio pochi; troppo assonnati per poter prestare attenzione ad una donna che passeggiava con un mantello anziché con un normalissimo giubbotto.

    Ella ricordati che oggi potrebbe accadere di tutto. Disse ad un certo punto rivolta alla sua donnola che si stava proteggendo dal freddo all'interno della borsa a tracolla che come sempre portava.

    Johanna poteva aver elaborato qualsiasi cosa per lei, dati gli avvenimenti accaduti negli ultimi tempi nel corpo Auror c'era bisogno di persone adatte e pronte a fronteggiare i maghi criminali che non solo potevano disturbare la pace del mondo magico ma anche quella dei babbani.

    Ormai manca poco, forza Esther.

    La donna voltò l'angolo e iniziò a camminare dentro una squallida stradina dove, in fondo ad essa si trova una cabina telefonica in disuso per i non-maghi, vicino a questa vide Johanna che la stava aspettando il che voleva dire che molto probabilmente la "prova" sarebbe iniziata quasi subito.

    Buongiorno. Salutò, facendosi improvvisamente seria.
     
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    A lei.

    Johanna incrociò le mani tra loro, sul ventre e fece un cenno a labbra strette alla ragazza.
    Era in orario, ed era una buona cosa, e sembrava abbastanza pronta.
    Senza aggiungere altro, Johanna fece un passo avanti oltrepassandola, senza attenderla, si aspettava che si emttese immediatamente di fianco a lei, mentre prendeva a camminare nella direzione da cui Esther era venuta.
    Non era ancora l'alba, faceva freddo, e non avrebbero incontrato nessuno, neanche babbani.
    Avrebbero forse potuto arrivare fino ai magazzini Purge & Dowse Ltd a piedi, non avevano fretta e dopotutto era solo un teatro.
    Johanna non avrebbe fatto comprendere nulla alla ragazza, ma avrebbe dovuto spiegarle qualcosa.
    Così parlò, mentre il passo si faceva meno frettoloso, senza guardare la giovane strega in viso, lasciando che gli occhi fissassero la strada di fronte a loro.

    C'è poca strategia in quel che le sto chiedendo di fare.
    Anche l'informazione che sta per avere è segreta, se non dovesse essere assunta, e accadrebbe solo se dovesse deludermi, prenderò provvedimenti riguardo tale informazione.
    Abbiamo bisogno di nuove persone tra gli auror, ma tutti sono utili... e pochi sono indispensabili.


    Attese un qualche cenno, prima di parlare ancora.

    Mesi fa un evaso ha trovato e ucciso una ex studentessa di Amestris, dopo averla seviziata.
    E' uno psicopatico, con traumi infantili. Abbiamo collegato il suo caso, già analizzato nei registri della prima cattura, al trauma ricevuto in età infantile, quando una tutrice lo torturava in orfanotrofio.
    L'uomo sembra diventato talmente instabile da non essere considerato lucido, attacca le giovani donne che gli ricordano tale donna.


    Johanna tirò fuori un giornale babbano del 2008. Le immagini immobili, la carta rovinata, era la testata più importante dell' Inghilterra non magica e raccontava della scoperta di un orfanotrofio in cui i bambini venivano torturati, addirittura uccisi, delitti scoperti dopo anni.

    Ho trovato questo giornale, parla di un orfanotrofio del Jersey, l'Haut de la Garenne, le torture, perpetuate fino al 1986, sono venute a galla solo dopo anni, e la polizia babbana sembra aver ottenuto testimoni.*
    Abbiao ipotizzato Corleone venisse da questo luogo, ma non ne abbiamo certezze.


    Sarebbe stato importante, per Johanna, trovare i registri di quell'orfanotrofio, sia dei bambini, sia delle tutrici.
    Avrebbe volentieri usato una di quelle donne prive di coscienza come esca.
    Forse avrebbe permesso all'uomo di torturarle, poco prima di tirarle via dall'orrore, non sapeva neanche che fine avessero fatto, ma sperava fossero a marcire nella prigione babbana peggiore di Londra.

    Lei deve impersonare una delle tutrici, attirare l'attenzione nei pressi del San Mungo Esterno, ma ricordi, lei è babbana.
    Non mostrerà bacchetta. Può darsi che l'uomo cerchi qualcosa del genere, che si aggiri lì intorno senza farsi vedere, sarebbe il caso che con lei vi fosse un qualche bambino, poiché non possiamo chiedere a nessuno giovane mago di mettersi a rischio, il mio asistente assumerà una pozione ringiovanente.
    Lei fingerà di essere la sua tutrice, di trattarlo male, apertamente e di fronte i passanti, lo chiamerà Mick.


    La prova vera e propria non avrebbe avuto alcun risultato utile, erano quelle piccole scelte e azioni a metterla alla prova realmente, Kevan avrebbe fatto il resto.

    Se qualcuno dovesse avvicinarsi e sembrarle pericoloso, si allontani dalla folla insieme al bambino, si lasci seguire nel vicolo meno frequentato.
    Se l'uomo mostra una dissociazione mentale, atteggiamenti insani e la bacchetta, probabilmente sarà il mago che cerchiamo. In tal caso lei non potrà assolutamente mandare segnali di allarme.
    Se non arriviamo in tempo, dovrà cavarsela da sola per un po'.


    Johanna spalancò le palpebre e arricciò le labbra. Sentiva qualcosa di fastidioso in gola, non riusciva a ingoiare.
    Quanto si stava spingendo oltre?

    La strada dei magazzini si affaccia su tre vicoli ciechi. Potrà portare l'uomo in quello in cui ora ci materializzeremo.
    Le è tutto chiaro? Trasfiguri i suoi vestiti, e... la creatura, forse è meglio tenerla via.


    Si affacciarono in una strada buia, Johanna la imboccò percorrendo un centinaio di metri prima di fermarsi, guardando la ragazza e attendendo prima di attuare la materializzazione congiunta.

    Ha domande?




    *La storia è tratta da una storia vera.
     
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    Il freddo non accennava a diminuire, se non fosse stata li per un motivo per lei molto importante, si sarebbe potuta trovare nella casa di famiglia davanti al camino con una tazza di cioccolata calda fumante, un libro ed una coperta, ma no, se voleva diventare Auror pensieri come questi non dovevano nemmeno esserci; una persona che voleva intraprendere quel lavoro aveva sulle spalle la fiducia di molti maghi e streghe che desideravano vivere in pace e tranquillità: due cose che in quei giorni mancavano proprio.

    Sii forte, puoi farcela.

    Johanna aveva iniziato a camminare e lei non aveva perso tempo a starle dietro ben concentrata e attenta ad ogni minimo dettaglio che le sarebbe servito per poter superare quella specie di esame a cui sarebbe stata sottoposta a breve.
    Iniziò parlando del fatto che il Ministero aveva bisogno di Auror e, ciò che stava per affrontare era estremamente segreto e se Esther l'avesse delusa avrebbe fatto prendere provvedimenti. Tuttavia non si preoccupò molto di questa ultima cosa, si sentiva davvero pronta e avrebbe fatto di tutto pur di diventare quello che da tempo sognava.

    Capisco. Disse annuendo con la testa, sempre guardando davanti a lei.

    Poco dopo iniziò a parlare di quello che più interessava ad Esther, il suo compito: Un uomo dalla mentalità instabile con alle spalle un passato difficile, a causa della sua tutrice d'orfanotrofio che lo torturava e, che aveva perso il lume della ragione perché perseguitato da quei ricordi ogni donna ai suoi occhi appariva come la sua tata.
    Tra le vittime, vi si trovava un'ormai ex studentessa della scuola risorta dalle ceneri di Hogwarts: l'Amestris Academy. Olympea provò una leggera sensazione di disagio nel sentire dell'omicidio della povera ragazza, immaginava il dolore che avevano provato parenti e amici stretti.

    Come immaginavo, non sarà una prova facile...

    Cercò di coprirsi di più con il mantello per cercare di sentire meno il freddo, e nel mentre la Capo del dipartimento Auro tirò fuori un giornale, vecchio data la carta molto rovinata: parlava di ciò che accadde nell'orfanotrofio dove si supponeva quel criminale avesse passato la brutta infanzia. Il ruolo che avrebbe dovuto interpretare la giovane apprendista era quello di una tutrice che maltrattava il suo bambino, che sarebbe stato interpretato dal collega della Cage, in modo da far uscire allo scoperto Corleone, il pazzo assassino.

    Tutto chiaro, sono sicura che non la deluderò.

    Esther appoggiò la borsa per terra e da essa tirò fuori la bacchetta, che avrebbe usato per trasfigurare i suoi vestiti in altri più adatti alla prova; doveva solo immaginare come si potesse vestire una tata babbana, magari con uno stipendio ridotto.

    Ci sono!

    La punta della bacchetta toccò appena gli abiti che indossava Esther e in un attimo un tailleur pantalone grigio le apparì addosso assieme a delle scarpe con un tacco abbastanza basso.
    Dopo fece uscire Ella dalla borsa e le disse che avrebbe dovuto fare da sola quella volta, perciò si sarebbe dovuta nascondere in un posto e poi sarebbe uscita quando tutto sarebbe finito.

    Nascondiamo anche la bacchetta. Pensò mettendola riuscendo a bloccarla dentro la giacca, abbastanza nascosta.

    Sono pronta.
     
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    La ragazza non tentennava, né esitava. Johanna le dedicò un'occhiata più attenta. Non faceva chiacchiere inutili, né domande stupide, e non si era tirata indietro neanche nel sentire ciò che avrebbe dovuto affrontare. Johanna annuì impercettibilmente al silenzio della giovane strega, per quanto riguardava il capo auror era già sulla buona strada.
    L'auror aveva forse dimenticato quel genere di entusiasmo, in lei sembrava svanito da tempo, trasformatosi crudelmente in una necessità spasmodica di controllo, nel grigiore dell'intransigenza.
    La strega che aveva d'innanzi odorava ancora della genuina adrenalina che però Johanna non comprendeva appieno, chiusa nella sua glaciale rigidezza.

    Va bene.

    Disse in direzione degli abiti appena trasfigurati, ancor meglio apprezzò la bacchetta celata.

    Un'espressione più arcigna l'aiuterebbe.

    Disse guardandosi intorno con lentezza, giunte finalmente nella parte più nascosta del vicolo.

    Tutto chiaro, sono sicura che non la deluderò.

    Forse sarà meglio richiamare la sua creatura, non è al Ministero che rimarremo.

    Johanna attese ben poco che la strega potesse richiamare il suo famiglio, forse giusto in tempo prima di prendere il braccio dell'altra, con un tocco molto leggero, per attuare la materializzazione congiunta; avrebbero raggiunto il vicolo vicino al magazzino dalle fattezze babbane che segnava l'entrata all'Ospedale Magico, in quella stessa città.
    Esther avrebbe sentito un uncino aggrapparle l'ombelico prima di restringersi nello spazio, in immagini sfocate, che avrebbero ripreso nitidezza solo una volta arrivate.
    [Capacità Magiche: 48. Materializzazione congiunta di 2 persone, distanza < 1300 km.]

    [San Mungo Esterno, vicolo perpendicolare alla strada principale]



    Lo schiocco della materializzazione risuonò sordo nel vicolo, probabilmente la città babbana ancora non si svegliava. Johanna passò la mano su una piaga del mantello e respirò guardandosi attorno.
    Di lì a poco li avrebbe lasciati, Lucas, invece, sarebbe dovuto sbucare in quell'istante.
    Il suo primo interesse sarà quello di non mettere a rischio la vita di nessuno, se dovesse avere l'occasione di uno scontro.

    Johanna non aveva dubbi su quanto stesse facendo, d'altra parte la giovane auror era già entrata nella parte, se solo avessero scoperto il nome della vera tutrice di quel criminale, se avessero saputo come attrarlo senza alcun dubbio dove desideravano.
    Certo nessuno avrebbe lasciato Esther a se stessa, ma la prova stava totalmente in questo: probabilmente quell'iniziazione aveva entità ben più cruda di una possibile realtà.
    Lucasboy

    Dalla fine del vicolo, dietro al muro che si affacciava sulla strada, sbucò in quell'istante un bambino dall'aria vagamente spaurita.
    Era Lucas, aveva ingerito una pozione ringiovanente presa da un negozio anonimo dell'Inghilterra magica. Probabilmente sarebbe durata molto poco, giusto il tempo di mettere in pratica la scena.
    La cosa peggiore era che Lucas sarebbe scomparso e non l'avrebbe aiutata.

    Vieni qua.

    Disse fredda, guardando il bambino con un sopracciglio alzato. Lucas era in evidente disagio in quelle vesti, guardava le due streghe aggrottando la fronte, e Johanna si chiese se non fosse lui il meno adatto a quella missione.

    S-sì

    Quando il ragazzino fu vicino a loro, raggiungendole a passi incerto, Johanna guardò entrambi senza mostrare alcuna espressione, tenendo le mani giunte.

    Esponetevi leggermente, non è un orario di punta, probabilmente pochi babbani sono già in giro, forse solo nelle loro automobili.
    Attirate l'attenzione, e lei non si risparmi alcuna offesa o atteggiamento crudele nei confronti di questo... nano.

    Johanna non provava alcuna compassione per la faccia accigliata di Lucas nei panni di quel bambino.
    Solo provò frustrazione crescente. Sarebbe stato un mondo migliore se quell'azione così basilare avesse minimanete avuto le possibilità di attirare il vero criminale.

    Improvvisate pure.

    Disse facendo un cenno con la testa e percorrendo l'intero vicolo, girando sulla destra.
    Lucas stava un po' irrigidito vicino alla giovane strega, guardandola dal basso con un'espressione vagamente impaurita, quasi a intenerirla, attendendo che lei si muovesse per seguirla o assecondarla.

    [pozione comprata OFF game da PG generico; durata pozione: 3 post]
     
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    Come Johanna le consigliò Esther cercò di fare una faccia più credibile possibile,: aggrottò la fronte senza esagerare troppo, gli angoli della bocca si rovesciarono, cadendo fino a formare un sorriso al contrario e le labbra restarono appena socchiuse.

    Sii cattiva, sii cattiva... si ripeteva mentre si abbassò a prendere Ella prima di entrare ufficialmente nei panni della tata babbana che avrebbe dovuto impersonare per superare la prova nella quale, Johanna Cage, avrebbe dovuto valutare quanto sarebbe stata capace per il ruolo di Auror che tanto desiderava.
    Fu una questione di pochi istanti, dopo aver preso il suo famiglio si sentì tirare dall'ombelico e subito immagini confuse sfocate si sostituirono al vicolo dove si trovavano e, di dopo, diedero il posto ad un nuovo scenario.

    [San Mungo Esterno, vicolo perpendicolare alla strada principale]



    Quando entrambe le donne apparirono nel luogo dove si sarebbe tenuta la messa in scena, Olympea fece un respiro profondo e, dopo aver nascosto Ella in un punto dove sarebbe stata facilmente trovata da lei dopo aver finito, aspettò di vedere l'altra parte importante del piano: il bambino.
    L'assistente della capo-Auror apparve pochi istanti dopo, era già sotto l'effetto della pozione il che significava che sarebbero stati lanciati subito sul palcoscenico.

    Non ho paura, farò uscire allo scoperto Corleone e farò vedere a tutti che sono adatta per questo lavoro.


    la donna dagli occhi glaciali iniziò a dare consigli importanti su come svolgere il tutto e le lasciò carta bianca per quanto riguardava il trattamento che avrebbe dovuto avere con il bambino.

    Va bene. Esther annuì alle parole della strega e, quando questa se ne andò per lei iniziava la prova.

    Abbassò lo sguardo fino ad incontrare quello di "Mick" che sembrava molto impaurito e forse, cercava in qualche modo di farle abbassare la cresta; ci sarebbe riuscito, in altre occasioni, ma non era quello il giorno per essere la Esther di sempre adesso lei era una tata cattiva e spregevole nei confronti del suo bambino.

    Che hai da guardare stupido orfanello, avanti e cammina. Gli diede una pacca sulla schiena per spingerlo a muoversi mentre sulla sua faccia si creò un espressione disgustata, stava pensando alle gelatine tutti gusti+1 che da giovane mangiava sempre fino a che non trovò quella dal sapore orribile e appunto disgustoso.

    Iniziò a camminare, sapeva che quasi sicuramente lui l'avrebbe seguita, ma, si girò.

    Ti ho detto che devi muoverti, non voglio perdere tempo a causa tua. Saremmo già arrivati se tu non fossi cosi lento; forse è per questo che ti hanno abbandonato i tuoi genitori, non volevano avere un figlio come te, non li biasimo affatto.

    Johanna le aveva detto di chiamarlo Mick si, però lei pensò che non chiamarlo affatto, oppure con dei soprannomi come "stupido", "moccioso" e cosi via sarebbe risultata più credibile.
    Adesso toccava all'assistente, era curiosa di sapere quello che poteva fare, magari le sarebbe servito in futuro, non doveva lasciare nulla al caso.
     
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