Blossom

Agosto 2030

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    15 Agosto 2030, sera



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    Derek era un uomo buono e gentile, che dava l’anima per la felicità altrui. Si faceva sempre in quattro per gli altri, spesso dimenticandosi di se stesso e del proprio bene, ma senza mai pentirsene. Per lui ogni essere umano, anzi, ogni essere vivente aveva la sua importanza, andava protetto, tutelato e salvaguardato in tutti i modi possibili ed immaginabili.
    Eppure, in questo suo mondo ideale dove lui era l’eroe che si impegnava a far sì che tutto fosse sempre rose e fiori, c’era qualcuno che aveva occupato un posto un po’ più in alto rispetto ad ogni altro essere vivente, rispetto ad ogni altro umano. Questa persona era riuscita a guadagnare un’importanza superiore a qualsiasi altra cosa nella vita dell’Erbologo norvegese, e lui non sarebbe stato in grado nemmeno di spiegare come, se qualcuno gliel’avesse chiesto. Sapeva soltanto che era successo e lui non sarebbe potuto esserne più felice. In fondo, con qualche bicchiere di rum al ribes rosso era riuscito a confessargli qualcosa, una minima parte dei pensieri che girovagavano nella sua mente da qualche tempo a quella parte, e da quel giorno il loro rapporto si era evoluto da unicamente materialistico a qualcosa di più.
    Era ormai da qualche giorno che non si vedevano, lui e Melahel, dopo aver passato quasi due mesi praticamente sempre insieme. Non erano riusciti a far coincidere i turni pesanti del Medimago con gli orari del negozio dell’Erbologo, e per qualche giorno si erano dovuti accontentare di sentirsi tramite gufo, una cosa diventata ormai consueta tra di loro.
    Derek era riuscito a farsi dire il turno che l’altro avrebbe svolto a lavoro quel giorno, e visto che il giovedì era il suo giorno di chiusura, aveva deciso di fare qualcosa di carino per lui, cosa che in realtà non aveva ancora mai fatto, non in questo modo almeno, eppure aveva realizzato che dopo quasi mezzo anno di frequentazione poteva permettersi di rischiare qualcosa di più.
    Aveva deciso di indossare una semplice camicia blu chiaro, dei jeans neri ed una cinta marrone per staccare tra i due colori, si era sistemato i capelli e la barba. Non voleva in realtà apparire così elegante, ma semplicemente decente, e non il solito buzzurro con i vestiti da lavoro ed i capelli un po' spettinati, per fare bella figura agli occhi di quell’uomo che tanto lo aveva mandato fuori di testa. Dopo di che aveva recuperato una rosa rossa dal suo giardino a Drayrdd e si era smaterializzato alla volta del San Mungo.
    Si era posizionato vicino all’ingresso dell’ospedale, in attesa di vedere uscire Melahel, che avrebbe dovuto finire il suo turno a quell’ora della sera. Non gli aveva detto niente ovviamente, doveva essere una sorpresa che sperava gli avrebbe fatto piacere. Non aveva mai fatto niente del genere per lui, perciò non sapeva come avrebbe reagito vedendolo, addirittura con una rosa per lui, e forse qualcosa in più, ma quello dipendeva da cosa sarebbe successo una volta visto il Medimago uscire da quelle porte.

     
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    Quando Kazutaka gli aveva spiegato come affrontare la morte di un paziente, Melahel ricordava quanto fosse stato difficile ascoltarlo.
    Mentre il suo cuore percepiva la cosa come tremendamente ingiusta, la sua mente doveva farsene una ragione, perché doveva tornare al lavoro, al servizio di altri pazienti vivi.
    Per questo non si era sorpreso, quando il suo tirocinante si era chiuso in se stesso dopo che avevano dovuto comunicare ad una madre la dipartita del figlio. Era difficile quella parte, era forse più complicato e pesante di qualsiasi sessione d'esama.
    Kazutaka gli aveva spiegato che a volte la morte era inevitabile e che l'unica cosa che potevano fare era rendere il viaggio finale il meno doloroso possibile.
    Il lutto era una cosa che portavano i parenti, loro non ne avevano il diritto.

    Vai a casa e lavati la faccia.

    Melahel aveva suggerito al tirocinante una cosa che forse avrebbe dovuto seguire lui prima di tutti.
    Era quasi alla ventesima ora dentro quel posto ed aveva un aspetto probabilmente da buttare. Portava una nuvola nera sopra la testa ed ormai contava i minuti che lo separavano dalla fine di quelle ore di incubo.

    Non lo so… penso che se rimanessi magari potrei...
    No, non c'è più niente da fare. Vai a casa.

    Melahel non pensava mai alla morte, non in termini diversi da quelli legati all'evitare che essa arrivasse a mietere uno dei suoi pazienti.
    Preferiva tenerla lontana, seppellita in modo che non arrivasse nemmeno a toccargli i pensieri.
    Sua madre era morta per una malattia e arrivato a ventotto anni era consapevole di non ricordarsi quando aveva capito che non l'avrebbe più rivista.
    Per quanto potesse sembrare crudele apparire freddi ed impassibili, Melahel era anche sicuro che il tirocinante avesse bisogno di un punto di riferimento saldo. Non era proprio suo compito, visto che era solo un guaritore semplice, però poteva, magari, provare a capire se fosse in potere di fare qualcosa.
    Gli sembrava rispettoso lasciare Shawn ai suoi pensieri, seppur ricordandogli che il giorno dopo avrebbero avuto altro lavoro sul quale perdere la testa.
    PietadiluiMel
    Era quasi contento che Derek non potesse vederlo in quello stato, visto che probabilmente non c’era un millimetro di lui che fosse minimamente attraente. Non sapeva nemmeno perché ci tenesse che l’uomo lo vedesse quando poteva dargli la parte migliore del suo aspetto, nonostante il loro rapporto avesse lasciato certi binari per dirigersi verso una destinazione sconosciuta ma - allo stesso tempo - anche desiderata.
    Sembrava proprio uscito da venti ore di lavoro in ospedale ed indossava la sua espressione base, quella dove non era possibile intuire se fosse costipato o in attesa di un’eutanasia.
    Recuperate le sue cose, si portò tra le labbra una sigaretta, ansioso di uscire per poterla accendere. Quella era la prima del secondo pacchetto consumato, ma ne aveva un bisogno tale che il dettaglio semplicemente sfuggì dalla sua mente.
    Attraversato l’arco sotto la scritta “Purge and Dowse, ltdt”, Melahel aveva bisogno di un momento per ricordarsi come smaterializzarsi per tornare a casa. Nemmeno il tempo di provare ad accendersi quella sigaretta, che i suoi occhi si posarono su una figura familiare.

    Perfetto, adesso sto pure delirando.

    Pensò, spalancando gli occhi come se stesse assistendo all’apparizione del Messia. Erano passati quattro giorni dall’ultima volta che aveva visto Derek, ma sembrava fossero mesi.
    No, ovviamente quello non era un miraggio.
    Ad ogni modo, si stava già avvicinando, ché anche fosse stato qualcosa di creato dalla sua mente, non avrebbe potuto far nulla per stargli lontano.

    Derek.

    Lo salutò, guardandolo con aria interrogativa.

    Cosa ci fai qua?

    Era felice di vederlo, anche se incapace di dimostrarlo pienamente. Non capiva perché Derek si fosse preso la briga di venire fino a quel vecchio magazzino.
    Il bisogno che aveva di vederlo era tale che ad averlo lì quasi gli facevano male gli occhi; l’erbologo si era vestito per il peccato e lui non poteva davvero sopportarne la visione.
    Si tolse la sigaretta dalla bocca, avvicinandosi fino ad invadergli lo spazio personale. Si morse un labbro e si lasciò andare ad un sospiro.
    Gli cadde lo sguardo sulla rosa, per un solo momento. Sicuramente era interessato a far vagare gli occhi su altro.

    Hai bisogno di un dottore?

    Domandò con ironia, quasi sorpreso di riuscirci.
    Aveva così bisogno di sentirlo, che in realtà non voleva nemmeno essere lui a parlare.
    Aveva così bisogno di lui, che gli tremava la mente, prima del corpo.
     
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    Il tempo sembrava non passare mai, eppure era piuttosto sicuro di non aver sbagliato orario. Aveva controllato più volte la lettera prima di uscire di casa, per evitare di fare qualche tipo di figuraccia, quindi non aveva messo in conto un suo possibile errore. Oppure semplicemente il Medimago aveva avuto un'urgenza che lo stava costringendo a rimandare la fine del suo turno, cosa possibilissima in un ospedale. Di certo il lavoro dell'uomo rumeno era ben più complesso, movimentato e faticoso del suo, per questo lui si sforzava con tutto se stesso di comprenderlo e cercare di mettersi nei suoi panni ogni volta che si presentavano situazioni del genere.
    In realtà Melahel non era in ritardo, era semplicemente lui a percepire il tempo scorrere più lentamente, tanta era la voglia che aveva di vederlo e poter stare finalmente un po' con lui, dopo giorni di distanza.
    All'improvviso, però, se lo ritrovò davanti, che lo guardava con quell'aria interrogativa che lo rendeva fin troppo divertente ai suoi occhi, mentre si avvicinava a lui e l'Erbologo non poteva fare a meno di sorridere, per quella reazione che l'altra aveva avuto nel vederlo.

    Ciao anche a te.

    Gli disse con il solito sorriso gentile, il tono che sarebbe stato in grado di tranquillizzare anche la più inquieta delle persone, mentre cercava di allungare la mano libera verso la sua, per prendergli la sigaretta e, eventualmente, spegnerla contro la prima superficie non infiammabile a sua disposizione.
    Sapeva che si sarebbe guadagnato l'odio dell'altro con quel semplice gesto, ma non gli importava.

    No. O almeno non di un dottore qualunque...

    Non riuscì ad evitare di arrossire leggermente, perchè nonostante il loro rapporto si fosse evoluto ad un punto tale da non dover per forza generare un certo tipo di reazioni, lui rimaneva sempre quell'omone all'apparenza estroverso ma in realtà timido e in grado di imbarazzarsi facilmente, nonostante gli sforzi che stava facendo per comportarsi in modo normale con Melahel, in quei mesi.
    A quel punto, si decise finalmente ad allungare la rosa che aveva portato nella sua direzione, offrendogliela definitivamente.

    Pensavo di chiedere al Dr. Ackerman di lasciarmi passare un po' di tempo con Melahel.
    Credi che possa farlo?


    Chiese ridacchiando, cercando di allungare una mano verso quel suo ciuffo spettinato di capelli. Sì, forse in quel momento il Guaritore non era nel suo migliore stato e al massimo dell'eleganza, ma a lui non interessava affatto. Altrimenti non avrebbe mai deciso di presentarsi lì fuori con la consapevolezza di vederlo uscito da quelle mura dopo chissà quante ore passate a lavorare.
    Rimase qualche istante in silenzio, come per studiare le reazioni altrui alle sue parole, ma ad un certo punto non riuscì a trattenersi dal chiedergli una cosa.

    Troppo da teenager dei telefilm americani?

    Intendeva la sua idea di presentarsi lì fuori con un fiore tutto per lui, perchè effettivamente non aveva pensato al fatto che magari l'altro potesse essere stanco dopo il suo turno e non voler far altro che andarsene a casa a riposarsi e a rilassarsi un po'.
     
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    Ehi.
    Quella avevo intenzione di fumarla.


    Sapeva che a Derek non piaceva il suo vizio ed anche se probabilmente avrebbe guardato male chiunque si fosse permesso di togliergli la sigaretta di mano, sentirsi sfiorare gli aveva agitato lo stomaco abbastanza da mandare il fumo al diavolo. Aveva a malapena percepito la pelle dell'uomo contro la sua, ma all'improvviso divenne il suo unico pensiero.
    Sentirgli dire "Dottor Ackerman" fece agitare il suo stomaco, come se ci fosse qualcosa in quell'accoppiata di parole capace di fargli perdere la testa.
    A volte, Melahel pensava, Derek sapeva essere davvero crudele per il suo povero animo.
    In realtà era lui ad avere dei problemi, probabilmente.

    Grazie per aver riconosciuto che Ackerman non è un dottore qualunque.

    Lo prese in giro e colse il movimento della mano che reggeva la rosa, un dono per lui, un fiore rosso come il sangue, come il calore.
    Accolse il regalo, mentre sul suo viso si accendeva una leggera fiamma di sorpresa. Era la prima volta che riceveva una rosa, di solito era lui che si trovava dal lato di chi le donava.
    Era strano perché lo aveva sempre percepito come qualcosa di galante che un uomo faceva ad una donna.
    Nonostante quei pensieri, Melahel si ritrovò a pensare che non era affatto un brutto gesto.
    Separò le labbra per ringraziarlo, quando percepì le dita dell’uomo tra i suoi capelli ed una scarica di brividi gli percorse l’intera lunghezza della spina dorsale. L’intensità della sensazione spedì una coltellata nel suo stomaco, che parve esplodere in un misto di formicolio e calore. Per un momento credette che avrebbe perso l’equilibrio, ma rimase immobile per lasciarsi andare ad un lungo sospiro.
    Derek avrebbe letto ogni cosa, ma era troppo tardi per trattenersi.

    Non ci stavo pensando, adesso hai rovinato tutto.
    Questo come ti fa sentire?


    Sollevò un angolo delle labbra in un piccolo sorriso, portandosi la rosa vicino al viso per annusarla. Il profumo gli invase i sensi, facendogli scoprire che quasi aveva dimenticato come fosse.

    Grazie, mi hai fatto ricordare il profumo delle tsubaki che tenevamo in Australia.

    Le tsubaki erano le camelie, le rose giapponesi. Ricordarsi di loro era come tornare a quei giorni, quando studiava i sintomi del Vaiolo di Drago ed aveva il loro aroma a tenergli compagnia.
    A volte si scopriva così sentimentale che quasi non si riconosceva e non sapeva mai se lasciarsi andare o meno.
    Era un po’ imbarazzante, ma sosteneva che fosse Derek ad influenzarlo.
    Allungò una mano verso la sua, non gli piaceva rimanere troppo tempo in quel magazzino abbandonato da tutti, ma almeno poteva chiamarsi qualche minuto solo per loro due. Un minuto per trovare un luogo più appartato - ma non troppo - e concedere all’erbologo un ringraziamento dignitoso.

    Ti sei fatto bello per me?

    Aveva notato che Derek si era curato e quindi voleva un po’ stuzzicarlo, allungando una mano per accarezzargli la barba sistemata. Una parte di lui si sentiva privata di una doccia e quindi trattenuta al pensiero di poterlo baciare, ma senza l’Erbologo per tutti quei giorni si era sentito come un viaggiatore senza acqua ed ora stava morendo di sete.
    Avrebbe provato dunque ad annullare le distanze per baciarlo, senza chiedere e senza scusarsi di niente.

    Questo come ti fa sentire?
     
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    Alzò un sopracciglio alle sue prime parole, senza riuscire tuttavia a trattenere un sorrisetto piuttosto divertito.

    Lo so, è per questo che te l’ho tolta.

    Odiava fare la parte del ‘’cattivo’’, ma non poteva fare a meno di cercare di salvare la vita delle persone a cui teneva, che decidevano di rovinarsela da soli, mettendosi tra le labbra certe cose schifose. Soprattutto se si trattava di Melahel, poi, a cui dedicava sempre una particolare attenzione più o meno per qualsiasi cosa lo riguardasse, più o meno.
    Non si erano ancora detti praticamente nulla, non si erano nemmeno sfiorati, e già l’Erbologo norvegese sentiva di essere tornato a respirare dopo essere stato in apnea per più tempo del dovuto.
    Lo osservava dall’alto dei pochi centimetri di differenza che si passavano in altezza, senza riuscire a staccare gli occhi smeraldo dal suo volto. Piegò leggermente le labbra nel sentire le sue parole, alle quali rispose con fare sincero.

    Bhè, sono sicuro che non lo sia.

    Non poteva dirlo con certezza, perché non gli era mai capitato di essere un suo ‘’paziente’’. Ma in quei mesi aveva imparato a conoscerlo ed una delle prime cose che aveva capito di lui era quanta passione mettesse nel suo lavoro, quanto ci tenesse, quanto fosse importante per lui, la dedizione e la costanza che metteva nello studio e in tutto quello che faceva per la sua carriera. Era una delle tante cose che l’avevano affascinato di lui fin dal principio, che l’avevano spinto a volerlo conoscere meglio, fino ad arrivare a quel punto.

    Un po’ in colpa?

    Chiese quindi retoricamente alla sua prima domanda, ma la sua mente era distratta da altro, ovvero da quell’immagine del Medimago che odorava la rosa che gli aveva portato. Avrebbe tanto voluto immortalare quel momento in qualche modo, non sapeva perché di preciso, ma in quel momento gli sembrava di essere ringiovanito di almeno dieci anni. Si sentiva per davvero di nuovo un adolescente, anche un bambino, perché in genere erano i bambini che si scambiavano i fiori, trovati per caso nel prato in cui giocavano e donati in un gesto fatto col cuore, un gesto sincero come soltanto i bambini sapevano essere.
    Dovette però svegliarsi presto da quel sogno, ricordarsi quanti anni aveva davvero e di conseguenza di comportarsi in modo consono alla sua età.

    Cosa sono le tsubaki?

    Gli avesse detto ‘’camelie’’, avrebbe subito capito di cosa stesse parlando. Diamine, era un Erbologo, li conosceva i fiori più comuni e particolari come quelli. Ma i nomi in giapponese…no, quelli non li conosceva ancora, anche se in quei mesi di vicinanza con Melahel qualcosa lo stava imparando.
    Si lasciò prendere la mano, beandosi di quel contatto come se gli fosse mancato per una vita, invece si trattata soltanto di qualche giorno. Che strano effetto gli faceva quell’uomo, un effetto che non si sarebbe mai aspettato di provare.
    Alla sua domanda non potè che ridacchiare divertito.

    Può darsi.
    Questo come ti fa sentire?


    Decise di ripagarlo con la sua stessa moneta, tanto per giocare un po’, anche se l’età dei giochi era finita da un bel pezzo per lui. Si lasciò toccare ancora, trovando quella carezza estremamente dolce, o forse era soltanto la sua percezione distolta di qualsiasi cosa facesse Melahel.
    Ricambiò quel bacio senza troppe esitazioni, in fondo nessuno avrebbe potuto disturbarli finchè si trovavano lì, e di fretta non ne avevano di certo. Almeno lui. Soltanto in un secondo momento si rese conto che effettivamente il Medimago poteva essere stanco o avere voglia di andarsene a casa e basta.

    Estremamente fortunato.

    Confessò allora, forse anche troppo sinceramente, per questo cercò immediatamente di distogliere l’attenzione altrui da quel discorso per arrivare invece al punto: cosa ci faceva là?

    Io…ecco, sono venuto qui perché…volevo chiederti se ti va di andare…a cena da qualche parte. Insieme.
    Ma se sei stanco posso anche accompagnarti a casa, lasciarti in pace, insomma, possiamo vederci in un altro momento…


    Si sentiva un po’ in colpa per non aver effettivamente pensato alle condizioni fisiche e psicologiche con le quali il Guaritore sarebbe uscito dall’ospedale dopo il suo lunghissimo turno di lavoro, una parte di sé avrebbe voluto punirlo per il suo egoismo…ma l’altra invece sperava vivamente che non gli dicesse di no. O meglio, poteva dirgli di andare a casa insieme, qualsiasi casa, o di andare fuori…dove voleva, insomma. Sperava soltanto che non lo mandasse via.
     
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    Le tsubaki sono le rose giapponesi, le camelie.

    Usare termini in lingua giapponese era sempre una cosa che gli procurava soddisfazione. Aveva studiato la cultura di quel paese attraverso i libri e grazie al modo di Kazutaka di inserire la tradizione del luogo nella sua vita personale. Sembrava quasi buffi poi, pensare che non ci avesse ancora messo piede.

    È un nome che si dà anche alle bambine.

    Melahel immaginava che se la madre di Derek fosse nata in Giappone, probabilmente avrebbe potuto avere quel nome.
    Alla sua domanda sull’eleganza dell’uomo, giunse una risposta che alle sue orecchie apparve più provocante del dovuto.

    Mi fa sentire come se dovessi togliermi i vestiti.

    Credeva di essere stato esplicito al punto giusto, senza bisogno di aggiungere altro. Non credeva si sarebbe mai spogliato davanti a quel posto abbandonato dal mondo, ma quello era solo ciò che la sua mente pensava. Il luogo non era importante, c’erano altre cose ad occupare la sua mente, come la presenza di Derek davanti a lui.
    A volte non sapeva da dove gli uscivano quelle risposte, perché era palese quanto fossero letteralmente la prima cosa che il suo cervello elaborava. Ogni tanto si chiedeva come facesse Derek a sopportare quel lato del suo carattere, ma era grato che semplicemente fosse in grado di riuscirci.
    L’incontro delle loro labbra parve sciogliere ogni nodo dentro il suo corpo, scaldando il suo sangue, facendolo sentire come se potesse concepire l’idea di soffocare in quell’atto. Sarebbe stata la morte più bella, tra le braccia del sole.
    Derek si sentiva estremamente fortunato e Melahel si sentiva voluto. Aveva voglia solo di quelle labbra, di affogare in lunghi baci e carezze forti come un incendio.
    Le successive parole dell’Erbologo lo fecero quasi accigliare, quasi come se non credesse alle sue orecchie.

    Sono… Diciotto ore che sono dentro quell’ospedale, oggi abbiamo perso un paziente e l’ultima volta che ho avuto un pasto decente è stato a colazione.

    Lasciò una mano a sostare sulla sua spalla, sfiorandogli il collo con le dita.

    Voglio stare con te, in qualsiasi modo tu voglia.
    Se mi dai il tempo di una doccia possiamo andare dove vuoi.


    Alzò lo sguardo verso il suo, forse apparendo con quell’aria da cane bastonato che ogni tanto lo cottrastingueva.
    Era stanco, ma l’idea di una cena decente gli aprì lo stomaco, portando alla sua attenzione il fatto che stava morendo di fame.

    Non lasciarmi da solo, stasera

    Non era un’ordine, anche se voleva che lo fosse. Voleva che Derek ubbidisse e rimanesse con lui. C’era una parte di Melahel che voleva strozzarlo per aver anche solo pensato di “lasciarlo in pace”.
    Nonostante i suoi desideri a luci rosse, non aveva bisogno di altro se non di compagnia. Tornare nel suo appartamento vuoto lo avrebbe fatto sentire più solo, anche se aveva Lucifer.

    Pensare a te senza averti vicino mi fa sentire estremamente solo.

    Eccoci qua, quello non voleva dirlo proprio a quel modo.
    Addio dignità, insomma.
    Ridursi così per un altro uomo era qualcosa che lo destabilizzava, per questo si sentiva davvero un idiota. Quando però non riusciva a trattenere i pensieri, era per lui difficile sentirsi qualcosa di diverso.

    Insomma, mi vuoi fare stare zitto che poi non so più cosa dico?

    Sbottò, ma senza fastidio. Stava quasi sorridendo, mentre si chiedeva come fargli capire come si sentiva.

    Non ti prendi mai la responsabilità di come mi fai sentire. Mi lasci pieno di pensieri che non si possono dire a voce troppo alta. Non so se hai idea di cosa significa essere a lavoro e pensare a…

    Stop, stop, stop.
    Riuscì a frenarsi, in tempo.
    Era chiaro che le sue accuse fossero ironiche, lo stava incolpando come faceva nella sua mente ogni volta.
    Sentiva il volto in fiamme, ma ehi, non era colpa sua.
    Derek aveva la sovrannaturale capacità di prendere i suoi fili più sensibili e piegarli sotto le sue mani. La cosa pazzesca era che non sembrava rendersene conto.
    Ecco perché poi il Medimago finiva con il parlare troppo.

    Quindi adesso ho cambiato idea e devi rimanere con me per forza. Che ne pensi?

    Che stesse diventando pure isterico?

    Sto impazzendo, scusami.
     
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    Quando il Medimago gli confidò la traduzione di quella parola giapponese che gli aveva detto prima, il suo sguardo si illuminò e improvvisamente sembrò aver capito chissà quale mistero della vita.

    Aaaah, bhè, potevi dirlo prima.
    Però mi piace quando mi dici le cose in giapponese.


    Ridacchiò divertito, rispondendogli con il solito tono scherzoso. Però era stato sincero, dicendogli che gli piaceva quando gli faceva conoscere qualche parola in giapponese. Avrebbe dovuto ricambiare, per correttezza, in fondo anche lui conosceva un’altra lingua straniera che era in realtà la sua lingua madre.
    Alla risposta alla domanda che gli aveva posto, si ritrovò a ridere di nuovo, tuttavia quella risposta lo lasciò piuttosto soddisfatto. Il loro rapporto, per parecchio tempo, si era basato principalmente su un determinato tipo di cose. Ora si stava sicuramente evolvendo, o almeno era quello che lui sperava, ma ovviamente tutto ciò che era stato non poteva di certo essere dimenticato.
    Ascoltava le sue parole, senza riuscire ad ignorare il contatto delle sue dita con la sua spalla, e poi la pelle del suo collo. Ed in quel modo gli risultava particolarmente difficile stare attento alle sue parole.

    Tutto il tempo che vuoi.
    Se mi guardi così però potrebbe diventare un problema.


    Basta che stava insieme, in sostanza. E quello sguardo che gli rivolgeva in quelle situazioni particolari era diventato con il tempo una delle sue peggiori debolezze, ci aveva messo un po’ per rendersene conto, eppure era così. Quando gli rivolgeva quello sguardo, sarebbe stato in grado di fare qualsiasi cosa per lui, senza escludere nulla.

    Non ti lascio solo.

    E non ebbe il bisogno di specificare ‘’stasera’’, perché lui non intendeva solamente quella sera. Non l’avrebbe lasciato solo mai, si era preso quell’impegno da parecchi mesi ormai. Un impegno che aveva preso con se stesso più che altro, di cui si era convinto ancora di più dopo averlo accompagnato ad Amsterdam.
    Non sapeva esattamente sulla base di cosa avesse iniziato a dirgli certe cose. In genere c’era sempre un qualcosa che permetteva ad entrambi di sbottonarsi ed iniziare a dire ciò che con il corpo non si poteva mostrare. Un gesto, una parola, un mezzo, in genere bastavano quelle cose per lasciar liberi i pensieri, ma stavolta invece no.

    Lo sai che non sei solo però, vero? Nel senso, anche se non possiamo vederci, ci sono sempre per te e lo sai.

    Dopo aver appreso gran parte del passato del Guaritore, Derek si era sentito ancora più in dovere di stargli accanto. Non si sforzava troppo in realtà, essendo una cosa di cui aveva bisogno anche lui, che gli faceva piacere e che, inconsapevolmente, lo rendeva felice.
    Si ritrovò di nuovo ridacchiare divertito nel sentire le sue parole, ma non capiva perché pensasse sempre di essere in difetto quando iniziava a parlare e a dirgli quello che pensava. Aveva riconosciuto l’ironia nelle sue parole, ma il concetto comunque non cambiava molto.

    A me piace sentire i tuoi pensieri.

    Confessò quindi, come se non gliel’avesse mai detto in tutti quei mesi, eppure come al solito lo pensava davvero. Non lo diceva soltanto per fargli un piacere, non era il tipo di persona che parlava a vanvera.
    Sorrise ancora all’ultima domanda del Medimago, come se avesse davvero bisogno si dargli una risposta.

    Dico che mi va benissimo.
    E comunque non ti devi scusare, sfido chiunque a lavorare per 18 ore di fila e affrontare le cose…che affrontate voi.


    Invidiava i medici e chiunque avesse il coraggio di fare lavori così importanti, e non poteva nascondere che quella era una delle tante cose che gli piacevano particolarmente di Melahel, e che l’avevano incuriosito al punto di volerlo conoscere meglio…fino ad arrivare a quel punto, e chissà, magari andare avanti.
     
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    Peccato che non possa farti conoscere di più di qualche parola.

    Il giapponese era una lingua troppo complessa, il suo studio sarebbe stato impossibile per gli anni che aveva abitato sotto lo stesso tetto col suo mentore. Non era nemmeno mai stato in Giappone, quindi si sentiva terribilmente ignorante. Poteva prendere possesso di poche cose riguardo quella cultura, mentre le altre rimanevano per lui irraggiungibili.

    Dovresti dirmi qualcosa in Norvegese, prima o poi.

    Non aveva mai sentito Derek parlare nella sua lingua ed era estremamente curioso, si domandava perfino se con i suoi genitori parlassero inglese oppure no. Si sorprendeva della quantità di curiosità che provava per l’Erbologo, soprattutto per quelle quasi triviali, che però servivano a comporre l’individuo Derek Wade.
    Aveva parlato così tanto che in tutti quei mesi non aveva conosciuto niente dell’altro uomo, sempre troppo spaventato ad indagare, perché timoroso di oltrepassare quella linea.
    Però a quel punto, forse poteva addirittura lasciar correre quei timori, prendendosi la briga di sentirsi genuinamente incuriosito da ciò che doveva ancora scoprire.

    E come ti sto guardando?

    Replicò, con un piccolo sorriso furbo. Melahel non aveva ancora ben chiaro quanto potere potesse avere sull’altro uomo, anche se ogni tanto apprendeva qualcosa di nuovo, come in quel caso.
    Sentire la frase “Ci sono sempre per te” era quasi surreale, sebbene non fosse la prima volta che qualcuno glielo diceva. Il suo stomaco si scaldava ed una parte nascosta - ma nemmeno poi tanto - di lui era compiaciuta della consapevolezza di valere qualcosa agli occhi dell'altro.
    Eppure, ormai sapeva bene di doversi fidare della gentilezza e della sincerità dell’Erbologo, che facevano parte di lui come le stelle facevano parte del cielo notturno.
    Derek funzionava in un modo che Melahel non riusciva ancora a comprendere a pieno, eppure si trovavano lì, a scambiarsi calore nascosti dagli occhi di tutti.
    Lui era sicuro che quell’uomo poteva essere solo la sua -dolce - rovina, col suo permettersi di occupargli i pensieri, col suo modo di fare che sapeva metterlo in ginocchio.
    Non poteva far altro che guardarlo e scoprire come il suo corpo avrebbe reagito, perché sapeva che non doveva trattenere più niente.
    Le parole di Kazutaka erano state la scala verso il trampolino, il salto lo aveva compiuto da solo, sfidando le catene che la sua stessa mente voleva imporgli.

    I miei pensieri sono un gran casino, come fai a sopportarli?

    Rimaneva sempre meravigliato da come Derek sembrasse genuinamente contento di sentire i deliri della sua mente. A volte non riusciva a tollerare se stesso, quindi si chiedeva come fosse possibile che potesse esistere un uomo capace di farlo.
    Forse era troppo severo con se stesso, magari anche di proposito.

    Vieni da me? Anche se non so dove tu voglia portarmi.
    Mentre mi faccio la doccia può tenerti compagnia Lucifer.


    Doveva rendersi di nuovo presentabile; aveva bisogno di una doccia e di lavarsi via quelle ore dalla pelle. Non voleva più pensare a quella giornata, voleva concentrarsi solo su Derek e sul mettersi qualcosa nello stomaco.

    Così cerco un posto per questa rosa.

    Avrebbe preteso un altro bacio, prima di permettere a entrambi di smaterializzarsi nel suo appartamento.

    [Continua qui]

     
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