Halloween 2028

Brasile

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    Artemis inspirò profondamente, ripensando ancora una volta a quanto accaduto poco prima sulla nave: al momento non gli era sembrato troppo grave usare la magia su Coral nonostante sapesse che non era autorizzato a farlo, tuttavia più il tempo passava e più una sottile preoccupazione gli scivolava sottopelle. Potevano davvero espellerlo dalla scuola per quello? Le possibilità c’erano e questo già lo sapeva, quindi doveva già iniziare a pensare a come uscirne più indenne possibile.

    Non so ancora utilizzare la magia non-verbale, quindi è ovvio che qualcuno possa avermi sentito lanciare l’incantesimo. Fare finta di non essere stato io, nonostante il buio, potrebbe rivelarsi controproducente. Potrei giocare d’anticipo da grandissimo paraculo.

    Si disse, mentre cercava di non pensare troppo al fatto di essere completamente zuppo dalla testa ai piedi. Era abbastanza sicuro che tutta l’acqua che aveva addosso in quel momento pesasse più di lui… cosa totalmente impossibile, ovviamente, ma che sicuramente non contribuiva a migliorare il suo umore.
    Inspirò una seconda volta fino a che i polmoni non iniziarono a chiedere pietà, poi allungò il passo fino a raggiungere la Responsabile della Tempesta.

    Professoressa, dovrei parlarle un momento.

    Esordì, affiancando la donna e chiedendosi come avrebbe potuto reagire.

    Prima ho usato la magia – Okay, grandioso, forse non era esattamente il modo migliore per iniziare. – Siamo stati aggrediti da dei pipistrelli e, lo so, fin qui niente di drammatico, ma c’era Allen che sembrava spaventata a morte, ha iniziato ad urlare come un’ossessa e più lei urlava e più i pipistrelli si accanivano su di lei.
    Anita ha seriamente tentato di calmarla a parole, ma Allen non voleva sentire ragioni, ad un certo punto siamo anche rimasti al buio e quindi dalle sue urla potevo solo immaginare che la situazione stesse peggiorando. A quel punto ho solo pensato che come prefetto avrei dovuto fare qualcosa e quindi l’ho silenziata, sperando che questo bastasse a far allontanare i pipistrelli da lei. Ho anche chiesto che qualcuno venisse a chiamarla, prima di intervenire, ma pare che nessuno abbia sentito.


    La situazione non si scostava troppo dalla realtà, ma sicuramente era stata parecchio gonfiata, sperando che calcare la mano sulla paura di Coral bastasse a dare l’impressione di un “non avevo scelta” e “ho solo fatto il mio dovere di prefetto”.



    [Sala Mayor]



    Stava ancora rimuginando sulla situazione quando si vide accanto una Coral evidentemente incavolata nera. Con lui, ovviamente.
    Inarcò le sopracciglia, davvero aveva il coraggio di avercela con lui? Okay, probabilmente aveva frainteso le sue intenzioni, era una possibilità più che valida, ma… davvero? Dopo che si erano detti di scambiarsi le password dei propri pg del gdr, davvero Coral si fidava così poco di lui?
    Mise su un’aria profondamente offesa, come se trovasse tremendamente oltraggioso il doversi spiegare.

    Guarda che l’ho fatto per aiutarti, ingrata – brontolò, incrociando anche lui le braccia al petto – Avevo notato che non essendomi messo ad urlare come un’oca giuliva, i pipistrelli avevano smesso di prendersela con me per andare ad attaccare miss Ugola d’Oro Hastings. Ho pensato che se fossi stata zitta, ti avrebbero lasciato in pace.

    Terminò con uno sguardo da “mi-devi-la-vita” del tutto esagerato al contesto. Non fece in tempo a raggiungere altro che uno degli studenti di Castelobruxo si rivolse a Coral che, dato che non poteva rispondere in maniera autonoma, decise bene di piantargli una gomitata dolorosissima alle costole per indicargli di parlare al posto suo.

    Ah, ora sono anche il tuo interprete?

    Domandò retorico, massaggiandosi il punto in cui la gomitata assassina di Coral lo aveva colpito.

    No, non è muta. Si chiama Coral e ha delle corde vocali davvero interessanti. Scappa finché sei in tempo o per comunicare con te finché non ritrova l’uso della parola potrebbe prenderti a gomitate e non ne usciresti vivo, fidati.

    Disse, senza nemmeno curarsi che Tizio Qualcosa comprendesse tutto il suo discorso, dato che i sottintesi ancora un po’ offesi erano indirizzati più che altro a Coral stessa, che invece lo avrebbe capito alla perfezione.
    La cosa positiva di tutta quella non-conversazione non richiesta era che almeno aveva avuto un valido motivo per ignorare momentaneamente il copricapo e… il gonnellino che in teoria avrebbe dovuto mettere e che a conti fatti non avrebbe indossato nemmeno sotto tortura.
    Stava per richiudersi nei suoi pensieri quando una compagna di scuola di Tizio qualcosa decise che doveva presentarsi.

    Olá, eu sou Benedita Souza Fernandes!

    Qua la gente è decisamente troppo socievole…

    … Artemis. Lei è Coral.

    Disse, usando volutamente il minor numero di parole possibili. Quell’Halloween era già iniziato male.


    Artemis e Coral (che si è scordata) siamo al Tavolo 3!

    L'interazione con Mikal è lasciata in sospeso per ovvi motivi (?)
     
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    Il volto candido della donna, a riparo dai grossi fiotti di pioggia grazie all'evocazione di un Parapluvia, osservava con sguardo felice e curioso tutto ciò che la circondava, fremendo all'idea di ammirare con i suoi stessi occhi la famosa torre di Castelobruxo.
    Procedeva in solitudine, anticipando alcuni dei suoi studenti, controllati anche dagli altri Docenti in viaggio. Non la stupì, dunque, vedere Artemis arrivarle accanto all'improvviso, ciò che la stupì, e non in positivo, furono le sue parole.
    Il volto, da sereno e tranquillo qual era divenne l'emblema del terrore, a partire dallo sguardo incredulo e la bocca sigillata da improvvisa agitazione.
    La violazione di Artemis non solo era grave di per sé, ma lo era anche in vista dei recenti problemi avuti con il Ministero della Magia.
    La Docente di Astronomia arrestò d'improvviso il suo passo, lasciando che gli studenti la superassero, immersa fra loro e i suoi pensieri. L'aveva anche stupita la leggerezza con la quale il Prefetto aveva fatto la sua confessione, pur condendola di motivazioni e ragioni apparentemente giustificanti, ma che in realtà erano state utili solo a far angosciare ancora di più la Responsabile.
    Aveva sentito parlare dei pipistrelli, anche se vagamente, essendo andata subito dagli studenti della sua Casata non appena arrivati, ma certamente non avrebbe mai immaginato un risvolto di quel genere, soprattutto non da uno dei Prefetti.

    In pochi istanti mi hai reso consapevole del fatto che alcuni studenti sono stati aggrediti, che nessuno è riuscito a contattarmi e che tu hai violato una delle più importanti leggi riguardanti la magia minorile.

    Era troppo da sentire tutto in una volta sola, tanto che Mikal dovette respirare a fondo per riuscire a contenere la paura e la rabbia che insieme, come sorelle, le avevano colorato le gote e scaldato il cuore di rosso.
    C'erano poche cose che riuscivano ad alterare Mikal dal suo solito e quieto stato di calma, fra queste la percezione del pericolo. Il mancato rispetto delle regole, in quanto Docente e Responsabile, veniva solo dopo. Non era solita punire i suoi studenti per qualsiasi genere di infrazione, perché ciò che contava, a sua detta, era che capissero l'errore e che lo dimostrassero con il loro impegno futuro. Aveva dato questa stessa possibilità ad Artemis, possibilità che in quell'istante non aveva rispettato.

    L'unica ragione per la quale vi è consentito utilizzare la magia al di fuori dell'Accademia, sapete bene, è il pericolo di morte.
    E dei pipistrelli, Artemis, per quanto possano essere stati aggressivi non avrebbero mai potuto nuocervi fino a tanto.
    Sarò sincera: mi aspettavo un comportamento diverso da te in circostanze del genere, maggiore saggezza. Pensavo potessi essere responsabile e saper scegliere con cautela come comportarsi in casi come questi.
    E usare la magia, no, non è stata la scelta migliore.


    Spiegò, stringendo fra di loro le dita di una mano di modo da scaricare la tensione accumulata in quegli ultimi istanti. Tuttavia, aveva cercato di mantenere un tono pacato, pur gridando interiormente.

    Posso credere al fatto che le tue intenzioni siano state buone, ma questo non le rende migliori. Adesso avrai attirato lo sguardo del Ministero su di te, o forse su tutti noi, e posso assicurarti che questo era il momento meno opportuno perché succedesse.

    D'altra parte, lei non sapeva esattamente come funzionasse la traccia magica, ciononostante temeva per il peggio, ormai catapultata in una spirale d'ansia che si sarebbe sciolta solo col passare del tempo.

    Come Prefetto avevi il dovere di rispettare le regole, e non l'hai fatto. Come Prefetto, non vedendomi arrivare, avevi il dovere di chiamarmi tu stesso, lasciando i ragazzi alle cure di Anita e Narcissa.
    C'è sempre un modo migliore di un altro, Artemis, un modo che non implichi processi in Tribunale e problemi col Ministero.


    Quella situazione l'aveva messa di fronte ad un'incredibile tristezza, perché davvero aveva confidato nei ragazzi, scegliendoli per ricoprire ruoli di quel tipo.
    Sospirò, portando il capo indietro in cerca di aria, prima di adagiare lo sguardo adesso rattristito su quello di Artemis.

    Va', torna a fare il tuo dovere.
    Io parlerò col Preside di quanto mi hai appena detto.


    Congedò Artemis riprendendo a sua volta il passo, dispiaciuta di aver alzato i toni ma consapevole del fatto che non avrebbe potuto fare altrimenti.

    [Tavolo Docenti]



    Dall'inizio di quella giornata, Mikal aveva vissuto una serie di sensazioni tutte estremamente contrastanti fra di loro: dalla meraviglia del trovarsi in quel luogo, così bello e profumato di esotico da sentire caldo dentro, oltre che fuori; la gioia di trovarsi in mezzo a persone così diverse e dalla cui cultura traspariva colore, allegria e spensieratezza; l'ansia costante che, come sottofondo assillante, non abbandonava mai del tutto i suoi pensieri; e infine la rabbia mista a timore, per ciò che Artemis le aveva confessato durante il tragitto presso Castelobruxo.

    Signor Preside.

    Mikal salutò il Docente di Aritmanzia, prendendo posto accanto a lui durante la cena. Si avvicinò dunque al suo orecchio, così che solo lui potesse udire ciò che aveva da dire.

    Devo comunicarle che uno dei miei Prefetti, minorenne, ha utilizzato la magia sulla nave.

    Il tono di voce, leggermente incrinato, faceva trasparire tutte le sue preoccupazioni.

    Ha sostenuto di averlo fatto perché credeva fosse la cosa migliore, ed io gli credo, ma credo anche che abbia valutato male la situazione.

    Adagiò dunque le spalle allo schienale della sedia, prendendo con un piccolo sorriso sulle labbra la collana che uno dei giovani di Castelobruxo le aveva offerto, tenendola stretta fra le dita nell'attesa di ritrovare la leggerezza necessaria al contesto. Ma prima, avrebbe dovuto concludere il discorso iniziato con il Preside, al quale avrebbe voluto riferire immediatamente ciò che Artemis aveva detto, ma badare ai ragazzi in quel momento aveva avuto la priorità, considerato che il danno era stato ormai fatto.

    Cosa succederà adesso?

    Chiese infine Mikal dopo l'ennesimo sospiro, riferendosi al Ministero, ad Artemis, all'Accademia e anche a loro stessi, prede di un futuro forse incerto e problematico.
     
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    [Zona Ghiaccio]



    Se avesse chiamato la scimmia a gran voce, non le si sarebbe lanciata addosso altrettanto velocemente; sembrava quasi che gli animali rispondessero all'opposto esatto di quello che le passava per il cervello, e ormai s'era rassegnata all'idea che non sarebbe mai riuscita ad andare d'accordo con una qualche bestiola. Quando la professoressa Levi riuscì nell'intento di distrarre i primati con un pallone da spiaggia, allargò nuovamente le braccia che aveva messo a protezione del capo, accucciata com'era seduta per terra nel tentativo di proteggere i suoi avere dalle grinfie della scimmia, e sospirò, affranta ma sollevata, contando con gli occhi i danni alla divisa e passandosi una mano nei capelli scompigliati per restituire loro una forma. Era innervosita, quando il vascello finalmente si fermò, e glielo si poteva leggere nell'espressione senza alcuna fatica, ché non aveva alcuna intenzione di nasconderlo. La pioggia scrosciante che li accolse quando uscirono non fu di alcun aiuto.

    [Castelobruxo]



    Lasciamo perdere

    Rispose secca a Luke, che era fin troppo ottimista rispetto a quello che avevano passato, sebbene anche lei si rendesse conto di essere stata comunque più fortunata di Janelle, la cui divisa era coperta da quelle che sembravano macchia di cibo. Gli studenti della altre casate non sembravano comunque essere stati più fortunati, in particolare quelli della casa della Tempesta, qualcuno graffiato, altri con il volto sconvolto e altri visibilmente spaventati. Il viaggio era appena cominciato, ma già stava prendendo una piega decisamente negativa. Forse Luke aveva ragione, forse sarebbe migliorato. Di certo la prospettiva di potersi almeno togliere la divisa la rincuorava, zuppa di acqua piovana com'era.
    Il castello che ospitava la scuola di magia brasiliana si stagliava imponente nel cuore della foresta amazzonica, appartenente all'ambiente come ne avesse sempre fatto parte; il colore chiaro delle mura contrastava con il verde intenso del fogliame che lo abbracciava, eppure la struttura vi si intonava armonicamente, parto del sole che scaldava quelle terre d'estate e altrettanto luminosa, nonostante il tempo atmosferico avverso.
    Furono condotti nei dormitori che sarebbero stati la loro casa per una notte, dove si affretto a liberarsi della camicia bianca, che bagnata lasciava intravedere il colore della sua pelle al di sotto, e vi s'incollava, provocandole un fastidioso prurito. Estrasse dalla borsa a trocolla una maglietta dal collo particolarmente largo, comoda e non particolarmente formale, ma non avrebbe potuto pretendere molto di meglio dal suo poverissimo guardaroba. Il colletto ricadeva sulle sue spalle in modo asimmetrico, riuscendo a coprirne solo una e lasciando nuda l'altra, e il tessuto si allargava un poco giundendo alla vita, lasciandole ampia libertà di movimento. Avrebbe invece tenuto la gonna della divisa: non s'era più di tanto bagnata e si sarebbe comunque asciugata in fretta.

    [Sala Mayor]



    L'ampia sala grande le ricordava quella di Amestris, non fosse per i diversi stemmi dipinti sulle pareti alle spalle del tavolo dei professori e le decorazioni floreali disperse in ogni angolo, anche sui grandi tavoli allineati predisposti per ospitare tutti gli studenti. Cercò con gli occhi alcune delle sue compagne di casata, individuando Rheis e Bonnie all'utlimo tavolo con due ragazzi più grandi di loro a chiaccherare in chissà quale lingua. Non aveva alcuna voglia di intrattenere una conversazione con qualcuno, non vedeva nemmeno molte ragioni per festeggiare; si voltò un paio di volte da un lato e dall'altro alla ricerca di un posto un po' isolato, sebbene in quella sala piena di ragazzi di tutte le età seminudi era ben difficile individuarne uno. Si sedette al culmine di una delle tavolate, scrollando i capelli corvini con entrambe le mani chinando appena il capo in avanti, lasciando che le ricadessero sulle spalle parzialmente scoperte. Quando rialzò il capo, scoprì un bambino all'incirca della sua età che la stava fissando, le gote rosse come un peperone, nel più completo imbarazzo. Sbarrò appena gli occhi, stupita, per poi voltarsi dall'altra parte un istante, come stesse verificando che non stesse guardando qualcuno alle sue spalle, sebbene sapesse perfettamente che non era possibile: il suo era l'ultimo posto a bordo tavolo. Si girò di nuovo a guardarlo, inclinando appena il capo quando lo vide affondare le iridi nella superficie legnosa per non incrociare i suoi occhi, quasi avesse paura di lei.

    Sì?

    Il piccolo brasiliano le diede un'occhiata di sbieco, avvampando di nuovo, per poi distendere il braccio senza guardarla, e porgerle una collana che doveva essere caratteristica, visto che la indossavano tutte le ragazze sud americane presenti in sala. La prese in silenzio, studiandone i dettagli affascinanti sul palmo della mano, per poi mettersela al collo, più per rispetto della cultura che per altro.

    Meu nome é Juan e voce é...

    Il bambino esitò un istante, come stesse facendo una fatica incredibile a finire la frase.

    ...o mais linda

    Sembrava aver detto una cosa di peso enorme, come si fosse liberato di un immenso macigno sul groppo, ma la bambina non aveva capito una parola. Lo guardò stranita, sollevando appena un sopracciglio, e inclinando la testa dall'altro lato, perplessa; aveva intuito si chiamasse Juan, nulla di più.

    Sono Frances. Ciao

    Forse sarebbe stato sufficiente, magari le aveva rivolto un saluto di accoglienza, o semplicemente era troppo timido anche solo per salutarla. Puntò gli occhi al tavolo, poi cominciò a guardarsi intorno a studiare i dettagli della sala grande, reggendosi la testa con un palmo della mano, le dita insinuata fra i capelli. Ogni tanto buttava uno sguardo al ragazzino, scoprendolo a fissarla distogliendo lo sguardo imabarazzato in un instante, e si chiese cosa si stava aspettando che dicesse. Fece spallucce, girandosi di nuovo: non era un suo problema.

    Frances si siede al tavolo 1, quello più a sinistra
     
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    Fate come ha detto la Preside. Potete anche dismettere le vostre divise: è sera e siete zuppi.

    Dovette sembrare stranamente premuroso in quella veloce comunicazione, a viaggio concluso. Per i formalismi ci sarebbe stato un tempo più congruo.

    Sala Mayor



    I suoi viaggi, specie negli anni appena successivi al diploma di Hogwarts, avevano avuto meta in tutt'altra parte del mondo e per ragioni pure di studio. Mettere piede in piena foresta amazzonica, al termine di una traversata non lunghissima ma, in tutta sincerità, neppure straordinariamente comoda fu come aprire gli occhi di ragazzino su un orizzonte tutto da esplorare. Era come se l'aria stessa avesse un altro sapore, come se trasportasse un atmosfera che pulsava immediatamente di esotico e lontano, di misterioso e straordinariamente affascinante.

    Un onore, prima che un piacere, Preside Ventura.

    Rispose cordiale alla responsabile della scuola sudamericana. La Sala Mayor, l'equivalente della Sala Grande di Amestris, aveva un aspetto se possibile ancora più magico, per quanto potesse suonare una considerazione buffa per un purosangue. Era, in verità, una magia sconosciuta, figlia di un mondo opposto al suo, immersa nella natura più incontaminata del mondo intero e avvolta da una storia millenaria che pulsava in ogni angolo della piramide d'oro che ospitava la scuola.
    Avrebbe continuato a parlare con la Preside, per curiosità personale più che per ovvio e pressante protocollo, se una voce dall'altro lato non l'avesse distolto momentaneamente dalla domanda che era in procinto di fare.

    Professoressa.

    La salutò, perplesso dal suo parlare sommesso e dal suo farsi più vicina per aggiungere dell'altro, evidentemente impronunciabile davanti ai più.

    L'ha fatto davvero?

    Strozzò la voce più che poté ma, pur a denti stretti, dovette spezzare il tono graffiato serrando pure le labbra e prendendo un profondo respiro con il naso.

    Il Ministero ci tiene d'occhio ben più di quanto possiamo permetterci.
    E un caso internazionale è l'ultima cosa che possiamo affrontare.


    Il volto era una maschera di tensione, una gabbia per l'agitazione imperante e per la voce e i gesti che non poteva permettersi in quel momento, al cospetto di due scuole al completo.

    La cosa migliore è rispettare la legge, fino all'ultima virgola.

    Sibilò, fissando negli occhi la Responsabile della Tempesta.

    Potremmo ricevere una convocazione dal Ministero di competenza per violazione del Decreto di Ragionevole Restrizione.
    Baskerville o Hamilton?


    La domanda finale strisciò tra i denti all'improvviso, spezzando il discorso. Ma il giudizio non era più rilassato.

    Chi è stato così incosciente?
    Lo faccia venire da me subito dopo la cena.


    Trasse un altro profondo sospiro e tornò a poggiarsi sullo schienale, senza nascondere la tensione ancora imperante tra le pieghe del viso. I rapporti tesi col Ministero della Magia inglese avevano messo a dura prova l'Accademia nelle ultime settimane e con difficoltà aveva imparato a convivere con l'idea del giudizio severo e continuo, grazie al sostegno di gran parte del corpo docenti. Mettere a rischio il delicatissimo equilibrio su cui reggeva tutto il sistema di Amestris con una simile leggerezza era, se possibile, fonte di una stizza ancora più pungente di ogni reprimenda ministeriale.
    Accettò così, in silenzio e con un sorriso tirato, il copricapo portato in dono e, scettico ma sufficientemente distratto dal senso, lo indossò senza grande resistenza.
     
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    Nessuna, Victoria.

    La voce di Mikal le giunse ovattata, poiché nel breve tempo trascorso tra la domanda che aveva rivolto ad Alec e quella risposta la sua mente era stata trasportata altrove, ispirata dal ritmo burrascoso del Veliero su cui erano.
    Si accorse solo in quel momento che non era stata una sua impressione, ma che effettivamente il rollìo era reale e la sua leggera nausea giustificata. Si voltò parzialmente verso la donna, con l’espressione di una persona per niente confortata. La guardò per qualche attimo, anche quando quella tornò al suo cruciverba. Dovevano solo avere fiducia… ma in cosa?
    Respirò profondamente, per calmare il tumulto nel suo petto e nella sua pancia. La nausea era costante, ma fastidiosa. Concentra sul non dare di stomaco, avvertì la stretta di mano solo quando cercò di muoverla. I suoi occhi incontrarono subito quelli di Alec, troppo vicini per i suoi gusti. Rimase immobile anche quando si avvicinò ulteriormente, quasi il suo sguardo l’avesse congelata sul posto. Nessuno dei presenti poteva affermare di non sapere che vi fosse qualcosa tra di loro (forse neanche i nuovi docenti), ma nessuno ne conosceva la natura – e certe volte faticava anche lei a comprenderla. Tuttavia, l’esposizione di quell’intimità che aveva imparato ad apprezzare la metteva a disagio.
    Non si allontanò, se non quando Alec parlò – finalmente esprimendosi. Ricambiò lo sguardo vivace del Guardiacaccia con uno di stupore. Il Lethifold era tra le creature più pericolose che avrebbero potuto incontrare in Brasile… e lui era eccitato al riguardo, come un bambino la mattina di Natale. Non sapeva se ridere per la sua totale incapacità di sollevarla dalla preoccupazione o se aggiungere una ulteriore preoccupazione alle altre – il pensiero di Alec alla ricerca di Creature Oscure le provocava sensazioni contrastanti.

    E’ tra le cose più letali che potremmo incontrare. Non sei d’aiuto, Guardiaboschi.

    Nonostante le parole pronunciate, un mezzo sorriso apparve per qualche secondo sul volto della donna, per poi essere spazzato via da uno di sofferenza. Le acque su cui navigavano si stavano ribellando contro il vascello o era normale che si muovesse così? Si portò una mano sullo stomaco, maledicendosi per non aver saltato il pranzo. Chiuse gli occhi con una smorfia, concentrandosi sul non vomitare. La nausea sembrava crescere e il viaggio non terminare mai.



    [Foresta]



    La notizia dell’arrivo fu una delle più belle in assoluto per quel giorno. Raccolse in fretta le sue cose e mise finalmente piede sulla terraferma, anche se bagnata. Sollevò il cappuccio della giacca a vento, aiutando il resto dei colleghi a riunire tutti gli studenti ed assicurarsi che nessuno fosse rimasto a bordo. Quando furono pronti, si incamminarono e di nuovo Victoria si avvicinò ad Alec – questa volta con intenzioni meno innocenti. Era Halloween e gli scherzi erano di casa, persino così lontani dalla loro cultura. Tuttavia, non ebbe il tempo di pronunciare alcunché: la vista di Castelobruxo rapì completamente la sua attenzione. La vegetazione predominava, ma coesisteva in equilibrio con l’edificio dorato.

    El Dorado?

    Il pensiero fu automatico alla vista delle pietre che costituivano il castello. Si chiese se quello fosse effettivamente oro, ma poco importava – l’effetto che dava quel colore, in contrasto con la foresta intorno, era strabiliante.
    Il portone si aprì e fu subito visibile la figura di qualcuno. Man mano che si avvicinavano, le fattezze della figura divenivano sempre più nitide. Una donna li aspettava in piedi e non appena si fermarono, Victoria la riconobbe. Preside di Castelobruxo e famosa in tutto il mondo per le sue capacità da erbologa.
    Li accolse con il sorriso, invitandoli subito ad andare nelle camere che avevano predisposto per loro per prepararsi alla cena.



    [Tavolo Docenti]



    Si avvicinò al tavolo lentamente, lasciando correre lo sguardo dentro la Sala Grande – o meglio, Sala Mayor – così diversa dalla loro. Rustica e in simbiosi con la natura, come il resto dell’edificio.
    Prese posto accanto a Mikal, sospirando appena. Mancavano ormai poche ore al termine di quel giorno e non poteva esserne più felice.
    Gli studenti di Amestris avevano preso posto in mezzo a quelli di Castelobruxo, cimentandosi così nella scoperta di un linguaggio a metà tra il portoghese e l’inglese. Erano quasi tutti entusiasti di quel viaggio, mentre altri – forse a causa del trasporto – sembravano essere talmente provati da non riuscire a godere della presenza di persone nuove.
    Sollevò lo sguardo sui ragazzi con le ceste, accettando con un sorriso la collana che le avevano offerto.

    Obrigada.

    Pronunciò incerta con un sorriso, sfoggiando una delle cinque parole che aveva imparato da quando era giunto l’invito. Indossò la collana e poi sbirciò le ceste e gli altri, notando come il regalo per gli uomini fosse… beh, diverso. Si morse le labbra per non ridere al pensiero di Laeddis in quella gonnella di foglie, ma anche il resto del corpo docenti non sarebbe stato da meno.

     
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    [Foresta]


    Il viaggio non si era concluso nel migliore dei modi, anzi, non si era concluso affatto bene. Dopo essere tutti stati assaliti da quel branco di scimmiette inferocite, il Prefetto si era sorbito un bel rigetto da parte di una di quelle fantastiche creaturina proprio sulle scarpe. Inutile dire che aveva provato in tutti i modi di pulirle, cercando di passare uno strofinaccio preso da un angolo della nave, dismesso. Il risultato ottenuto non era proprio il massimo, soprattutto perché non riusciva a coprire ancora il puzzo di gelatina al vomito mista al vero vomito della scimmia. Un odore nauseabondo che lo avrebbe allontanato dagli altri suoi compagni in tempo record, e forse non sarebbe stato poi così male.
    La pioggia incessante, però, nonostante avesse causato dei problemi in mare per chi non reggeva bene l’andamento ondoso della nave, per lui fu una vera e propria manna dal cielo una volta prese le sue cose e sceso dal vascello. Lasciò che le goccioline d’acqua bagnassero e inumidissero le sue scarpe, così da togliere via i rimasugli di vomito. Poi, non contento, si avvicinò per un attimo ad un albero nei dintorni e cercò di strofinare la suola contro il tronco, togliendo gran parte del rifiuto tossico e radioattivo. Dopo essersi ritenuto soddisfatto del piccolo lavoretto svolto, ritornò ad orchestrare le file degli studenti, collaborando con gli altri Prefetti affinché non si disperdessero per i meandri della foresta. Ci voleva solo che qualcosa di molto più spaventoso e pericoloso di delle scimmiette rompiscatole saltasse fuori da un angolo buio della foresta.

    Il polmone della Terra.

    Era anche conosciuta così la foresta amazzonica, unica nel suo genere per la sua estensione. Lì la vita brulicava da ogni granello di terra, su ogni porzione di tronco e pezzettino di rami. Inutile dire quante specie animali potessero trovarsi in quel luogo, magici e non. Pensò che nella remota possibilità in cui avesse voluto approfondire la sua conoscenza sulle creature magiche, probabilmente quello era il posto giusto. Quel luogo non aveva niente a che vedere con la foresta dell’accademia, di sicuro molto più ristretta in quanto a dimensioni, in una maniera incommensurabile. Trattandosi di una foresta equatoriale, poi, la vegetazione lì era completamente diversa, e lo si poteva già notare dalle cime degli alberi molto più alte di quelle alle quali lui era abituato. Se dall’Accademia riusciva ancora a vedere il sole spegnersi dietro le cime degli alberi, lì credeva che quegli alberi addirittura superassero l’altezza della loro stella e impedissero alla luce di raggiungere quei luoghi.

    Avanti, muoversi.

    Intimò a quelli che erano rimasti più indietro di darsi una mossa, ponendosi dietro di loro per cercare di fargli accelerare il passo. Non se lo fecero dire due volte, e subito si affrettarono a raggiungere il resto del gruppo.

    [Castelobruxo]


    In una scarsa decina di minuti, strano ma vero, tutti gli studenti raggiunsero l’imponente edificio della scuola di magia brasiliana. Alla sua visione chiunque, Thomas compreso, restò stupefatto dalla grandezza di tale palazzo, molto più somigliante a un tempio che ad una vera e propria scuola di magia. Mentre loro costruivano castelli, in Brasile preferivano rifarsi ai tempi, forse per via delle loro credenze e tradizioni. Fatto stava che la pietra dorata con cui era stato costruito, lo rendeva ancora più luminescente ed appariscente.
    Il Ghiacciolo richiuse la bocca pochi attimi dopo, che si era automaticamente spalancata alla vista di Castelobruxo. Fu così che, accompagnati dagli insegnanti e dai tre personaggi che li avevano aiutati nel viaggio, giunsero alle porte della scuola, in cui una donna era pronta ad accoglierli a braccia aperte. La Preside di Castelobruxo si era rivelata essere una persona molto aperta, espansiva ed amichevole, disponibile al dialogo e alle iniziative, o almeno era quella l’idea che si era fatto nei cinque minuti in cui erano stati accolti e subito mandati alle loro stanze per darsi una ripulita.

    Finalmente.

    [Sala Mayor]


    Dopo essersi dati una ripulita ed una sistemata generale, gli studenti furono invitati dalla Preside in persona a raggiungere l’analogo luogo della sala grande, tale Sala Mayor. Thomas aveva qualche problema a comprendere quella lingua, o meglio, non la comprendeva affatto. Non aveva mai studiato altre lingue all’infuori dell’inglese, e in quel momento più che mai poté capire l’importanza del conoscere più lingue. Si sentiva come un automa, un manichino, un essere che non era in grado di comunicare con chi gli stava intorno. La cosa lo mise leggermente a disagio, perché lì un po’ tutti si erano improvvisati brasiliani, masticando giusto le basi della lingua per una comunicazione basilare. Fu così che, ascoltando qualche parole di qua e di là, imparò “obrigado” per dire “grazie”, e “olà” per dire “ciao”. Il resto era tutto da scoprire, perché non appena entrati nella Sala Mayor, tutti gli sguardi degli studenti brasiliani ricaddero su di loro. Aveva due scelte, a quel punto: prenderla bene e cercare di non sentirsi a disagio per le troppe attenzioni ricevute, o sentirsi a disagio. E ovviamente la seconda scelta sembrava essere quella più allettante e stimolante per lui, altrimenti non avrebbe mai potuto fare le sue tipiche riflessioni da emarginato sociale e tutta la roba varia che ne derivava.

    Si comincia.

    Scelse un tavolo a caso tra i tre disponibili, quello di destra. Presto sarebbe iniziato il banchetto, e cominciava ad avere un certo languorino. Forse distrarsi con il cibo lo avrebbe aiutato a combattere quella singolare sensazione di disagio. Gli studenti di Castelobruxo, tuttavia, erano tutt’altro che emarginati sociali, sicuramente molto più espansivi ed amichevoli. Ad una prima occhiata gli parve tutta gente molto semplice, e questo magari poteva anche apprezzarlo. Apprezzava la semplicità in ogni suo aspetto, perché loro non si perdevano in convenevoli, né in inutili formule colloquiali per esprimere qualcosa che in realtà non sentivano veramente. L’essenzialità di Thomas poteva essere estesa, in un certo qual modo, anche alla semplicità dei gesti degli studenti brasiliani e alla rusticità del posto. Castelobruxo era decisamente differente da Amestris sotto tutti i punti di vista, a partire dall’arredo generale fino a tutti i piccoli dettagli. Eppure la disposizione dei tavoli non era cambiata mica.

    rsz_vwvb5u
    Olà.

    La bomba era stata lanciata. La studentessa seduta accanto a lui stava tentando, con un approccio amichevole, di socializzare con Thomas. Il Ghiacciolo, non infastidito ma neanche contento di parlare con una sconosciuta, si voltò in direzione della ragazza. Questa, di rimando, gli indirizzò un sorriso solare e allegro, mostrandosi subito disponibile e aperta al dialogo. Notando che Thomas era rimasto lì impalato, la ragazza lo scrutò con fare curioso, intuendo subito che non riusciva a capirla.

    Oh! Você não entende?


    A quel punto Thomas cercò di far capire alla ragazza che non parlava la sua lingua, e non era in grado di comunicare efficacemente con lei. Fece un gesto con la mano verso la propria bocca, facendole poi “no” con il dito indice. Scrollò poi le spalle, come per dire di non poterci far niente.

    Thomas.

    Indicò poi di nuovo sé stesso, dicendo il proprio nome. Fu proprio in quel momento che un giovane passò con una cesta piena di doni a dir poco imbarazzanti. Gli fu consegnato uno di quei copricapi che avevano indossato anche i tre accompagnatori, così come tutti i ragazzi, insieme ad un gonnellino che di maschile non aveva niente.

    Obri…
    Maledizione.


    Si sentiva un totale incapace, neanche in grado di mettere insieme due sillabe per ringraziare il giovane per il regalo, sebbene non gli piacesse minimamente. Li lasciò per il momento da parte sul tavolo, mentre la ragazza si presentò col suo nome.

    Meu nome è Áurea Estefânia Suazo!

    Si presentò con una vigorosa stretta di mano che fu costretto a ricambiare. La ragazza continuava a fissarlo con aria strana, come a volerlo studiare più attentamente. Thomas, d’altra parte, dal momento che non sapeva comunicare, le rivolse un’occhiata con tanto di sopracciglio alzato, come a volerle chiedere che cosa volesse.
    Non appena il banchetto ebbe inizio, cercò di distrarsi col cibo servito in tavola, sperando che quell’agonia terminasse presto.
    Tavolo 3
     
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    [Ore 21, Sala Mayor - Tavolo 2]



    Finalmente ripresasi da quella nausea fastidiosa, Mintaka aveva ringraziato la vicepreside e aveva tentato di scusarsi più volte, estremamente mortificata sia per la figura che per i vestiti, per fortuna la magia aveva la sua veloce utilità e la Professoressa Harp si dimostrava gentile e comprensiva come al solito.
    La camminata sotto la pioggia e l'arrivo alla scuola magica brasiliana, d'altro canto, erano riusciti a svegliarla abbastanza e farla riprendere da quella sensazione spiacevoli, benché l'attenzione fosse tornata solo una volta seduta nella straordinaria Sala Grande, con i vestiti asciutti addosso.
    Per fortuna avevano potuto togliere la divisa, così da indossare abiti più comodi, e non si preoccupò molto di non sembrare elegante nel pantalone nero e la maglia rossa e semplice, quando vide i "vestiti" degli studenti brasiliani.

    Il brusio della sala, comunque, era un po' frustrante: Mintaka non capiva nulla, proprio nulla, di quello che sentiva, e guardava un po' stupita gli altri studenti di Amestris riuscire a comunicare. assottigliando le palpebre verso gli studenti del Ghiaccio che non distavano poi molto da lei e Deborah, seduta a un posto da lei, di fianco altri ragazzi di Castelobruxo.

    Come si dice grazie?

    Le disse affacciandosi verso lei quando le diedero quella collana, un evidente regalo di benvenuto: metterla addosso, tra l'altro, risultò scomodo, era fatta di pietre e sembrava pesante, se la guardava un po' smarrita e poi fissava i compagni che avrebbero invece dovuto indossare la gonnellina e il copricapo...
    Presa quasi da una folgorazione si volse verso il preside, tutta curiosa di vederlo indossare la gonnella, ma sbuffò e lanciò un'occhiata delusa a Deborah quando notò che aveva acconsentito di metter su solo il copricapo.

    Che delusione.

    Si disse, cercando poi con gli occhi altri compagni, voleva incontrare i loro volti e le loro espressioni nel constatare cosa avrebbero dovuto mettere, che poi non lo trovava neanche tanto strano, si era già abituata ad avere di fianco un ragazzo semi nudo. E solo per un momento si pietrificò, immaginando uno scenario diverso, una gita a Durmstrang...

    Olà, eu sou Calixto Muñoz
    Estou no último ano e você?


    Il ragazzo di fianco a lei, le tese la mano, Mintaka la guardò perplessa, arrivando presto alla conclusione che fosse una presentazione, ma senza aver capito davvero niente di quel che l'altro aveva detto, a stento distinse quel che pareva un nome.
    Allungò la mano lentamente e la strinse, mentre l'altro sorrideva spavaldo e non riuscì a fare altrettanto, troppo imbarazzata da quel muro comunicativo.

    Mintaka.

    Si limitò a dire, accennando un sorriso molto tiepido.
    Il ragazzo sembrò attendere qualcos'altro, inclinò un po' la testa e si strinse nelle spalle.

    Minta ka? Não minta, tenho dezessete anos.
    Sabe um pouco 'em Português?


    Un po' titubante annuì senza in realtà aver capito, per poi scrollare la testa e cercare di immaginare anche solo lontanamente cosa avesse potuto dire, l'ultima parola, d'altro canto, sembrava un lontano "portoghese", quindi immaginò parlasse della lingua.

    Ma tutti parlano inglese un minimo, dai, come fanno a non conoscere qualche parola?

    Io... non capisco.


    Cercò di dire, scuotendo la testa e indicando l'orecchio per far intuire che non riusciva a capire nessuna parola.
    Il ragazzo la guardò un po' scettico e si grattò la barbetta incolta guardando in alto, poi indicandola.

    Vecchia?

    Disse preso da una improvvisa illuminazione e Mintaka lo guardò con un sopracciglio alzato, poi aggrottò la fronte.

    Ah... sedici!

    Disse annuendo, convinta che l'avrebbe capito come lei aveva intuito lontanamente che chiedesse la sua età, mentre d'altro canto lei non aveva minimamente capito la sua, nonostante le sembrasse uno studente abbastanza grande.
    Calixto, appunto, non capì nulla e scosse la testa, Mintaka cercò un pezzo di carta e magari dei fogli, ma aveva solo la sua bacchetta e, trovandosi in un contesto sconosciuto, evitò qualsiasi genere di utilizzo in quell'istante.
    Così cercò di disegnare un numero immaginario sul tavolo e Calixto continuava a non capire, mimò allora il dieci e il sei, uno dopo l'altro, più volte, finché il ragazzo, prima perplesso, poi si destò compiaciuto.

    Ahhhh! dezesseis!
    Dezesseis entendido!


    Dezess is, già.

    Eu...

    Capito l'andazzzo, Calixto fece la stessa cosa di Taka, indicandosi prima e poi mimando il dieci e il sette, in quel caso la ragazza capì subito l'intenzione.

    Diciassette!

    Tirò un sospiro di sollievo e sorrise soddisfatta, Calixto annuì cercandio di ripetere la parola e poi rise divertito; erano riusciti a dirsi ue cose sensate nel giro di un quarto d'ora, un traguardo fantastico.
     
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    [Zona Tempesta]

    La luce scalciò nella stanza all'improvviso e le iridi, abituate soltanto ai sussurri bluastri delle fiamme, non poterono che rimanerne assordate. Rimase accecato un momento, immobile così com'era, a gattoni, mentre il tumulto lambiva l'apice stridulo e poi si dissipava facendosi via via più fioco, come canto lontano portato or non più dal vento.

    Eccoti.

    Quando bagliori evanescenti ebbero finito di danzar davanti al suo sguardo, Finn poté ritrovare il flauto che gli era caduto, e allungò la mano per afferrarlo, torcendo la spalla, in modo da scoprirlo dalle ombre di quell'angolo in cui s'era cacciato.
    Alla fine s'alzò e rimase per un attimo in piedi, mentre la nave ancor ondeggiava, a guardarsi intorno per veder la pace stanca che di nuovo si posava nella stanzetta, come la quiete sui rami spezzati della foresta appena dopo la furia della tempesta.

    [Foresta]

    Ticchettava la pioggia come a sostituir l'orologio del tempo che s'era fermato: ovunque gocce e pianti di foglie e tonfi sonori di terra che ripeteva il suono. E i rami dicevan note che le felci facevan fruscianti: ogni albero suonava gli stessi canti che bagnavan le vesti e lacrimava le gote.
    Finn aveva socchiuso le labbra per prima cosa, e tutto quel verde aveva fatto così ampio il suo respiro che non aveva potuto che sorridere mentre l'aria umida riempiva come mare i suoi polmoni. Poi un'edificio s'era fatto strada in mezzo al verde, ammantato dall'acqua e incoronato da montagne lontane, e la pietra di cui era fatto pareva riflettere la luce della fine del giorno, che nelle gocce poi si frammentava e giù scivolava, sommergendolo d'un bagno dorato.

    Che bello.

    Lucidi s'eran fatti gli occhi mentre il petto vibrava d'una strana commozione, che si confondeva con la pioggia.

    [Sala Mayor]

    Le pareti avevano il color del miele e nella loro imponenza sembravan chissà come leggere, forse per merito di quel verde che le sosteneva e che s'era infiltrato in ogni dove, facendo ogni pietra suo amante. Prese posto anche se il mento ancor scattava in ogni dove, ma l'abitudine di Amestris gl'impedì di chiedersi perché i tavoli fossero tre nonostante gli stemmi sul fondo promettessero quattro casate. Alla fine le iridi veloci si posarono come api sulla pelle ambrata del ragazzo a cui s'era seduto davanti. Alzò gli occhi verso quelli più giovani di lui, che lo guardavano attorniati da una chioma intricata e selvaggia, curiosi.
    Finn socchiuse la bocca ma la richiuse subito, realizzando soltanto in quel momento che la differenza tra le due lingue li distanziava molto più di quanto potesse fare il tavolo ch'entrambi avevan davanti. Nel mentre, fu consegnato anche a lui il gonnellino e lo strano copricapo, che soppesò fra le dita, stranito.

    WyqnMhp
    Você tem que colocar em sua cabeça.

    Gli occhi s'alzarono e ondeggiarono, confusi da quella strana lingua che accelerava e poi rallentava di colpo, come musica invitante.

    Aqui!

    E per fargli vedere si picchiettò con le dita sulla testa, annuendo convintamente. Lui, con un po' meno di decisione, ripeté il gesto, credendo che l'altro gli stesse mostrando uno strano rituale. Ma non poté che trovarsi spiazzato quando quello, vedendolo, scoppiò in una risata cristallina tanto scrosciante da ridurgli gli occhi a due fessure.
    Almeno il ridere aveva un significato universale. Forse.

    Você é realmente estranho!

    Finn scosse il mento, cercando di sorridere anche lui un po' incerto e guardandosi intorno in cerca di un qualche aiuto.

    Mh, già...

    Tavolo 2
     
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    [Foresta]


    La meraviglia che aveva provato nel camminare verso la scuola non era cessata, aveva anzi amplificato quell'entusiasmo puerile che l'aveva accompagnato fino a quel momento e gli occhi si erano riempiti di qualsiasi particolare del luogo che stavano attraversando, sotto la pioggia che lui non biasimava e dalla quale, anzi, si faceva accarezzare piacevolmente.
    Non aveva dato tanto peso alla struttura dorata quanto ne diede alla foresta che la circondava; se non si fosse trattato di un anniversario, se non fossero stati ospiti, Alec avrebbe pregato i gemelli o qualsiasi altra persona ad accompagnarlo nella foresta.
    Sapeva, tra l'altro, che avrebbe potuto trovare qualcosa di totalmente unico lì, e immaginare di dover stare seduto nel castello lo rattristava, l'unico sollievo fu pensare al banchetto.

    Dopo la cena, costi quel che costi, andrò nella foresta.


    Disse a Victoria quando si avvicinò a lui, ignorando il fatto che stesse per dirgli qualcosa, concentrato su quel che avevano intorno; non erano solo i Lethifold a incuriosirlo, ma l'intera terra inesplorata e immaginò che anche Michael Rosembaum avrebbe desiderato altrettanto, con tutta quella flora. Era un'occasione imperdibile e dubitava fortemente del fatto che non avrebbero concesso nulla del genere.


    [Tavolo dei Docenti]



    Quella sala grande era perfetta per lui: si sentiva a suo agio sia tra i presenti che con l'ambiente, era tutto come avrebbe voluto, e, seduto scomposto vicino Victoria, si guardava intorno con l'aria serena, estasiata.
    Finalmente asciutto, sentiva un tepore piacevole e il profumo di quel che si nascondeva ancora sotto i veli sotto i quali cercò di sbirciare mentre la preside della scuola si faceva avanti.
    Eppure la cesta che gli fu donata rapì tutta l'attenzione che aveva avuto per il cibo.
    Lo sguardo si illuminò di stupore prima, per poi tendere a un qualcosa di molto più simile alla felicità: cacciò dalla cesta il copricapo e la gonnellina e si alzò in piedi, di scatto, rivolgendosi a Victoria che, peccato, aveva ricevuto solo una banale collana di sassi.
    Alzò le mani con i vestiti e si chinò poco solo per non sembrare un idiota di fronte a tutti.

    Questa scuola è definitivamente il mio posto.

    Cacciò la bacchetta per effettuare un semplice incantesimo di scambio tra i suoi vestiti e quelli che gli avevano appena regalato, senza perdere tempo, con l'aria di un bambino che scartava i regali di Natale.

    Si ritrovò a petto nudo, senza neanche gli scarponi finiti sulla sedia insieme ai vestiti, il copricapo lasciava un ciuffo di capelli biondi sulla fronte e la gonna, che ricordava il Kilt della sua terra, gli dava un'idea di libertà impareggiabile.
    Aprì le braccia, guardandosi fiero, e facendo vedere a Victoria e Mikal, annuendo e rivolgendosi agli altri uomini indigeni della sala, ringraziandoli a bassa voce, perché non conosceva la lingua, e annuendo tutto soddisfatto.

    A farlo sedere fu la scomparsa dei veli sul cibo, tant'è che si precipitò al tavolo e prese a mangiare qualsiasi cosa si trovasse davanti nei vassoi, riempiendosi il piatto.

    Dobbiamo venire più spesso qui, no?

    Chiese a Victoria, spostando lo sguardo anche su Mikal, dopo aver ingoiato un boccone senza aver quasi masticato.
     
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    I suoi timori trovarono conferma nello sguardo e nelle parole del Preside, che non mancò di sottolineare come l'azione avventata di Artemis fosse stata esattamente l'ultima cosa di cui avevano bisogno, in quel periodo di turbamento relazionale con il Ministero della Magia. Gli occhi della Docente abbandonarono la figura del Preside per posarsi sulle grandi e colorate tavolate, addobbate da volti gioiosi e sorridenti. Osservarli le dava esattamente il sollievo di cui aveva bisogno in quel momento di adombramento, senza riuscire a farlo totalmente suo.

    Baskerville o Hamilton?

    E' stato Artemis.

    Sibilò, adagiando nuovamente lo sguardo su quello del Preside, sospirando profondamente. Denunciare uno dei suoi studenti, per lo più Prefetto, le doleva al cuore, ma sapeva che non poteva fare altrimenti.
    Era giusto che Artemis capisse l'errore, soprattutto perché proprio lui era chiamato a segnalarli e punirli, se necessario. Doveva sapere cosa sarebbe successo, ed era giusto che fosse il Preside a dirlo.
    Con un cenno del capo Mikal si congedò da Andrew e dal tavolo Docenti, cercando Artemis con lo sguardo fra la miriade di teste presenti sulle tavolate della Sala Mayor. Ci mise un po' a rintracciarlo, ma alla fine ci riuscì: desiderava comunicare al più presto ciò che aveva da dirgli.

    Artemis, Coral.
    BoanoTe tambIEN para voZe.


    Mikal si era documentata un po' sul portoghese per riuscire ad avere il minimo di conversazione necessaria con la popolazione accademica di Castelobruxo, senza però riuscire a fare grandi miracoli per il suo pessimo accento.
    Tornò quindi a rivolgersi al Prefetto, cercando di assumere i tratti della serietà che quella comunicazione richiedeva.

    Il Preside desidera parlarti, dopo cena.
    Non dimenticarlo.


    Gli lanciò quindi un'occhiata eloquente, soffermandosi poi subito dopo sulla ragazzina che gli sedeva accanto. Ricordò dunque le parole del Prefetto, e subito il suo sguardo dimenticò la serietà, addolcendosi tiepidamente.

    Artemis mi ha raccontato cosa è successo oggi, Coral.
    Se dovessi accusare qualsiasi genere di problema, sai di poterti rivolgere alla Signorina Hunt, tu come chiunque altro.


    Supponeva infatti che Coral non fosse stata l'unica a subire l'ira dei pipistrelli, quel giorno. Aveva indicato con lo sguardo Eloise, seduta insieme agli altri Docenti, di modo che anche i ragazzi la scorgessero.

    Cercate di passare comunque una buona serata.

    Si congedò quindi, pronta a tornare al suo posto, lasciando i suoi studenti con un piccolo sorriso sul volto e un peso in meno sul cuore.
     
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    [foresta]



    Alla fine gli studenti riuscirono a sbarcare senza troppi problemi, anche se il tempo non era dei migliori. Forse per il popolo dell'Amazzonia la pioggia non era un fenomeno negativo, tuttavia al moro non piaceva. Insomma, era sinonimo di freddo, umidità e, nel peggiore dei casi, anche di improvvisi raffreddori.
    Jon procedeva in silenzio e ciò fu un bene. Era zuppo e ad ogni passo le sue scarpe imbarcavano acqua. Se avesse aperto bocca con qualcuno, sicuramente avrebbe trascorso la maggior parte del suo tempo a lamentarsi.

    [Castello di Castelobruxo]



    Il gruppo non impiegò molto a raggiungere il castello, dove vennero accolti dalla preside in persona. Jon la osservò per un lungo secondo. Sembrava una donna dotata di non poca esperienza, ma non per questo estremamente anziana. Per fortuna la preside parve aver buon cuore, infatti concesse agli studenti di andare nelle proprie camere per asciugarsi, fissando appuntamento alle nove.

    [Sala Mayor]



    La Sala Grande era molto diversa da come se l'era immaginata. Sì, pensava ad un luogo molto più spartano e imponente, invece era pieno di verde. Cominciò a chiedersi quanto la loro cultura fosse diversa da quella inglese, ma purtroppo da solo non poteva trovare risposta alcuna.

    Sicuramente il loro contatto con la natura è più forte.

    Pensò mentre si guardò intorno. Era seduto al secondo tavolo, lì vi si trovavano diversi studenti di Amestris, ma anche altrettanti sconosciuti. Una ragazza dalla pelle mulatta si trovò accanto a lui. Era carina e, a giudicare dall'altezza, un po' più grande di lui.

    Eu sou Alma, y tu?

    La frase era marcata dal forte accento della zona, ma Jonathan capì cosa stesse dicendo solo quando lei chinò il capo come se lo stesse salutando.

    Ciao, io sono Jonathan. Scusami, ma non so parlare solo inglese.

    Affermò il Tempesta ostentando non poco disagio, soprattutto alla vista dei copricapi e del gonnellino.

    Scuseme, sono Alma. Piace nostri abitos?

    La risposta a quella domanda era assolutamente no, ma come poteva dirlo davanti ad una ragazza che stava cercando di essere così gentile da dargli il benvenuto? Alla fine si arrese e decise di indossare entrambi i vestiti che gli furono offerti.

    Sì, guarda, non potevo desiderare di meglio, proprio da gala.

    Non sembrava molto convinto, anzi mostrava non poca ironia.

    Como?

    Ehm, belli, sì, tanto!

    Certo, come no, forse avrebbe fatto meglio a concentrarsi sulla zuppa calda che riempiva il proprio piatto. Poteva assaggiare qualcosa di tipico, ma dopo aver camminato sotto la pioggia voleva qualcosa che potesse riscaldarlo dentro.

    Tavolo numero 2
     
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    Eleanor era riuscita a cavarsela anche questa volta. Quella magia la aiutò ad allontanare i pipistrelli, ma non solo, anche a tramortirli.

    Vi sta bene.

    Quel viaggio infernale giunse finalmente al termine e ovviamente, come potevano aspettarsi dalla loro solita fortuna nel giorno di Halloween, pioveva a dirotto.
    La Hastings non poté fare a meno che imprecare e lamentarsi. Non era affatto quello il modo in cui aveva immaginato il Brasile. Dov'erano le spiagge, i manzi surfisti, il sole e il caldo che l'avevano spinta a partire? Lì non c'era assolutamente niente di tutto ciò. Praticamente era come essere in Galles, ma con il triplo dell'umidità ed immersi nella foresta tropicale.

    Ma dove siamo finiti? A Jumanji?
    Che fregatura.


    Tutto quello che vedeva lei erano piante, pioggia e poveri sfigati (nel senso letterale del termine, non come insulto metaforico). Ovviamente, come se l'immenso disappunto non bastasse, la costrinsero anche a camminare per la foresta, sotto la pioggia, con il fango che schizzava e si appiccava dappertutto. Fortunatamente prima di scendere si era incantata dalla testa ai piedi con Impervius e lo stesso aveva fatto con la sua preziosa valigia che la seguiva dopo avergli scagliato contro l'Incantesimo di Animazione Elementare.
    Dopo dieci minuti di percorso che a Elle sembrarono un'infinità, arrivarono finalmente al castello di Castelobruxo, che paradossalmente era tutto tranne che un castello.

    È un cumulo di macerie indigene.

    Fece notare stizzita, stupendosi del fatto che ci fosse qualcuno che vivesse dentro una catapecchia peggiore di Amestris.
    Sbuffando, già stufa di quel pessimo clima che le aveva fatto gonfiare i capelli, si affretto verso l'ingresso del castello sperando che all'interno avessero usato qualche incantesimo per rendere il posto accogliente e glamour con arazzi, affreschi, tappeti e mobili elaborati.
    Ma anche quella volta i suoi desideri e le sue aspettative si scontrarono con la dura realtà. Quel posto faceva schifo. C'erano piante ovunque, l'arredamento era semplicistico e non c'era il minimo senso del gusto. Sembrava di essere in aula di Erbologia.

    [Sala Mayor]

    Dopo essersi rimessa dal viaggio e preparata per la cena, Eleanor e tutta la scolaresca britannica venne accolta in quella che sarebbe dovuta essere la sala da pranzo. La ragazza si guardava intorno con un cipiglio disgustato e davvero poco convito. Iniziava a credere che tutto quello fosse un scherzo, un brutto e triste scherzo. Faticava a credere che nel 2028 ci fosse ancora gente che vivesse in quel modo.
    Quei tizi erano praticamente dei selvaggi, abitando in mezzo alla foresta senza alcuna comunicazione con il mondo, vestiti praticamente di nulla.

    Cos'è?

    Disse schifata mentre un tipo tentava di metterle al collo una squallida collana fatta di ciottoli.

    Assolutamente no. Mi rovini l'outfit!

    Disse cercando di imporsi, ma quel selvaggio non capiva una parola di inglese e finì per prevalere, mettendole quell'imbarazzante bigiotteria addosso.

    Questa è la maledizione di Halloween che colpisce ancora.

    Era in un tempio cadente, sperduta nella foresta, circondata da bestie e con indosso lo squallore fatto a mano. Non poteva andare peggio.

    Aggirandosi per la sala impettita, guardandosi intorno sospettosa, era alla ricerca di un posto che sembrasse il meno infetto possibile. Non voleva nemmeno immaginare quali assurde malattie avrebbe potuto prendere entrando in contatto con quella gente.

    Olá.

    La bionda sobbalzò, quando qualcosa le toccò la spalla. Si voltò con gli occhi sbarrati e iniettati di sangue. Era furiosa. Chi di quei selvaggi aveva osata toccarla e trasmetterle possibili malattie che avrebbero potuto minare la sua bellezza?

    Este lugar é livre se você quiser.

    Quel tipo dall'aria furbetta -la classica di chi ti vuole rubare la borsa- le sorrise, indicando un posto accanto a lui. Eleanor lo squadrò da capo a piedi, con la fronte aggrottata e lo sguardo sospettoso. Fortunatamente aveva lasciato il portafoglio in camera e al momento non indossava nessun gioiello di valore. Alzò le spalle e si avvicinò, accettandosi si sedersi accanto a lui.

    Ti avverto. Li conosco i tipetti come te.
    Non provare a fregarmi, non sono così sprovveduta come sembro.


    Il ladruncolo la guardò confuso, aggrottando la fronte e scuotendo la testa.

    Eu não entendo o que você está dizendo.

    Entendi, entendi.

    Ripose lei che di portoghese non sapeva nulla ma di spagnolo qualcosina sì. Una volta, quando ancora viveva in USA, aveva avuto una domestica mexicana e fortunatamente le due lingue avevano alcune parole in comune.
    Seduta accanto al ladruncolo, attese che la Preside -che sembrava una sciamana più che un'accademica- desse il via al banchetto. Non appena il cibo fu scoperto, iniziò l'assalto ai piatti. A quel punto, tra il trambusto generale, il brasiliano si rivolse nuovamente a lei.

    Contudo yo soy Raúl.

    Disse passandole un piatto di qualcosa che sembrava incredibilmente fritto e assolutamente calorico.

    Como você chama isso?

    Eleanor lo fulminò con lo sguardo.

    Io questo non lo magio.
    Trovami dell'avocado. Ho voglia di avocado. Dovreste averlo, non è da queste parti che cresce?


    Si guardo intorno alla ricerca di qualcosa di effettivamente commestibile e salutare. Non avrebbe mangiato nulla se prima non avesse scoperto di cosa si trattasse e come era stato cucinato.

    A-vo-ca-do.

    Sillabò nella speranza che quel tipo la capisse.

    Avocado? Tu Avocado.
    Prazer em conhecê-lo, Avocado.


    Le sorrise, cominciando poi a mangiare. Lasciando Eleanor in attesa di essere servita.

    Scusa, ma che hai capito?

    Sbottò scuotendo la testa visibilmente infastidita.

    Per l'amor del cielo, sono latini! Ci si aspetta che almeno sappiano servirti.

    Il Sud America era noto per essere la casa di domestici, cuochi, cameriere, giardiniere e badanti. Com'era possibile che in quella così-detta scuola non sapessero nemmeno trovarle un piatto di avocado? Cosa diavolo li istruivano a fare?

    Il mondo va a rotoli.

    Tavolo 1
     
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    Quando tornò al tavolo degli insegnanti, Mikal non cercò più lo sguardo del Preside, piuttosto si soffermò sul Docente di Cura, intento ad osservare i regali dei brasiliani col fare di un bimbo eccitato dal suo nuovo giocattolo. Mikal sorrise di fronte a quella spontaneità, prendendo finalmente posto.
    Peccato che il sorriso si trasformò presto in una maschera di terrore.
    Quando Alec effettuò un incantesimo di scambio sugli abiti, Mikal sussultò sul posto, incredula e... incredibilmente imbarazzata.
    Eppure non riuscì a distogliere subito lo sguardo; osservando il corpo dai lineamenti dettagliati di Alec, Mikal si ritrovò ad arrossire di colpo, in perfetto abbinamento ai colori caldi del luogo che li ospitava.
    E non soltanto perché quell'improvviso gesto le ricordò la sera del loro primo incontro, ma perché il cuore le palpitò in petto e la saliva le si fermò in gola. Fu solamente un istante, un istante lungo abbastanza perché il limbo di sensazioni nel quale era finita venisse spezzato da una più schietta e sana razionalità.
    Lo sguardo si ingigantì all'improvviso, quasi fosse riuscito a prendere realmente coscienza solo in quel momento, per poi chiudersi di scatto. Mikal si voltò dal lato opposto, cercando di trattenere il più possibile l'imbarazzo, senza tuttavia riuscirci.
    La spontaneità di Alec, dopotutto, era anche quella.
    Ma Mikal, per quanto potesse apprezzarla, era costretta a combattere con istinti a lei sconosciuti e con il pudore nel quale aveva forgiato le sue convinzioni, le sue sensazioni, le sue scelte.
    Si costrinse a mandare giù quel groppo in gola, voltandosi nuovamente verso Alec e Victoria, cercando accuratamente di non fissare il primo.

    Professor Bànach.

    Il tono di voce apparve forse come un rimprovero, perché per quanto non fosse totalmente nudo, o per quanto quell'abbigliamento fosse totalmente in linea con il contesto generale, il suo imbarazzo non riusciva ad adattarsi allo stesso modo.

    Ci sono dei bambini.

    Disse tentennando, quasi a voler giustificare la sua costernazione senza mettere in campo le sue reali motivazioni. Ma il tono di voce poco convincente l'aveva tradita, così come avrebbe sicuramente fatto il colore vagamente purpureo della sua pelle solitamente candida.
     
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    Aiutarmi!?
    Mi hai tolto la cosa più importante che ho per aiutarmi?!
    E' come quelli che dicono "ti lascio perché ti amo troppo".


    Urlò all'improvviso Coral con un tono particolarmente alto ed isterico, tanto da stupire e sorprendere i ragazzi di Castelobruxo vicini a loro.
    Come poteva avere pensato che silenziarla fosse stata la scelta più saggia, invece di agire sui pipistrelli, magari, piuttosto che su di lei? Come poteva averlo-

    Ehi.
    Aspetta...


    La sua ira ceca, pronta ad abbattersi su Artemis e le sue varie giustificazioni, trovò presto un avversario contro il quale non poteva combattere: la sua stessa voce.
    Lo sguardo da iracondo divenne di pura sorpresa. Lo puntò su Artemis, al quale sorrise un istante dopo, incredibilmente.

    Incredibile.
    E' TORNATA!


    Si ritrovò a dire entusiasta, quasi tutte le sue preoccupazioni attuali fossero improvvisamente sparite sotto il peso delle sue ugole d'oro.

    Ah! então você não é realmente surdo!

    La voce calda del brasilero la riportò nuovamente alla realtà, voltandosi verso di lui con sguardo al quanto scettico.

    Allora, Diego Armando Maradona, mettiamo le cose in chiaro.

    Esordì, ricevendo in cambio solamente un'occhiata altrettanto confusa da parte del collega d'oltreoceano, che si limitò ad osservarla silenzioso e... un po' impaurito.
    Gli inglesi, agli occhi dei brasiliani, dovevano essere strani quanto i brasiliani per gli inglesi.
    Così Tiago provò timidamente a correggere la ragazzina, che l'aveva chiamato col nome sbagliato.

    Meu nome é...

    TU DEVI PARLARE PIANO, PERCHE' IO NON TI CAPISCO.
    Compriendes?


    Lo interruppe la ragazzina della Tempesta, osservandolo diritta negli occhi con una serietà improvvisa, ma in tutta risposta ricevette dal ragazzo solamente altri sguardi confusi.

    Eu não entendi o que você está dizendo...

    Artemis, Coral.

    Ma l'arrivo della loro Responsabile, fu quasi provvidenziale. Coral non aveva idea di come sostenere una conversazione con i tizi di quella scuola, considerato che di spagnolo ne sapeva quanto loro di inglese.
    O era portoghese? Tuttavia rimase leggermente stranita dai modi e i toni della Levi, annuendo semplicemente il sua direzione alle raccomandazioni riguardanti la Signorina Hunt. Aspettò quindi che si allontanasse, prima di tornare ad Artemis, ignorando totalmente il povero Tiago che a quel punto cominciò ad intrattenere conversazioni con altri ragazzi.

    Perché il Preside vuole parlarti?

    Chiese con un tono differente rispetto ai modi precedentemente adottati col ragazzino, improvvisamente impaurita da un timore che no, non avrebbe esternato, non fino a quando non avrebbe avuto la certezza di ciò che pensava.
     
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    [Sala Mayor - Tavolo 2]



    Era finalmente arrivato uno dei momenti che sicuramente Bellamy preferiva di più. La fine di quel viaggio in nave lo aveva inquietato e non poco, di certo non si aspettava che i pappagalli brasiliani fossero così strani, ma per fortuna non si trattava di niente di preoccupante. Perfino la camminata a piedi nella foresta gli era piaciuta un sacco, anzi, forse anche più del viaggio in nave. Era un selvaggio il ragazzo, degno studente del professor Bànach.
    Si trattenne a stento dallo scoppiare a ridere in faccia alla signora Preside quando vide in che modo era conciata. Per fortuna ogni tanto riusciva a darsi un certo contegno, almeno certe volte, altrimenti non si sa che figuraccia avrebbe fatto di fronte alla potente strega.
    Per fortuna poi poterono andare ad asciugarsi nelle loro stanze, che la pioggia gli piaceva fino ad un certo punto...di certo non gli piaceva avere la febbre.
    Ma, tornando al momento che piaceva di più al Prefetto del Fuoco. Si era seduto ad uno dei tre tavoli predisposti per accogliere gli studenti inglesi, più precisamente a quello di mezzo, pronto a riempirsi lo stomaco con le prelibatezze brasiliane. Non aveva mai assaggiato nulla di quella cultura e non vedeva davvero l'ora. Stava per iniziare a chiacchierare con alcuni compagni di Casata che si erano seduti dalle sue parti, quando una voce che non aveva mai sentito in vita sua gli rivolse la parola, dicendogli qualcosa che a malapena riuscì a capire.

    large
    Olà y bem vindo!

    Bellamy girò lo sguardo nella direzione da cui era venuta quella voce, ed una visione celestiale apparve davanti ai suoi occhi. Una bellissima ragazza dai lineamenti dolci e dal sorriso smagliante si era appena seduta vicino a lui, aveva la carnagione leggermente scusa, gli occhi e i capelli del medesimo colore castano, ed in mano uno strano cappello di colore rosso, uguale a quello che aveva in testa Luan, il tipo che aveva fatto loro compagnia durante il viaggio.

    Este é um presente para você.

    La ragazza porse allora il copricapo al ragazzino irlandese, che era ancora imbambolato dalla visione celestiale per riuscire a dire qualcosa. Lei si rese conto che praticamente a Bellamy mancava solamente la bavetta dalla bocca, perciò lei stessa andò a mettere il cappello sul capo del ragazzo, che realizzò quando accaduto soltanto in un secondo momento.

    Ma che...umh? Oh...grazie. Davvero bello...ma tu lo sei di più.

    Bellamy sorrise, convinto che la ragazza non potesse capire quello che le aveva appena detto, ma in realtà lei iniziò a ridacchiare e confessò all'irlandese che in realtà non era esattamente come pensava lui.

    Eu capisco poco de inglês.

    Ah.

    Improvvisamente il viso del Prefetto biondo diventò di uno strano colorito rossastro, che raramente si sarebbe potuto vedere sul suo volto. Aveva appena fatto una figuraccia colossale che in confronto a quella che avrebbe potuto fare ridendo in faccia alla Preside di Castelobruxo non era davvero nulla.

    Você não se preocupa. Meu nome è Octavia. Como você chama isso? Como chiami te?

    Il ragazzino rimase quasi sbalordito nel sentire che la brasiliana aveva il suo stesso nome, ma al femminile. Rimase per qualche secondo quasi intontito. Quella serata si stava rivelando più interessante del previsto, e lui quasi ci aveva sperato prima di partire per quel viaggio.
    La ragazza parlava un inglese decisamente ''improvvisato'', ed era evidente il fatto che avesse imparato quelle poche parole soltanto per l'occasione...ma Bellamy non si faceva quel tipo di problemi, anzi, ci si stava mettendo con tutto l'impegno possibile per cercare di capirla.

    Octavia? Il mio secondo nome è Octavian!

    La ragazza sorrise, sembrò aver capito quello che aveva detto il Prefetto...anche se magari non completamente.

    Lindo nome, Octavian! Tenho quinze anos, y você?

    Questa volta l'irlandese non capì nemmeno una parola di quello che disse la ragaza, tant'è che per farglielo capire scosse il capo un po' sconsolato. La ragazza, dal canto suo, capì invece la difficoltà del ragazzo e cercò subito un rimedio. Sul legno del tavolo disegnò con l'indice il numero quindici, lentamente, così che il Prefetto potesse capirlo. Ed infatti fu così, tant'è che quando riuscì a capire cosa quella intendesse, prese di nuovo la parola e le rispose.

    Aaaaah! Hai quindici anni. Io...io anche! Oggi è il mio compleanno.

    Sorrise, fingendo ovviamente di avere un età che non aveva. Si era dato un anno in più, ma chiunque avrebbe potuto crederci visto che non ne dimostrava affatto quattordici. Accompagnò le sue parole da gesti che fecero facilmente capire ad Octavia cosa intendesse dire. Infatti quella sorrise, applaudendo leggermente al ragazzo, probabilmente per fargli di auguri a modo suo. Ci fu qualche istante di silenzio, e poi il biondo se ne uscì con la cavolata della serata...perchè ovviamente lui doveva farsi riconoscere anche dall'altra parte del mondo.

    Come si dice in portoghese...''sei molto carina''?

    Cercò di chiederlo in parole semplici alla ragazza, per farsi capire anche se Octavia non conosceva alla perfezione l'inglese, anche se lei pareva intenderlo molto di più di quanto lui non facesse con lei stessa. La studentessa annuì e pensò qualche istante alla risposta, andando poi a comunicarla alla ragazza scandendo bene le parole.

    Oh, se dice ''Você é muito bonita''.

    Entrambi sorrisero, e ovviamente il biondo dovette fare subito un tentativo.

    Bhè, allora...voz-i è muto boneetah.

    Non avrebbe potuto dirlo in modo peggiore, tant'è che la ragazza scoppiò a ridere proprio di cuore, che quasi aveva le lacrime agli occhi. Lo stesso fece Bellamy, rendendosi conto della figuraccia appena fatta, ma nel frattempo si godeva pure la risata della ragazza che ovviamente era abbinata a tutto il resto del suo aspetto: bella, composta e allo stesso tempo incantevole, ammaliante.
    La ragazza si riprese qualche istante dopo, andando a rispondere in lingua qualcosa che Bellamy non capì, ma riuscì giusto ad intuire per affinità con quanto sentito poco prima.

    Você também é muito legal.

    Sorrisero entrambi, e chissà per quanto tempo sarebbero potuti ancora andare avanti con quella storia se qualcuno non li avesse fermati in un tempo piuttosto breve.

    Edited by Bellamy Octavian Murray - 11/11/2017, 23:17
     
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